Il gruppo, che si è data la denominazione “Tempesta di idee per un congresso che riapra i cantieri del PD”, ha esaminate le ventilate ipotesi di rinvio del congresso rispetto alla già tardiva data di convocazione fissata ufficiosamente per la fine dell’anno.
Lo spostamento al 2014 significherebbe incorrere in un aggiornamento che incrocerebbe due appuntamenti importanti quali le elezioni europee e quelle per le amministrazioni locali, con il rischio quasi certo di saltare alla seconda metà dell’anno.
Significherebbe continuare a vivacchiare con decisioni alla giornata, come si sta facendo – a prescindere dal merito - da quando nel novembre 2011 fu decisa una svolta fondamentale quale l’appoggio al governo Monti senza chiedere al partito una convalida neppure a posteriori
Per cui, confermando la nostra scelta per il Pd, e sgombrando il terreno da ipotesi di divisioni al limite delle scissioni, ma rispettando un impegno di democrazia che deve essere il brand di riconoscimento del Pd, chiediamo:
• che venga convocato senza ulteriori ritardi di data il congresso nazionale, semmai anticipandone la convocazione qualora la situazione politica generale dovesse malauguratamente precipitare,
• che si fissino regole che consentano la partecipazione di iscritti e non iscritti fin dalla sua preparazione,
• che si stimolino i circoli territoriali a promuovere un contributo forte da parte dei giovani e delle competenze
• che il congresso dia luogo a un rinnovamento del partito che premi i meriti dimostrati e non le appartenenze correntizie.
Tempesta di Idee
Documento aperto per un congresso che riapra i cantieri
Sommario
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1. Riaprire i cantieri dentro una cornice cambiata dalle fondamenta 3
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2. 1989: fine della paralisi mondiale 3
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3. Le future responsabilità del Pd 4
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4. Dopo le elezioni di febbraio. Un anno perso 5
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5. I sacrifici del paese 5
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6. Le scelte elettorali del Pd 6
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7. Le elezioni e la proposta respinta 7
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8. Finalmente il congresso, il secondo dopo sei anni 7
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9. La nascita del Pd. Come eravamo 8
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10. Una curva discendente 8
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11. Un paese in crescita 9
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12. Lo stop 10
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13. Un buco di egemonia – C’era una volta Enrico Berlinguer 11
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14. Il Pd – la sua storia - i congressi 11
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15. Il Pd – la sua storia – le elezioni primarie 12
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16. Bilancio complessivo 13
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17. Idee per fermare la discesa: un partito di base, fatto di iscritti
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e non iscritti 13
- 18. Idee per il futuro del Pd: i non iscritti, inquilini o comproprietari? 14
- 19. Idee per il futuro del Pd – i circoli territoriali e la società
delle competenze 15
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20. Idee per il futuro del Pd – le nuove generazioni 16
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21. Una selezione di idee finali per un congresso dell’innovazione 16
1.Riaprire i cantieri dentro una cornice cambiata dalle fondamenta
Il Partito democratico celebra il suo nuovo congresso nazionale in una cornice generale totalmente irriconoscibile rispetto a quella affrontata alla fine del primo decennio del nuovo secolo quando furono gettate le sue fondamenta.
Non si tratta solo dei cambiamenti intervenuti negli assetti economici e finanziari in Europa e nel mondo dopo la grande crisi iniziata nel 2007, ma di un dissesto più generale che ha investito tutto ciò che connota un’epoca a livello della vita civile e dei suoi presupposti etici.
Siamo nella transizione tra un’epoca che abbiamo chiamato “età moderna” e che sostituì il Medio Evo, e l’epoca nuova che la sostituirà, e che avrà un nome altrettanto epocale ma ancora in discussione per noi contemporanei che viviamo la transizione.
Una transizione in cui stiamo per lasciare alle spalle vecchi paradigmi divenuti inutili e fuorvianti, senza essere ancora in possesso di quelli nuovi con i quali progettare il futuro e costruire il progresso. Questa cornice sostituisce a tutte le certezze nelle quali ci siamo formati la certezza dell’incertezza, che impone di analizzare gli accadimenti rispettando la condizione centrale dell’indeterminatezza.Con una evidenza: quella sullo spartiacque centrale che separa la nuova epoca dalla vecchia, il “digital divide”, strumento fondamentale della comunicazione nella società globalizzata che unifica sette miliardi di umani.
