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Repubblica Centrafricana. A.C.S. :  “I musulmani al potere e il silenzio dei media”

(ASI )Lettere in Redazione - Non meno di trecento morti tra i civili. Scuole ed ospedali ancora chiusi. Le casse dello Stato vuote e le forze dell’ordine fuggite. Furti e saccheggi sono all’ordine del giorno e tutte le attività economiche e finanziarie sono bloccate. A due mesi dal colpo di stato realizzato dalla coalizione ribelle Seleka, la Repubblica Centrafricana non trova pace.

Aiuto alla Chiesa che Soffre ha appena approvato un contributo straordinario di 160mila euro in favore di quattro delle nove diocesi centrafricane, in aggiunta ai 40mila euro donati lo scorso gennaio alla diocesi di Kaga Bandoro.

«Il clima ora è meno teso – racconta ad ACS padre Aurelio Gazzera, missionario appartenente all’ordine dei Carmelitani Scalzi – ma la popolazione continua ad avere paura. Non vi è alcuna prospettiva di miglioramento. Le scuole sono chiuse da mesi e nessuno percepisce più il salario». Nel Paese africano dal 1992, padre Aurelio vive a Bozoum dal 2003, piccola cittadina 350 chilometri a Nord della capitale Bangui, ed è direttore della Caritas diocesana di Bouar. «Non è la prima volta che avviene un colpo di stato in Centrafrica – riferisce - ma generalmente sono episodi che si esauriscono in qualche giorno di violenze e saccheggi e che riguardano principalmente Bangui. Stavolta la situazione è drammatica».

I principali obiettivi dei ribelli sono stati finora i non-musulmani, in particolare le missioni e le Chiese cattoliche. «Ciò costituisce un ulteriore fattore di rischio, perché contribuisce alla nascita di tensioni religiose in un Paese in cui non vi sono mai state». I cristiani hanno comprensibilmente paura, ma possono contare sul conforto della Chiesa. «Nella nostra diocesi tutte le missioni sono rimaste e questo ha sicuramente contribuito ad incoraggiare i fedeli. Siamo gli unici ad aiutare questa gente».

Alcune fonti locali ritengono che i numerosi furti di auto e di computer appartenenti a diocesi e missioni, avrebbero l’obiettivo di annullare le attività pastorali. Una mossa questa che preluderebbe all’introduzione della legge coranica e alla trasformazione della Repubblica Centrafricana in una repubblica islamica. «Al momento non si parla di sharia, ma non è detto che non avvenga in futuro. Tuttavia non si può ignorare la massiccia presenza islamica nel governo, in un Paese in cui i musulmani sono appena il 15% ed i cristiani il 66%». I ministri del governo di unità nazionale, istituito a inizio anno dopo gli accordi di Libreville, sono in maggioranza musulmani e anche la composizione religiosa del nuovo consiglio di transizione conferma questa tendenza. «Ma è ancor più grave che gli attuali detentori del potere non abbiano alcun senso dello stato. Continuano a confondere i ribelli con l’esercito e perfino con la politica. Ora che hanno preso il potere, i ribelli non hanno più ragione di esistere».

Altro elemento preoccupante è l’ingerenza di Ciad e Sudan, da cui proviene la maggioranza dei ribelli. «Qualche giorno fa’ uno di loro mi ha detto che siamo in guerra e che la Repubblica Centrafricana è una provincia del Ciad. Peraltro in quanto stranieri parlano l’arabo e non il Sango  ed è impossibile dialogare con loro». In più di un’occasione padre Aurelio ha cercato il confronto con membri della Seleka, in seguito a furti, violenze e casi di sequestro. Il coraggio del missionario è tale che la gente del luogo lo chiama «l’uomo che ha piegato i fucili ai ribelli». Alcuni episodi sono raccontati nel blog, Bozoum in diretta, in cui il religioso posta notizie ogni settimana. Per il missionario carmelitano i media hanno il cruciale compito di raccontare la tragedia centrafricana. «Molte delle decisioni sono prese a livello internazionale ed è bene che circoli il maggior numero di informazioni possibile».

Tuttavia la Repubblica Centrafricana è spesso dimenticata dai mezzi di comunicazione. «Nelle ultime settimane si è parlato soprattutto dell’uccisione di 26 elefanti in un parco nazionale. D’accordo è importante, ma dal 24 marzo sono morte trecento persone. Se si continua a tacere, il Paese rischia di essere abbandonato a se stesso e di trasformarsi in un inferno. La Chiesa è una delle poche voci che riesce a scuotere le coscienze».

 

 

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