Tibetani in esilio. Visti negati dall'Italia, ennesimo pretesto per attaccare Pechino
the scenery 2470154 1280(ASI) Nelle scorse settimane è salita alla ribalta delle cronache italiane la vicenda dei cosiddetti tibetani in esilio. Ad alcuni membri di questa comunità, le autorità consolari italiane operative sul suolo indiano avrebbero negato l'ingresso nel nostro Paese per la partecipazione ad alcune cerimonie religiose.
Molti tra i commentatori più schierati si sono immediatamente adoperati per denunciare questo divieto, attribuendone più o meno esplicitamente la decisione ad una presunta sudditanza del nostro governo rispetto alla Cina, sebbene Pechino sia evidentemente estranea a questa vicenda diplomatico-burocratica tra Italia ed India.
Appare più verosimile, invece, che la pressione che l'Italia sta subendo da Bruxelles e dagli altri partner europei per accelerare le procedure di espulsione delle centinaia di migliaia di migranti economici sbarcati in questi anni dall'Africa, abbia spinto le nostre diplomazie ad irrigidire le pratiche sulla concessione dei visti anche nei confronti dei 150.000 tibetani in India che, malgrado l'incertezza sul loro luogo di nascita, godono dello status di profughi o di rifugiati e potrebbero dunque chiedere asilo politico in massa nel nostro Paese, aggravando una situazione già preoccupante.
Al di là delle questioni burocratiche, tornano a farsi sentire in Italia le rivendicazioni politiche dall'Amministrazione Centrale Tibetana, nota anche come "governo tibetano in esilio", insediata a Dharamsala, nell'India settentrionale, e composta principalmente dalle famiglie e dai discendenti dei rivoltosi che nel 1959, col sostegno della CIA, tentarono di rovesciare l'autorità cinese sulla regione per poi fuggire dal Paese. A questa si affiancano la Fondazione Dalai Lama e l'organizzazione Free Tibet, con le sue ramificazioni internazionali, che costituiscono una fitta rete di propaganda sempre pronta a diffondere l'immagine manipolata di un Tibet perduto, "florido, spirituale e pacifico", che oggi sarebbe "dominato ed oppresso" dal governo "materialista e inquinatore" di Pechino e che, dunque, dovrebbe essere "liberato". Basata a Londra, sotto la direzione di Eleanor Byrne-Rosengren, Free Tibet gode del supporto di importanti fondazioni ed istituti, tra cui Amnesty International, l'Open Society di George Soros, Human Rights Watch e Radio Free Asia, il canale radiofonico multilingue supervisionato dall'agenzia governativa americana Broadcasting Board of Governors (BBG).
 
Rivendicazioni inaccettabili
Dopo decenni di contrapposizione, seguiti alla prima pacificazione sancita dall'Accordo dei 17 Punti del 1951 con cui lo stesso Dalai Lama riconosceva la sovranità cinese sul Tibet, nel corso degli ultimi anni Tenzin Gyatso ha proposto a Pechino il perseguimento della cosiddetta Via di Mezzo, una specie di riconciliazione tra cle parti. Questa soluzione prevede in sostanza l'applicazione dello schema Un Paese, Due Sistemi, già utilizzato da Pechino per la riannessione di Hong Kong e Macao negli anni Novanta. Il Dalai Lama vorrebbe così tornare al potere, in virtù di una più accentuata autonomia della regione, lasciando a Pechino la competenza nei soli ambiti della difesa e della politica estera.
Tale ipotesi è tuttavia improponibile, e non soltanto perché la Cina la considera come la creazione di «uno Stato nello Stato». Se fino al momento della loro riunificazione alla Cina, Hong Kong e Macao erano due colonie (una britannica e l'altra portoghese) con sistemi economici capitalistici avanzati e legislazioni mutuate dai modelli europei, il Tibet pre-1951 era invece un regime teocratico e feudale, dominato da una piccola casta di nobili e sacerdoti, in cui circa il 95% della popolazione era composto da tre classi sociali: i tralpa, veri e propri servi della gleba che lavoravano appezzamenti di terra secondo il sistema della corvée, i duiqoin, famiglie di piccolissimi proprietari agricoli, e i nangzan, schiavi ereditari privati della libertà personale e di qualsiasi mezzo di produzione.
Nel suo The Unveiling of Lhasa, il corrispondente di guerra britannico Edmund Candler, recatosi nella capitale tibetana nel 1904 al seguito delle truppe di Sir Francis Edward Younghusband, scrisse a riguardo della società locale dell'epoca: «Le persone sono medievali, non solo per il loro sistema di governo e per la loro visione religiosa, la loro inquisizione, la loro ritualità, la loro idea di reincarnazione, le loro prove del fuoco e dell'olio bollente, ma in ogni aspetto della loro vita quotidiana». Secondo la legge vigente al tempo, insomma, i padroni e i servi erano inconciliabilmente diversi. I primi avevano potere assoluto sulla vita dei secondi, mentre per chiunque tentasse di ribellarsi a questo rigido sistema i codici prevedevano punizioni terribili, tra cui il cavamento degli occhi, l'incisione delle carni o della lingua, il taglio delle mani o dei piedi, l'estrazione dei tendini e l'incatenamento.
 