2. 1989: Fine della paralisi mondiale
Puntando il cannocchiale sul passato e solo per ragioni di sistematica, possiamo collocare un simbolico punto di giuntura tra vecchio e nuovo negli avvenimenti del novembre 1989 quando il crollo del muro di Berlino rimise in movimento il teatro della storia rimasto fermo per tutto il dopo Yalta. Non un crollo, allora, ma una liberazione rispetto a una paralisi cinquantennale in cui a livello di macropolitica nulla doveva muoversi pena il massacro nucleare.
Dopo di che tutto si è rimesso vorticosamente in moto, come se un ferma-immagini magico avesse incantato per mezzo secolo il carillon della commedia umana, per riguadagnare in fretta e furia il tempo perduto mettendo in piedi un succedersi di scene talmente celere da presentarsi deformato e incomprensibile, senza significato apparente. Ma in realtà senza che fossimo capaci di dare un senso agli avvenimenti che si snocciolavano sotto i nostri occhi.
3. Nuove responsabilità per il Pd
E’ in questo vortice che l’avvicinarsi del congresso ci chiama a decisioni in cui dobbiamo sbagliare il meno possibile. Ordinando le nostre idee intorno a due assi cartesiani:
- il partito democratico c’è: nato in un periodo di crisi generale dei partiti politici il Pd ha vinto la sfida della sopravvivenza, unico tra tutti nella Prima repubblica
- il partito democratico non è quello che avrebbe dovuto essere: errori equivoci e compromessi ne hanno minato infanzia ed adolescenza, al di là delle inevitabili contraddizioni che sono il lievito e il sale dello sviluppo di ogni nuova formazione sociale.
Da cui due conclusioni: i partiti politici di oggi (che sono quelli di ieri) sono giunti probabilmente alla conclusione di un ciclo storico, tesi sostenuta da molti sociologi e recentemente da Ilvo Diamanti; il partito democratico, unico sopravissuto, ha la responsabilità storica di tracciare le linee per una nuova fase della democrazia politica riferita a sette miliardi di umani.
4. Dopo le elezioni di febbraio. Un anno perso.
Sono passati più cinque mesi dalle elezioni di febbraio, che hanno scombussolato il quadro politico italiano. Altri cinque ne passeranno prima che venga celebrato il nuovo congresso del Pd.
Questo nell’ipotesi ufficiale. Ma serpeggia l’idea che per ragioni “tecniche” il congresso debba slittare all’inizio dell’anno prossimo posponendo di un anno intero decisioni che avrebbero dovuto essere prese immediatamente dopo che il risultato elettorale aveva azzerato le previsioni di un successo a man bassa del Pd, costruite un po’ con il ragionamento politico e molto con le proiezioni degli opinionisti.
Un anno riempito da decisioni più o meno estemporanee che vanno dalla ricerca – in parte palese – di un’intesa con i non vincitori del Movimento 5Stelle alla stipula – in parte sottobanco - di un’intesa con i non vincitori del Popolo della Libertà.
Il tutto all’insegna del provvisorio e del giorno per giorno.
E soprattutto senza il coinvolgimento del partito, inteso come corpo mistico fatto di base e di vertice (o viceversa).
5. I sacrifici del paese
Alle elezioni di febbraio ci si era giunti dopo circa un anno e mezzo di maggioranza di larghe intese fatto da centrosinistra, destra e centristi. Imperniato su un governo tecnico, rimediato dal Quirinale per un paese con un piede nel baratro, disastrato a livello dei conti, squalificato in Europa, e zimbello dell’establishment mondiale. Un paese con il sistema dei partiti che aveva imboccato la cannella del gas.
Un anno e mezzo di sacrifici inauditi per tutto il paese, ingigantiti nelle ricadute sulle fasce deboli, storicamente abituate a soffrire ma non fino a quel punto.Un anno e mezzo speso a tamponare le follie di un trentennio di allegria finanziaria avviata con il centro sinistra di Bettino Craxi che aveva fatto credere che la nave andava.
Un anno e mezzo speso a stringere la cinghia con misure drastiche che apparivano ingiuste e in parte lo erano.
Un anno e mezzo da Penelope in attesa di Ulisse, con il governo che tesseva la tela di giorno e il Parlamento che di notte gliela disfaceva.
