(ASI) Il bilancio di ieri è stato drammatico, come quello della settimana prima. Anche il secondo venerdì della “Grande marcia del ritorno” si è concluso, al confine tra Israele e Gaza, in modo tragico: 20.000 partecipanti, 9 palestinesi uccisi (salgono così a 32 dallo scorso 30 marzo), 1354 feriti di cui 491 colpiti da arma da fuoco e 33 versano in gravi condizioni.
La dimostrazione è stata promossa da Hamas per ricordare l’esproprio giudicato come illegittimo, avvenuto nel 1976, di alcuni territori arabi da parte delle autorità di Tel Aviv.
L’area in cui sorge la barriera, che separa lo Stato ebraico dalla Striscia, è stata dichiarata “zona militare chiusa” per motivi di sicurezza. Qualsiasi attività può avvenire, dunque, solo se consentita dall’esercito di Netanyahu. I soldati di quest’ultimo hanno confermato, in una nota, di aver aperto il fuoco “come da direttive” e usato i “mezzi per disperdere i manifestanti”, nonostante le critiche espresse da alcuni paesi in seguito alle violenze avvenute poco prima di Pasqua. La Lega Araba ha proposto un’inchiesta indipendente dell’Onu su tali episodi, suggerimento che non è stato ancora accolto per il veto posto dalla Casa Bianca, stretta alleata da sempre di Israele, al Palazzo di Vetro.
Marco Paganelli – Agenzia Stampa Italia