(ASI) Buenos Aires- Dopo settimane di trattative e i 50 miliardi di dollari concordati a giugno, il governo di Mauricio Macri prenderà altri soldi in prestito dal Fondo Monetario Internazionale. Il 26 settembre sono stati concessi altri 7,1 miliardi all'Argentina, un Paese dove le condizioni economiche sono peggiorate e l'inflazione da aprile ha fatto perdere al peso il 50% del proprio valore rispetto al dollaro. Il Paese sudamericano avrà così dall'Fmi 13,4 miliardi entro la fine dell'anno, mentre 22,8 arriveranno l'anno prossimo.
La crisi che sta attraversando l'Argentina ha però anche elementi politici. Alla fine di settembre il presidente della banca centrale Luis Caputo si era dimesso dopo solo tre mesi di lavoro, a causa di divergenze con il ministro del Tesoro Nicolàs Dujovne, contrario al cedere le riserve dello Stato per difendere la moneta nazionale. Al suo posto è stato nominato il viceministro Guido Sandleris.
Il contesto macroeconomico non è però cambiato, con l'inflazione di settembre che è stata la più alta dall'aprile del 2002, dati che riportano gli argentini al triste passato della crisi economica, ora che l'aumento dei prezzi in un mese ha raggiunto il 7,3%. Le ripercussioni coinvolgono le materie prime, i trasporti, il caro benzina in un Paese ricco di petrolio. Un litro di carburante in un anno ha subìto un incremento del 62,2%, secondo i dati diffusi dall'agenzia economica nazionale Elypsis.
Sono numeri simili a quanto accadde fra il 1998 e il 2002, nel corso di una lunga recessione, quando le persone manifestarono in piazza e 39 di queste vennero uccise negli scontri con le forze di polizia. L'obiettivo dell'allora Ley de Convertibilidad puntava dal 1991 a una parità fra il peso argentino e il dollaro statunitense, ma all'inizio del millennio emersero gli aspetti negativi di questa politica economica. Il mantenimento della parità aveva infatti costretto molte imprese statali alla privatizzazione, comprese quelle relative ai fondi pensionistici, al fine di portare dollari nel Paese. Debito verso l'estero e rifinanziamento degli altissimi tassi di interesse fecero il resto, rendendo inevitabile l'intervento dell'Fmi.
«Anche ora ci sono purtroppo le premesse di un nuovo default», ha detto ad Agenzia Stampa Italia il corrispondente argentino di Radio Brisas Sabatino Alfonso Annecchiarico. «Ci sono più tasse, le pensioni sono state abbassate, le privatizzazioni sono di nuovo un rischio. Le persone sono costrette a vivere con 7mila pesos al mese, quando ne sarebbero necessarie almeno il doppio. Con il governo Macri si è tornati alle condizioni pre-crisi degli anni Novanta e purtroppo l'intervento del Fondo Monetario non è mai stato qualcosa di caritatevole. Il ritorno economico è spesso un conto molto salato per uno Stato in difficoltà come l'Argentina. L'inflazione è ai massimi, come quando la compagnia nazionale petrolifera Ypf era stata venduta alla compagnia spagnola Repsol. Purtroppo gli investimenti stranieri hanno finora portato più sfruttamento che un'effettiva ripresa economica».
Con la popolazione che ha perso metà del potere di acquisto negli ultimi tre anni, le condizioni sociali sono comparabili a quelle di altri Paesi sudamericani. «Se non paragonabile, almeno nelle cause, con quella Venezuelana», ha concluso Annecchiarico, «le difficoltà dell'Argentina di oggi, simili a quelle di 20 anni fa, si avvicinano a quelle del Brasile e dell'Ecuador. Le politiche economiche degli ultimi anni non hanno portato crescita e benessere alla popolazione, ma sono rimaste oggetto del guadagno di piccole elite, a volte nutrite perfino da governi corrotti. E sono sempre gli ultimi a pagarne le conseguenze».
Lorenzo Nicolao - Agenzia Stampa Italia