Un anno e mezzo in cui il PD fece la scelta, dolorosa anche per lui, di anteporre gli interessi del paese ai propri tornaconti elettorali. Lo fece da solo: a sinistra contro l’opposizione di altre sinistre in parte vere e in parte pittoresche. E contro la destra che - come non si deve dimenticare - quel governo alla fine lo fece cadere.
6. Le scelte elettorali del Pd
Un anno e mezzo senza convocare un congresso a convalida di un’operazione che giusta o sbagliata che fosse costituiva una sterzata rispetto agli obiettivi di lunga lena per i quali era stato costruito e costituito il Pd.
Dopo di che, elezioni ormai alle porte, le acque si ingarbugliarono per il Pd che impensierito dallo scarso appeal esercitato dal governo sulle masse popolari abbandonò Monti al suo destino, alleandosi con la sinistra del Sel che quel governo lo aveva avversato fin dall’inizio. Si aprì una fase confusa, anche per la persistente gravità della situazione economico-finanziaria; una fase non migliorata da un’infelice slogan del Pd che si propose al paese come l’usato sicuro. L’ultima cosa di cui l’elettorato sentiva il bisogno. Mentre la protesta si ingigantiva trovando riparo – per il momento - nel grillismo, involontario salvatore da un futuro drasticamente traumatico per la democrazia.
Il bilancio elettorale dell’operazione “a Dio spiacente e a’ nemici sui” fu deludente per noi e drammatico per tutto il paese. Nessuno vinse, nessuno schieramento ottenne la maggioranza per governare. Vinse il partito del non voto, che ottenne la maggioranza assoluta del corpo elettorale, e si dovette ritornare – cambiando nome - alle larghe intese, con un partito indebolito dalle dimissioni del proprio segretario generale incautamente avviluppato a livello personale nelle trattative per il governo, diviso non solo perché acefalo, perfino incapace per due volte di eleggere alla presidenza della Repubblica, a sede vacante, un proprio esponente pur avendo i numeri per farlo.
7. Le elezioni e la proposta respinta
Ed oggi il Partito è in una situazione estremamente grave, che non migliora se la si legge alla luce dei risultati delle amministrative, formalmente positivi per noi anche se con ulteriori campanelli d’allarme che confermano alcune tendenze manifestate a febbraio: per esempio la crescita dell’astensionismo che limita il confronto politico alla metà scarsa dell’elettorato del paese, per esempio la ripulsa verso candidati di provenienza Pd anche dove la destra è sparita (a proposito: la destra è sparita?).
Ma anche a volerle considerare un successo, sommando amministrative e politiche emerge un paese che alla base si affida al Pd o ai Pd locali, ma che respinge l’ipotesi di essere governata dal Pd nella sua veste nazionale. Il Pd con la sua proposta politica complessiva non lo convince: Una forte percentuale di giovani non lo vota, i localismi sono forti, sfuggenti e a volte indecifrabili.
Tuttavia il Pd esiste, praticamente è l’unico partito politico a farlo. E’ riuscito ad evitare nuove elezioni politiche che sarebbero state un’avventura deleteria non essendo intervenuta alcuna nuova ragione valida per vincerle. Ha dato una guida ai due rami parlamentari, ha espresso una propria leadership ad evitare che al vuoto politico si aggiunga quello governativo, ossia il caos. Il tutto per fortuna sotto l’occhio vigile e grazie alla saggezza di un Presidente della Repubblica che viene dai suoi ranghi.Le istituzioni per il momento sono salve.
8. Finalmente il congresso. Il secondo dopo sei anni bollenti
In questo quadro fatto di molte ombre e di qualche luce, il Pd finalmente si confronterà al proprio interno per decidere sul proprio futuro. Per un partito che non si riunisce da anni per discutere di grandi scelte, i problemi sono tanti, troppi per affondarli tutti con la stessa intensità. Meglio non pensare a quello che succederebbe se il congresso fallisse l’obiettivo.
Un criterio di selezione potrebbe essere quello di esaminarli cominciando da quelli che lo condizionano alla base, senza dimenticare di dare un’occhiata panoramica a quello che è successo dopo la fondazione.
9. La nascita del Pd. Come eravamo
Il partito democratico nacque a Pesaro nel 2007 dopo un lungo travaglio probabilmente inevitabile, complicato da un lungo tergiversare, sicuramente non innocua. All’uno e all’altra pose fortunatamente fine la testardaggine di Piero Fassino.