Il Tibet è in pieno sviluppo
Ogni volta che si parla di Tibet, nel nostro Paese scatta un riflesso pavloviano che fa da trait d'union tra destra e sinistra, cattolici e radicali, conservatori e democratici che, per interessi politici, ignorano, o fingono di ignorare, questi orribili aspetti del passato locale. La questione tibetana torna così regolarmente d'attualità allo scopo di denunciare un fantomatico genocidio etnico e culturale, in realtà inesistente, ai danni della comunità buddhista indigena. Fermo restando che in tutta la Cina ad oggi vivono e professano liberamente la propria fede circa 205 milioni di buddhisti, l'ultimo censimento ha registrato in Tibet 3,175 milioni di abitanti, triplicati dal 1951 e raddoppiati dal 1970. Di questi, il 92% circa è composto da tibetani etnici, che compongono la gran parte degli organi legislativi locali, mentre al restante 8% appartengono le 40 minoranze della regione (Han, Mongoli, Naxi, Na, Hui, Zhuang, Moinba, Lhoba ecc. ...).
I dati ufficiali contenuti nell'ultimo libro bianco dedicato alla Regione Autonoma del Tibet, dal titolo Prassi Vincente di Autonomia Etnica Regionale in Tibet, pubblicato nel settembre 2015, delineano un regione in forte espansione economica, capace di sviluppare un tessuto sociale e produttivo in linea con le caratteristiche e le tradizioni locali grazie anche all'introduzione di meccanismi democratici e partecipativi all'interno della quasi totalità dei villaggi tibetani. Tra il 1965, anno dell'istituzione della regione autonoma, e il 2014, il PIL tibetano è cresciuto da 327 milioni a 92,08 miliardi di yuan, segnando un incremento pari a 281 volte. Nello stesso periodo, Il valore aggiunto industriale della regione è passato da 9 milioni a 6,616 miliardi di yuan, in crescita di ben 735 volte, mentre il commercio estero è salito da quota 7 milioni a quota 2,255 miliardi di dollari, ad un ritmo medio annuale del 12,5%. Nel ventennio 1994-2014, la crescita media annuale del PIL locale ha raggiunto quota 12,4%, segnando un tasso a doppia cifra per venti anni consecutivi.
Dopo il ridimensionamento delle attività estrattive, lo sviluppo industriale ha seguito principalmente le caratteristiche locali, puntando su settori quali la medicina tradizionale tibetana, l'artigianato popolare, l'agro-alimentare biologico e le nuove energie, oltre al turismo e ai servizi. Nel solo 2014, la Regione Autonoma del Tibet ha registrato l'ingresso di oltre 15 milioni di visitatori dal resto della Cina e dall'estero per un introito complessivo pari a 20,4 miliardi di yuan, grazie alle nuove linee di trasporto aeree che collegano Lhasa con Pechino ed altre città della Cina e dell'Asia, e alla straordinaria Ferrovia del Qingzang, che nella lunga tratta tra Golmud (Qinghai) e Lhasa raggiunge il picco massimo dei 5.072 metri di altezza sul livello del mare nei pressi della Stazione del Passo Tanggula, attivata nel 2006, transitando sul permafrost.
Il Tibet è inoltre entrato pienamente nell'era digitale, avvalendosi di moderni sistemi di telecomunicazione in fibra ottica che collegano ad Internet la regione grazie a 97.000 km di cablaggio, permettendo a circa 670 tra distretti e città, in 74 province, di usufruire dei servizi della rete, per una copertura complessiva pari al 97,8% dei centri abitati. Il numero degli utenti Internet in Tibet è oggi pari a circa 2,2 milioni, con una penetrazione di oltre il 70%.
 
Frontiera spirituale e ambientale
Sul versante della salvaguardia del patrimonio culturale e religioso, tutti i templi e i luoghi di culto sono preservati e protetti. A partire dagli anni Ottanta, infatti, Pechino ha stanziato fondi per la conservazione, la ristrutturazione e la protezione degli edifici storici: 1,4 miliardi di yuan sono andati al restauro dei reperti culturali tibetani e alla ristrutturazione dei monasteri più importanti, ricorrendo anche ad ingenti quantità di oro, argento e gioielli per rinnovare gli stupa e le cappelle risalenti al periodo compreso tra il 5° ed il 9° Panchen Erdeni; 20 milioni di yuan hanno riguardato la ristrutturazione del Monastero di Ganden; altri fondi sono stati destinati alla protezione del Palazzo di Potala, la residenza di Norbulingka e al Monastero di Sakya.
In generale ci sono in Tibet 1.787 luoghi di culto ed oltre 46.000 tra monaci e monache residenti, che accolgono milioni di pellegrini dal resto della Cina e da tutta l'Asia in visita presso i luoghi sacri o in occasione delle principali ricorrenze religiose. Pechino e Lhasa sono i due principali centri di formazione dottrinale degli aspiranti monaci grazie alle attività dell'Istituto Linguistico Superiore di Buddhismo Sino-Tibetano e dell'Istituto Buddhista Tibetano, a cui si aggiungono gli oltre 60 monasteri di varie scuole sparsi nella regione.
Il Tibet è anche una frontiera unica dal punto di vista ambientale, grazie alle sue 47 riserve naturali, che coprono quasi il 35% della superficie complessiva della regione, alle sue 22 riserve ecologiche, ai suoi 4 scenari panoramici, ai suoi 9 parchi forestali, ai suoi 10 parchi acquatici e ai suoi 4 parchi geologici, dove vivono in regime di protezione e salvaguardia 141 specie animali selvatiche e 38 specie vegetali. La superficie forestale totale è pari all'11,98% del territorio, con un'area complessiva di oltre 14,7 milioni di ettari ed un volume boschivo pari a 2,262 miliardi di metri cubi. La riserva naturale di Hoh Xil, situata nell'Altopiano del Tibet, è stata da poco decretata patrimonio mondiale dell'umanità dall'UNESCO, andandosi ad aggiungere nell'elenco agli altri 51 siti protetti sparsi in tutta la Cina, tra cui lo stesso Palazzo di Potala.
 
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia
 
 

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