Già nei giorni precedenti secondo il Ministero della Sanità egiziano c'è stato un gravoso bilancio di sette morti e seicento feriti in scontri fra l'opposizione e le forze dell'ordine ed i contro manifestanti in varie città. Sedi dei Fratelli Musulmani sono state messe a fuoco, e cinque dei manifestanti uccisi erano militanti del movimento.
Quest'oggi sin dalla notte in piazza Tahrir a Il Cairo migliaia di manifestanti hanno già occupato la posizione per una giornata di grande importanza ed alta tensione, convocata in tutto il paese.
Il movimento portavoce del malcontento popolare è Tamarod, la cui traduzione italiana è “Ribelli”. Esso ha raccolto 22milioni di firme per chiedere le dimissioni del Presidente Morsi a nome della parte più giovane e laica dell'elettorato egiziano. Se il numero di firme si rivelasse preciso equivarrebbe a circa un quarto della popolazione, che potrebbe eventualmente scendere in piazza alla chiamata del movimento. Un numero per adesso maggiore degli elettori di Morsi nelle passate elezioni, circa 13.23 milioni.
Il portavoce di Tamarod, Mahmoud Badr, ha dichiarato: «E' finita. Il popolo ha fatto cadere il regime. Abbiamo 22 milioni di firme. Chiediamo loro di riunirsi in tutte le piazze del paese domani.»
Le accuse mosse contro Morsi vertono sulla eccessiva islamizzazione del paese, culminata in una nuova Costituzione ponderata secondo i dettami dei Fratelli Musulmani. E' dunque imputato a Morsi il non mantenimento degli impegni di moderazione presi. I deputati del partito liberale si sono dimessi dal Consiglio della Shura, la camera alta del Parlamento.
Il Presidente ha risposto alle accuse dicendo che se gli impegni non sono stati mantenuti la colpa è da imputare a chi lavora contro il governo, dunque sia colpa dell'opposizione sia dei nemici esterni della nazione. Ha escluso in modo deciso l'ipotesi di dimissioni, dichiarando a The Guardian: «Non c'è spazio di discussione su questo punto. Ci possono essere manifestazioni e le persone possono esprime la loro opinione ma il punto cruciale è l'applicazione della costituzione. Questo è il punto cruciale.».
Morsi ha definito gli esecutori delle violenze dei giorni scorsi come dei “teppisti corrotti”, armati dall'ancient regime.
I sostenitori del governo hanno liquidato come inutile la petizione, sottolineando il valore delle elezioni democratiche per la determinazione politica del paese. «Non sarà una seconda rivoluzione», ha detto Morsi alla stampa britannica.
La data non è casuale: un anno fa Morsi si insediava al governo dopo le prime elezioni libere e democratiche dell'Egitto dopo venti anni di regime. Ma per la giornata del 30 giugno il clima che si respira non è affatto di celebrazione, piuttosto di un grosso baratro per il paese.
Arabi ed occidentali stanno lasciando Il Cairo e l'Egitto, e gli Stati Uniti, di cui uno dei morti negli scontri era cittadino, monitorano con attenzione la situazione esplosiva.
L'americano morto era uno studente che stava fotografando ad Alessandria gli scontri in piazza Sidi Gabr. Così il governo americano ha provveduto ad evacuare i propri cittadini durante la settimana, ed autorizzato la presenza di un numero limitato di membri dello staff diplomatico.
Anche sei italiani di Genova impegnati in Ong umanitarie sono bloccati ad Alessandria, dove al momento risulta impossibile la loro uscita dal paese per problemi interni.
Gli imam della capitale hanno rivolto un appello alla popolazione per chiedere che non ci siano violenze.
Ma i Fratelli Musulmani e gli alleati islamici del Presidente scenderanno anch'essi in piazza per difendere i baluardi conquistati. Un preludio che in passato si è rivelato sanguinoso e nefasto.
Per avere una visuale a lungo raggio del futuro del governo Morsi bisognerà dunque attendere gli esiti di una ventiquattro ore di fuoco.
Maria Giovanna Lanotte – Agenzia Stampa Italia