Alle radici c’era la proposta avanzata nel 2003 da Michele Salvati per un partito di tutti i riformisti moderati, visto come incontro tra le culture socialdemocratica, cristiano-sociale e socio-liberale. In quella fase propedeutica Romano Prodi e Pietro Scoppola diedero la prima intelaiatura ideologica al nuovo partito con quell’Ulivo che non era solo la sostituzione della Quercia con un altro albero ma una risposta più profonda alla crisi del paese (crisi nel duplice significato di discesa verso la degenerazione e di risalita verso la crescita).
L’idea fu sviluppata l’anno dopo da Romano Prodi per le elezioni europee con la sua lista Uniti nell’Ulivo che conquistò il 31 % dei voti unendo Democratici di sinistra, cattolici della Margherita, Socialisti democratici e Repubblicani europei. Un ventaglio che non si sarebbe più ripetuto.
10. Una curva discendente
Seguendo le vicende del Pd e del riformismo della sinistra italiana alla luce della storia di quel periodo, colpisce che la sua influenza sull’elettorato italiano anzi che crescere sia diminuita negli anni. Il che di per sé è una condanna per un partito nato per “includere” il paese nella sua componente riformatrice, ritenuta a ragione maggioritaria.
Fermando l’attenzione su questo secolo ventunesimo, nelle elezioni politiche del 2001 Ulivo e Margherita raccolsero insieme il 35% dei voti.
In quelle del 2006, Uniti per l’Ulivo abbassò la lancetta sul 31,27 % che salì al 33,18 nel 2008 dopo l’unificazione nel Pd.
Nel 2013, sempre alla Camera la percentuale per il Pd è scesa al valore critico del 25,4 % .
Si noti che queste percentuali si riferisccono al paese attivo, ma una buona metà non lo è per cui si dimezzano se si considera il paese totale.
Questo dato fotografa una difficoltà della società nel riconoscere la nuova formazione come una svolta rispetto al partito che era sì sopravissuto al disfacimento della prima Repubblica ma in buona misura grazie al suo insediamento territoriale più che ad un rinnovamento effettivo. Insomma questo andamento dà ragione a coloro che pensano che l’unificazione sia stata subita come una “fusione a freddo”, non capace di scaldare un paese che aveva bisogno di ben altro, e che probabilmente era pronto a metabolizzarlo.
11. Un paese in crescita
C’è da chiedersi a posteriori se questo riformismo ereditato dalle vicende storiche del Novecento fosse ciò di cui aveva bisogno la società italiana al termine della parabola avviata alla fine degli anni ’50 con l’impetuoso sviluppo economico (il famoso boom) ma anche sociale (il centrosinistra sia pure amputato del PCI), che diede luogo alla trasformazione “dalle fondamenta” di una società che, basicamente agricolo-contadina si ritrovò immersa nella civiltà industriale-urbana grazie anche a memorabili lotte nelle fabbriche e nelle scuole.
Lotte che trovarono nel sindacato di Lama, Trentin, Carniti, Benvenuto la piattaforma pronta a raccogliere l’eredità di Peppino Di Vittorio, il leader sindacale ma anche politico che con la sua proposta di patto del lavoro aveva lanciato nel 1950 la strategia della politica dei redditi (allora chiamata con altro termine), ripresa qualche anno dopo da Ezio Vanoni con il suo piano del lavoro, a sua volta anticamera della svolta riformista aperta da Ugo La Malfa e dalla “Nota aggiuntiva” al bilancio del 1962 con la quale venne lanciato il primo centrosinistra del dopoguerra con la partecipazione del PSI.
Per memoria, le lotte degli anni ’70 trasformarono l’Italia non solo nelle istituzioni e nel sindacato, perché da esse nacque nei partiti di massa (PCI, PSI, DC) usciti vincitori dal fascismo e dalla guerra una buona parte della nuova classe dirigente che sostituì con pregi e difetti quella formatasi nella temperie della ricostruzione post-bellica.
12. Lo stop
Bisognerà analizzare perché quel processo si fermò. L’assassinio di Aldo Moro ebbe certamente un forte influsso, tanto più che chi lo architettò voleva porre fine alla convergenza “parallela” di un Pci atipico nel panorama del comunismo terzinternazionalista; a somiglianza del centrosinistra originario di Lombardi, Fanfani e La Malfa ma in un quadro di compromesso storico. Fallì tragicamente, ma proprio per questo qualche responsabilità dobbiamo attribuircela anche noi per non aver capito che i tempi stavano cambiando, che stava cambiando il capitalismo, e che la classe operaia da sola non avrebbe retto all’impatto con quel cambiamento.
