In una conversazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre, il religioso denuncia il drammatico aumento delle violenze. Il mese scorso, nella diocesi di Bouar, i membri della coalizione Seleka ribelli hanno compiuto numerosi attacchi costringendo gli abitanti alla fuga. «Nella sola città di Bohong sono state bruciate più di 3500 case, mentre più dell’80% della popolazione ha abbandonato il villaggio di Bossangoa, teatro di terribili scontri che hanno causato più di sessanta morti». E a Bohong i ribelli hanno ucciso una trentina di persone e dato alle fiamme oltre 2.000 case per costringere gli abitanti ad emigrare.
Almeno 14 villaggi sono ormai completamente deserti: città fantasma dove non rimangono che i cadaveri delle vittime. In tanti cercano rifugio altrove e la missione carmelitana di Bozoum ha accolto più di 6.500 rifugiati. «È commovente ascoltare i loro racconti – dice padre Aurelio – Si tratta di donne che hanno perso il proprio marito e di papà che hanno visto uccidere il proprio figlio. Tuttavia, nonostante le atrocità subite, nel loro cuore non c’è odio né rabbia, ma soltanto dolore e stanchezza».
Il religioso riferisce di una «commistione pericolosa tra diversi gruppi armati e di una sempre maggiore propensione alla violenza dei membri della Seleka». Ma a preoccupare padre Aurelio sono soprattutto gli effetti che la drammatica situazione centrafricana ha sui rapporti interreligiosi. «Un tempo i fedeli di credo diverso convivevano pacificamente, ma l’arrivo dal Sudan e dal Chad di ribelli musulmani ha contribuito alla creazione di una frattura tra la comunità islamica e il resto della società». Il missionario sottolinea inoltre come le abitazioni musulmane siano state risparmiate dagli attacchi, al contrario di quelle cristiane. «Non una singola casa musulmana è stata bruciata. In alcuni casi gli islamici centrafricani hanno perfino indicato ai ribelli quali abitazioni distruggere e saccheggiare. È come se questo colpo di stato abbia tirato fuori il peggio dal loro cuore».
Guardando al futuro, padre Aurelio non esclude che possano scoppiare nuovi scontri. E seppure le violenze dovessero finire all’istante, ci vorrebbero comunque anni per ricostruire il paese. «Ci vorrà ancora più tempo per ricreare una convivenza serena. Lo stato è assente e nessuno sembra interessarsi alle sorti del paese. Fortunatamente, però, la fede dei centrafricani è forte e viva, e la frase che ripetono più spesso è ancora “Nzapa a Yeke”: Dio c’è».
Nei mesi scorsi Aiuto alla Chiesa che Soffre ha stanziato contributi straordinari in favore della Chiesa centrafricana per un totale di 200mila euro.