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Le relazioni fra Iran e Stati Uniti all'indomani della guerra economica

(ASI) Le relazioni diplomatiche fra Iran e Stati Uniti si sono ulteriormente complicate lo scorso 6 febbraio. Il Dipartimento del tesoro americano ha annunciato infatti nuove misure economiche contro il settore petrolifero e le tele comunicazioni iraniane. La nuova tranche di sanzioni vieta ai partners degli Stati Uniti di pagare il petrolio iraniano in denaro, e impone il pagamento con merci per contrastare l'entrata di valuta estera nel paese. Data la lunga persistenza dell'embargo americano, è evidente che si punta all'inibizione con i partners asiatici come Cina e India. Inoltre Washington sanzionerà le operazioni della Banca centrale dell'Iran di rimpatrio di fondi depositati all'estero.

La moneta iraniana, il Riyal, si è già svalutata nell'ultimo anno dell'80% rispetto al dollaro americano a causa della politica sanzionatoria di Obama, condannando ad una grave crisi industriale il paese. Tenendo conto che l'80% della valuta estera che entra in Iran deriva dalla vendita di petrolio e gas, la nuova tranche appare paralizzante.

L'attenzione di Washington si è inoltre spostata sulle emittenti statali di Teheran, censurando l' Islamic Republic of Iran Broadcasting e il suo direttore Ezzatollah Zarghami. Inoltre il canale PressTV e la piattaforma di film iraniani iFilm sono stati rimossi dalle trasmissioni satellitari di Stati Uniti e Canada.

La scorsa settimana a Bruxelles la Corte di giustizia europea ha dichiarato illegali le misure restrittive dell'UE verso la banca iraniana Sadarat. La settimana precedente la Corte aveva annullato le sanzioni verso la banca Mellat, e a dicembre verso la banca privata Sina. La sentenza è chiara: non ci sono prove del coinvolgimento delle banche in un programma militare.

Le politiche di UE e Stati Uniti appaiono dunque contraddittorie sull'ingerenza nella sovranità nazionale dell'Iran.

“Si fa sempre più corta la lista dei paesi autorizzati ad acquistare il petrolio della Repubblica Islamica senza violare le sanzioni degli Stati Uniti”, sono queste le parole del sottosegretario americano al Tesoro David Cohen. “Dovranno effettuare i pagamenti al di fuori dell’Iran, per impedire a Teheran l’accesso a fondi”, ha spiegato Cohen. “Finché l’Iran continuerà a non rispondere alle preoccupazioni della comunità internazionale circa il suo programma nucleare, gli Stati Uniti imporranno sanzioni sempre più severe e intensificheranno le pressioni economiche contro il regime iraniano”.

Il paradosso di queste dichiarazioni è stato il retroterra, ovvero la mano tesa al dialogo dal vice presidente americano Joe Biden a Monaco il 2 febbraio in occasione della Conferenza sulla sicurezza. Biden in presenza di Ali Akbar Salehi, ministro degli esteri di Teheran, ha parlato di intavolare negoziati a due sul programma nucleare se c'è la volontà di iniziare discussioni “serie”. Ad osteggiare questa prospettiva sono stati l'Arabia Saudita e Israele, quest'ultimo reduce dalla vittoria alle politiche di Netanyahu all'insegna del muovere guerra a Teheran. I due stati stanno facendo pressione sugli States per un' operazione militare che parta dalla Siria di Assad per accerchiare e colpire l'Iran. Il 30 gennaio scorso Israele ha già bombardato la Siria.

“Voi (gli americani, ndr) avete puntato la pistola contro l'Iran e state dicendo che: 'negoziate o premiamo il grilletto'! Dovrete sapere che la pressione e il negoziato non si sposano, e il popolo iraniano non si farà intimidire dalle vostre minacce”, ha affermato l'Ayatollah Ali Khamenei, guida suprema dell'Iran, in merito all'offerta di Biden. “Io non sono un diplomatico. Sono un rivoluzionario e parlo con franchezza, onestà e fermezza. La proposta del dialogo non ha alcun senso quando la parte che offre il dialogo non mostra la buona volontà”. Ha poi concluso: “Noi, naturalmente, comprendiamo che gli americani necessitano di avviare il negoziato, perchè la loro politica mediorientale ha fallito, e per rimediare gli errori commessi, hanno bisogno di una carta vincente che è il dialogo”.

Il Presidente Ahmadinejad è intervenuto in merito da Il Cairo il 7 febbraio: “I negoziati vengono organizzati per arrivare a un'intesa, non per imporre qualcosa. Tali colloqui sono inutili se qualcuno solleva la clava e impone decisioni all'Iran”. Ha osservato: “I colloqui hanno un senso soltanto se basati sul rispetto reciproco, sulla giustizia e sull'uguaglianza”. Il Presidente ha poi preannunciato: “Le cose andranno bene se gli americani correggeranno il modo in cui si rapportano a noi”.

Per mettere la parola fine a queste tensioni bisognerà aspettare il 25 febbraio, quando ad Astana in Kazakistan le cinque potenze mondiali Stati Uniti, Russia, Francia, Cina, Inghilterra, con la moderazione della Germania e dell'UE, metteranno all'ordine del giorno la questione del programma nucleare iraniano.

 

Maria Giovanna Lanotte – Agenzia Stampa Italia

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