Per giunta fummo colti impreparati dal crollo del muro di Berlino, che diede al capitalismo l’occasione per rivedere i suoi paradigmi proprio quando un affascinante ma vuoto radicalismo di sinistra ne prevedeva la fine.
Il crollo della Dc fece il resto, lasciando nei ceti medi un buco di egemonia che Berlusconi riempì con grande abilità e rapidissimamente (un paio di anni) instaurando un lungo ciclo della cui fine stiamo finalmente assaporando i piaceri, ma a quasi 20 anni di distanza (e non è detto).
13. Un buco di egemonia – C’era una volta Enrico Berlinguer
Anche qui mancò da parte nostra una capacità di analisi che ci facesse capire come Tangentopoli e la fine del craxismo fossero sì avvenimenti di cui gioire a patto però di riformare la società riallineando le nostre strategie perché quel buco venisse colmato con la nostra egemonia.
Il che non avvenne per svariate ragioni, tra le quali emerge oggi il fatto che la sorte ci privò di Enrico Berlinguer, il leader che con la politica lungimirante del compromesso storico aveva faticosamente (e affrontando forti contrasti interni) imboccato una strada paragonabile a quella aperta da Togliatti quando con la svolta di Salerno aveva cambiato il volto del partito comunista, propiziato la vittoria della Repubblica e attraverso ciò poste le basi di quella autentica rivoluzione moderna che fu la nuova Costituzione.
Tra parentesi, anticipazioni per anticipazioni, non viene ricordato abbastanza come la politica dell’austerità oggi contestata venne anticipata da Enrico Berlinguer con la sua consapevolezza che l’Italia stesse spendendo di più di quello che produceva. I fatti gli hanno dato ragione più di quanto Egli potesse pensare.
14. Il Pd – la sua storia – i congressi
Tutto ciò premesso per memoria, per ricostruire la storia del Pd bisogna seguire due tracce: che si intrecciano: i congressi e le elezioni primarie.
Di congressi ce ne è stato solo uno, nel 2009 due anni dopo l’approvazione dei documenti fondativi (Statuto, Carta dei valori, Codice etico). Fu praticamente un congresso di consolidamento dell’atto fondativo. Furono eletti segretario nazionale e segretari regionali, e fu formalizzata la composizione delle assemblee nazionali e regionali. Ma non si discusse la fisionomia del nuovo partito: ceti sociali di riferimento, alleanze politiche, forma-partito, alla luce del mutato orizzonte sociale ed economico del paese.
Di questi problemi a vero dire vi sono tracce consistenti nei documenti fondativi, con il senno del poi (non mancarono però le Cassandre di epoca) si deve annotare come più dei documenti - in sé non malvagi - contò di più la pratica di un partito che per ragioni anche oggettive mise praticamente da parte i buoni propositi per dedicarsi alle emergenze, politiche o elettorali che fossero.
Ma più importanti per il suo futuro furono gli aspetti pratici della sua fondazione, a cominciare dalla composizione degli organismi dirigenti nazionali e locali, elefantiaci e formati con criteri di “equilibrio” le cui conseguenze sulla vita del Pd non sono probabilmente secondarie nella crisi che il partito sta affrontando oggi, apparente ostaggio di accordi di vertice tra le sue componenti originarie.
15. Il Pd – la sua storia – le elezioni primarie
Accanto al congresso il Pd è stato impegnato nelle elezioni primarie nel 2007, 2009 e 2012.
Le prime primarie si svolsero all’indomani della fondazione per eleggere il segretario; votarono in 3 milioni e mezzo di iscritti e non iscritti, con l’ammissione di sedicenni e di extracomunitari, a turno unico; vinse Veltroni col 76% di voti su Rosy Bindi col 13%.
Le successive primarie avvennero nell’ottobre 2009 per eleggere segretario e membri delle assemblee (nazionale e regionali), sempre con l’ammissione dei under-diciottenni e di immigrati, e sempre a turno unico. I votanti furono circa 3.100.000. Vinse Bersani (55%) su Franceschini (33) e Ignazio Marino (12). In Umbria uscì vincitore Lamberto Bottini su Alberto Stramaccioni e Valerio Marinelli.
