(ASI) E’ una minaccia di attacco che potrebbe restare tale, soprattutto per la ferma reazione della Russia. E’ comunque un fatto che una insana alleanza bellicista euro-americana sta compiendo un altro passo in avanti: in prima fila Donald Trump, poi la Francia di Macron e infine l’Inghilterra della May, affascinata probabilmente dal suo focoso ministro degli esteri, Boris Johnson, quello della bufala del caso Skripal, obbiettivo anche in quel caso Putin.
Comunque finisca, quel che spaventa chi ha a cuore la pace e il rispetto del diritto internazionale, è la filosofia che sorregge la mossa di Trump e dei suoi seguaci: Washington, Londra e Parigi, vogliono ripetere la criminale impresa del 2011 contro la Libia di Gheddafi. Non un intervento a favore del governo legittimo di Tripoli, ma una guerra di distruzione di un regime all’epoca inviso a Hillary Rodham Clinton, dichiaratamente vogliosa di metter le mani sull’oro del leader libico; al britannico Cameron, sionista per sua esplicita rivendicazione; e a Sarkozy, il criminale “espion du Mossad” secondo il lapidario giudizio di Le Figaro, colui che iniziò a bombardare l’allora alleato dell’Italia mentre era in corso un vertice a Parigi sull’introduzione di una “no-fly-zone” anti-Gheddafi, il 19 marzo 2011.
Adesso si profila un bis, con gli stessi protagonisti: la May degna erede di Cameron, Macron, l’enfant prodige che si è fatto le ossa lavorando per i Rothschilds, e appunto Trump, che con molta disinvoltura (e senza nessuna prova sui presunti attacchi chimici a Douma) ha definito Assad un “animale”, a radicale delegittimazione dell’impegno della Russia in difesa del presidente siriano. Il bestione americano parla di “missili intelligenti” che però non sono quelli puntati contro i jahdisti e i foreign fighters in Siria, in guerra contro Assad, ma contro lo stesso presidente siriano, costretto ad abbandonare la propria residenza per timore di un bombardamento mirato. Trump sembra non avere la minima coscienza di come ci si debba muovere nelle relazioni internazionali: si comporta come un cow-boy, come un elefante in un negozio di vetri e di cristalli. Cosa ci sia dietro questa deriva, può essere fonte di diverse interpretazioni: le pressioni interne del Russiagate, dell’accusa cioè che Mosca avrebbe interferito nelle elezioni presidenziali del 2016 per favorire appunto Trump. Da cui il suo iperattivismo antirusso, che – udite udite – ha richiamato la partecipata attenzione addirittura dell’ex segretario di Stato Madeleine Albright, il superfalco che nel 1998, col vertice di Rambouillet, tentò di obbligare il presidente jugoslavo Milosevic ad accettare la presenza delle truppe e delle bandiere NATO in tutto il territorio della “piccola Jugoslavia”, e che incassato il dignitoso no del leader di Belgrado, gli scatenò contro la guerra del 1999.
Libia 2011 e Yugoslavia 1999, sono i due modelli di riferimento di Trump, May e Macron. E di Netanyahu, che dichiarando di rifiutare la presenza iraniana in Siria, dimostra ancora una volta la sua arroganza. Per lui la Siria è già una colonia, che deve comportarsi secondo i suoi desiderata. A Israele Putin ha chiesto di non intervenire, una presa di posizione opportuna, ma che non è detto venga rispettata dallo Stato ebraico. Anzi, visti i precedenti – il bombardamento dell’aereoporto di Homs, l’uccisione di iraniani colpevoli di difendere assieme ai russi la sovranità siriana – e vista la disinvolta ennesima aggressione alla striscia di Gaza e a Hamas, è probabile che Tel Aviv continui a destabilizzare la regione, in parallelo con la minaccia di Trump. Manovre di guerra di cui è irresponsabilmente partecipe anche l’Italia. Il nostro eterno Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, dichiara ipocritamente il suo impegno per la pace, ma intanto solidarizza con i “nostri” alleati, tra l’altro permettendo che la base di Sigonella venga utilizzata come supporto logistico delle minacce americane. Uno scempio, che rende evidente che, fino a quando non ci sarà in Italia un governo a guida Salvini, il nostro paese continuerà a parlare di pace lavorando attivamente alla guerra, contro la Siria e contro la Russia.
Prof. Claudio Moffa