(ASI) Paura, decessi e terrore. E’ difficile trovare ulteriori termini per definire quanto sta accadendo, da domenica sera, in Medioriente.
Sono drammatiche le foto e le immagini, divulgate su internet, che ritraggono palazzi crollati, macerie, persone decedute o ferite. I civili sono coloro che pagano, ovviamente da una parte e dall’altra, le conseguenze di scelte politiche incomprensibili e non giustificate davanti all’opinione pubblica. Nessuno ha spiegato ancora, infatti, che cosa abbia spinto l’esercito israeliano a inviare, non più di 48 ore fa, un proprio commando nella città di Khan Younis per uccidere un esponente di Hamas e altri suoi militanti, visto che la situazione tra le parti si era, nei giorni precedenti, tranquillizzata. Tel Aviv tace, davanti a tale improvviso riacutizzarsi delle tensioni, magari con la scusa di non violare il “segreto militare” inerente a informazioni sensibili.
Le conseguenze
L’iniziativa non è stata priva però di effetti deleteri, in quanto ha generato la comprensibile reazione palestinese e la contro risposta del vicino sionista. E’ emerso quindi un vortice di violenza che nessuno sembra essere in grado di fermare, nonostante i tentativi, purtroppo falliti, dell’Egitto. La diplomazia prosegue, tuttavia, il proprio lavoro per disinnescare la crisi, in quanto è cosciente della sua possibile estensione a livello regionale e mondiale. Le sirene antimissile continuano a suonare nel frattempo, come campane che preannunciano morte, in numerose città del paese di Benjamin Netanyahu. Le organizzazioni di Gaza hanno inviato più di 400 razzi (scelta forse mai concretizzata prima d’ora), da ieri pomeriggio, contro il territorio nemico e hanno ripreso, dopo una breve pausa notturna, la loro attività in mattinata. I jet con la Stella di David continuano a martellare la Striscia, non effettuando le dovute distinzioni tra gli obiettivi. L’importante è ridurre tutto al suolo: le strutture dei servizi segreti, gli edifici che ospitano gli studi di canali televisivi ostili per fermare la propaganda, gli alberghi, i simboli culturali come la Torre di Gaza e i tunnel per impedire il rifornimento di armi. L’aviazione ha minacciato persino di distruggere il parlamento palestinese astenendosi, almeno per il momento, da tutto ciò. Le realtà locali paiono volere utilizzare vettori, con raggi più ampi, per raggiungere Gerusalemme, o altre città importanti. Non si vedeva un conflitto del genere, nell’area in questione, almeno dal 2014.
Le reazioni internazionali
La preoccupazione cresce, nel mondo, per gli eventi in corso. La Russia, il Qatar e l’Unione Europea hanno chiesto l’immediata cessazione di ogni attività bellica. Il presidente palestinese, Mohammed Abbas, ha interrotto la propria visita in Kuwait per rientrare d’urgenza a Ramallah per seguire l’evolversi della situazione. Il numero uno d’oltreoceano, Donald Trump, monitora quest’ultima, secondo alcune fonti, con i propri consiglieri dalla sala emergenze (situation room, Peoc) della Casa Bianca. La sua amministrazione avrebbe ribadito il proprio appoggio all’azione militare dell’alleato israeliano.
Le alleanze
L’appoggio indiscusso di Washington, nei confronti di Tel Aviv, è principalmente in funzione anti iraniana. Entrambi vedono i Pasdaran come un pericolo regionale per il sostegno offerto ad Hamas, organizzazione considerata una minaccia alla sicurezza nazionale di Israele. Non bisogna dimenticare, in tale risiko”, anche la crisi siriana. Il governo di Damasco è appoggiato da quello di Teheran ed entrambi beneficiano della protezione del Cremlino e della Cina. Lo spazio aereo del territorio, controllato dal rais Bashar al – Assad, è stato “sigillato” grazie alla decisione di Vladimir Putin di dislocare i sistemi missilistici S 300 dopo l’abbattimento di un velivolo di Mosca da parte dei caccia di Netanyahu. E’ molto più difficile ora, per Usa e Israele, entrare nella zona senza correre seri rischi che si riflettono, quasi automaticamente, sulla stabilità dell’intera comunità internazionale.
Marco Paganelli – Agenzia Stampa Italia