Le terze primarie si svolsero nel 2012 (novembre e dicembre) in due turni non essendo stata raggiunta la maggioranza assoluta al primo. Questa volta si trattava di elezioni di coalizione (lista Italia Bene Comune, formata da Partito Democratico, Sinistra Ecologia Libertà e Partito Socialista Italiano). Votarono in più di tre milioni, che scesero a 2.800.00 al secondo turno (ballottaggio tra i due più votati al primo turno). Il voto fu riservato ai votanti in possesso di certificato elettorale. Al ballottaggio vennero ammesso solo chi aveva partecipato al primo turno. Vinse Bersani (45% al primo turno e 60 al secondo) su Matteo Renzi (35 e 39). Il 15% andò a Nichi Vendola e quindi al Sel. In Umbria Matteo Renzi ottenne il 45% al primo turno e il 48,2 al secondo, mentre Bersani passò dal 42,3 al 51,8%.
16. Bilancio complessivo
Complessivamente il bilancio di sei anni, letto dall’osservatorio della partecipazione, è passivo per quanto concerne i congressi, e positivo per le elezioni primarie per due ragioni: perché furono tenute, e perché furono tenute solo dal Pd.
Il risultato fu parzialmente disatteso nella formazione nelle liste dei candidati alle successive elezioni generali, dove prevalse il bilancino del farmacista con risultati tipo manuale Cencelli, e dove l’establishment trovò modo di recuperare centralisticamente posizioni che mettevano in discussione gli equilibri tra le correnti. vanificandoli.
Ma siccome dalle primarie non si deve tornare indietro, i risultati comunque ottenuti vanno valorizzati per migliorarli valutandoli più compiutamente nella crisi della democrazia italiana e nei modi di superarla.
La valorizzazione più forte è forse sottolineare la partecipazione di un numero di non iscritti pari a 4-5 volte quello degli iscritti: una rivoluzione da tenere a mente nelle considerazioni successive.
17. Idee per fermare la discesa con un partito di base, fatto di iscritti e non iscritti
Questa rapidissima corsa attraverso le vicende del riformismo democratico italiano nel secolo in corso, il secolo del dopo-Berlino, serve a mettere a punto i tratti salienti di una proposta che voglia prendere di petto la parabola discendente evidenziata qualche paragrafo addietro e che proiettata a freddo è l’anticamera della scomparsa anche del Pd come soggetto dinamico della politica italiana.
La prima riguarda il modo come contrastare la riproposizione di un partito di vertice, o per meglio dire di un partito di vertici, qual è quello che risulta dal suo forte decentramento regionale che sembra rispondere alla formula del “cuius regio eius religio” che concluse ad Augusta una fase saliente della riforma protestante: ogni stato la sua chiesa.
Un partito di vertici si corregge con un partito di base. La questione è se la base debba essere quella rappresentata nei circoli territoriali, o in formazioni della società civile, o in entrambe le maniere. Problema aperto, che si ricongiunge immediatamente alla domanda: chi sono gli attori? coloro che sono iscritti, anche indipendentemente dal fatto che partecipino alla vita del partito? o coloro che partecipano alla vita del partito anche indipendentemente dal fatto che siano iscritti? La domanda non è formale, perché nelle elezioni “primarie” indette dal PD su questioni vitali per il partito, il rapporto tra iscritti e non iscritti è stato di uno a tre o a quattro.
Questa osservazione mette in una luce appropriata il ruolo delle Associazioni e gruppi formalizzati che si ispirano alla sinistra (ivi comprese "Lettere riformiste")
18. Idee per il futuro del Pd - I non iscritti, Inquilini o comproprietari?
Come trattare questi “non iscritti” nella casa del PD che hanno affollato le code ai seggi elettorali delle primarie? Come ospiti casuali, per il congresso, o come comproprietari a titolo permanente?All’interno della domanda, se la risposta è favorevole ad allargare ai non iscritti la partecipazione alle primarie congressuali, come traspare anche da dichiarazioni di responsabili del “vertice” del partito, come garantire la loro partecipazione effettiva ai congressi in itinere? Che è anche un aspetto particolare di una più generale questione vitale: come garantire la partecipazione effettiva della base al congresso nazionale?
I circoli dovrebbero stimolare riunioni partecipative con la presentazione di documenti su cui far pronunciare i congressi. Finora si è proceduto sulla base di “tesi” nelle quali i vertici condensavano i loro punto di vista. Giusto o sbagliato che fosse, non è la risposta al problema di oggi, che è sì di fare conoscere le posizioni del partito ma anche, e in maniera previa, di conoscere i problemi di un paese in trasformazione. Il che richiede un forte lavoro di base per collegarsi alla società civile, ascoltarla e dargli voce.
19. Idee per il futuro del Pd - i circoli territoriali e la società delle competenze
Questo discorso non esclude i circoli, semmai li recupera come elemento determinante per misurare il polso delle trasformazioni sociali ed urbane, a patto che si diano da fare per conoscere le dinamiche del loro territorio, con un lavoro di “scouting” ossia di esplorazione alla ricerca dei gruppi in cui si articola una società ricca di complessità come la nostra, con particolare riguardo alla valorizzazione delle competenze e allo sviluppo della partecipazione.
Questo perché un partito alla ricerca di ceti di riferimento che riempiano il buco lasciato dall’obsolescenza della classe operaia, deve moltiplicare le sue attenzioni verso la “società delle competenze” che vive alla sua base, e che si esprime partecipando al coro della cosiddetta economia dell’informazione e della conoscenza in maniere che spesso ci sfuggono, epperò con una voce che stenta a trovare eco nel partito e nei circoli territoriali.
A questo principio dovrebbe ispirarsi anche il comportamento dei circoli nei confronti dell’arcipelago locale di associazioni e altre formazioni del volontariato, cui offrire le nostre sedi – generalmente deserte – per le loro attività, garantendogli la massima autonomia in cambio di stimoli per sintesi politiche.
20. Idee per il futuro del Pd - le nuove generazioni
Premesso che ai fini del congresso le “nuove generazioni” sono tutte quelle che sono finora rimaste fuori dai circuiti decisionali del Pd, i giovani veri e propri costituiscono un problema specifico, non come ostacoli per la loro estraneità alla politica attiva ma come risorsa per riempirla di contenuti progressisti.
Senza pretendere che cambino le loro abitudini di vita e senza imitarle, ma semplicemente accettandole, si deve tenere presente la loro specificità che è quella di crescere al di qua del “digital divide” che sta cambiando tutte le nostre esistenze.
Alcune soluzioni potrebbero essere ricavate dalle politiche di genere a completamento di tutte le teorizzazioni hanno fatto decisivi passi in avanti con le quote “rosa”,
21. Una selezione di idee finali per il congresso dell’innovazione
- Convocare rapidamente il congresso nazionale del Pd dopo 4 anni,
- Costruirlo con un processo che muova dalla base,
- Coinvolgere nella sua preparazione iscritti e non iscritti,
- Raccogliere attraverso i circoli territoriali idee e proposte che nascano dal vissuto dei tanti democratici che finora sono stati esclusi dalla elaborazione politica o coinvolti solo per convalidare scelte precostituite, elaborate dai vertici nazionali,
- Chiedere su di esse il contributo particolare dei giovani e delle competenze,
- Discutere di idee e non di correnti, meno che mai chiamandole col nome di singoli dirigenti
- Eleggere dirigenti in base ai meriti dimostrati e non alle appartenenze correntizie.
- E infine: chiudere la fase degli “ex” e dei “post”, e sgombrare il terreno da ipotesi di divisioni al limite delle scissioni, per costruire finalmente il grande partito riformista e popolare che il Pd doveva essere dal principio e che non è riuscito a diventare.
Sono alcune opzioni di fondo su cui si sono confrontati Sono alcune opzioni di fondo su cui si sono confrontati un gruppo di iscritti e militanti del Partito Democratico per dare il loro contributo alla vita e alla crescita del PD. Con la speranza di riuscire a riportare una costruttiva discussione in tutti i circoli della città di Perugia e della regione dell’Umbria.
Iniziale stesura (in attesa di graditi consigli e modifiche da parte dei circoli, degli iscritti o dei semplici militanti del PD) a cura di:
Gianni Barro, Francesco Berrettini, Sarah Bistocchi, Tommaso Bori, Renzo Campanella, Daniele Chiappini, Fausto Grignani, Gianfranco Pannacci, Mauro Pispola, Francesco Zuccherini.
Chiunque voglia sottoscrivere il documento o mandare delle idee potrà contattarci sui social network (facebook, twitter, google+) o inviare una mail all’indirizzo: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.