(ASI) Agenzia Stampa Italia, tramite il suo giornalista Dott. Fabrizio Di Ernesto, ha incontrato Sua Eccellenza Hakki Akil, Ambasciatore di Ankara a Roma, da appena due mesi giunto nel nostro Paese. Molti e rilevanti i temi affrontati con Sua Eccellenza, il quale ha risposto alle 9 domande formulate dal Direttore Responsabile Ettore Bertolini e Fabrizio Di Ernesto.
L’importanza di questo incontro è data anche dall’attuale ruolo della Turchia sullo scenario geopolitico mondiale. Questo Paese, posto geograficamente come ponte tra due mondi, l’occidente e l’oriente grazie al modo in cui ha saputo far convivere la laicità dello Stato, la modernità e la religione islamica proprio in un momento come questo in cui l’Europa appare destinata a diventare sempre più nera, come Gheddafi aveva profeticamente avvertito mesi fa, ed in cui la xenofobia sembra prevalere sulla volontà di prendere seri provvedimento per gestire questa situazione.
1) La Turchia sta svolgendo un importante ed attivo ruolo internazionale, si adopererà a fare da mediatore pure per risolvere pacificamente la crisi libica, come richiesto anche da Gheddafi?
La Turchia, dall’inizio della crisi libica, ha assunto un ruolo coerente con i propri principi e la propria influenza regionale. La nostra politica nei confronti della Libia si basa su tre punti essenziali; il primo era il completo cessate il fuoco in tutta l’area; l’inizio dei lavori per arrivare ad avere istituzioni democratiche nel Paese, ripeto il primo principio era quello di arrivare ad un completo cessate il fuoco. Il secondo principio era quello dell’apertura di un corridoio umanitario per poter assicurare aiuti immediati, duraturi continui. Il terzo era l’avvio del processo politico per assicurare un regime democratico in Libia. Noi, la Turchia, dà pieno appoggio alle risoluzioni 1970 e 1973 dell’Onu in questo senso. Come primo principio l’avevamo detto: l’assicurazione di un completo cessate il fuoco infatti fin dall’inizio della crisi libica continuiamo ad avere rapporti con ambedue le parti mentre per quanto riguarda gli aiuti umanitari la Turchia ha assunto la leadership di questo settore tra i paesi occidentali; purtroppo per quanto riguarda il terzo principio che è quello che riguarda l’instaurazione di un regime democratico ancora non siamo arrivati a quella fase, ma comunque ci sono punti determinanti nella nostra politica tra cui quello che la Libia non deve essere divisa in due; bisognare assicurare l’incolumità della popolazione civile. Se non si stabiliscono questi due criteri si renderebbe difficile l’arrivo ad un processo politico a lunga scadenza. D’altra parte però non bisogna lasciar perdurare la situazione attuale perché anche quello pregiudicherebbe l’arrivo ad una soluzione pacifica nell’avvio del processo politico. Come è noto dall’inizio della crisi la Turchia ha evacuato dalla Libia 25.000 connazionali e 6.000 cittadini esteri. Tuttora sta cercando di portare in Turchia per le cure mediche i feriti di Bengasi, Tripoli e Misurata. Il 7 aprile sono stati trasportati in Turchia per essere curati 350 feriti. Abbiamo trasformato un traghetto in ospedale che fa su e giù per portare i feriti in Turchia dalla Libia.
2) La Turchia è un mirabile esempio di come possa convivere la laicità dello Stato, la modernità e la religione islamica. Può diventare il modello politico di riferimento per le nazioni arabe in rivolta? Sempre in base a questa premessa, in un’Europa sempre più mussulmana la Turchia può rappresentare un esempio da seguire?
Prima di tutto bisogna capire bene il sistema del Paese. In Turchia è vigente un sistema laico in base alla Costituzione, cioè lo Stato non ha una religione, ogni cittadino può avere un credo e praticare la propria religione; la maggior parte della popolazione è mussulmana, ma nonostante ciò ci sono anche molti connazionali cattolici, ortodossi ed ebrei. Tutti possono praticare liberamente la propria religione; nel periodo dell’impero ottomano non c’era il laicismo ma la libertà di religione era riconosciuta, noi abbiamo solo messo sotto l’aspetto giuridico questa libertà. Se questo può costituire un esempio per altri Paesi mussulmani la mia risposta è: può essere come non può essere. Noi non abbiamo l’ambizione di diventare un Paese modello, ma tutti quei paesi di cui parliamo sono tutti nostri amici e fratelli; se volessero condividere la nostra esperienza noi saremo ben lieti di farli partecipare alle nostre esperienze e condividere con loro il nostro sistema.
Secondo me la seconda parte della sua domanda è più importante. Secondo me è più importante e più probabile che diventi un modello per l’Europa. Purtroppo al giorno d’oggi in Europa sta aumentando il rifiuto per l’altro. È sempre più difficile la convivenza con le persone e le popolazioni di religione diversa in Europa. Può darsi che ciò dipenda dalla storia. Anche noi durante l’impero ottomano abbiamo avuto un passato multietnico e multi religioso mentre l’Europa ha mantenuto una struttura più omogenea. In Europa per esempio non si trovano città come Istanbul, Antiochia, Damasco, Gerusalemme, Beirut o Baghdad o Salonicco un tempo parte dell’impero ottomano dove convivono le moschee, le chiese, le sinagoghe tutte insieme in pace. Secondo me sarebbe più appropriato che l’Europa prenda esempio dalla Turchia per poter superare le attuali difficoltà perché le persone di diverse etnie e religioni possono vivere insieme basta la reciproca comprensione, tolleranza e l’accettazione dell’altro. Noi abbiamo un esperienza in questo senso di 5/600 anni; noi siamo sempre disponibili a condividere la nostra esperienza con i nostri amici occidentali.
3) Si parla molto di un ingresso della Turchia nell’Unione europea. Quali vantaggi avrebbe Ankara da questo ingresso e, di conseguenza, quali vantaggi ne potrebbe avere la stessa Ue accogliendo tra le sue fila la Turchia?
Non bisogna considerare questo ingresso solo per quanto riguarda i suoi vantaggi, questo è un sentimento di appartenenza, per esempio il palazzo in cui ci troviamo, quello dell’Ambasciata, fu acquistato nel 1887; Palazzo Venezia ad Istanbul è stato costruito nel XV secolo e come questa ambasciata anche in quelle nei principali paesi europei, Parigi, Londra e Berlino può trovare la rappresentanza della Turchia che risale al XVII, XVIII secolo. Dico questo per sottolineare che la storia dell’Europa non può essere scritta senza la storia della Turchia. La Turchia è da 600 anni dentro l’Europa, ecco perché dico che non bisogna parlare di vantaggi perché noi siamo parte dell’Europa per la nostra storia, per la nostra cultura, per la nostra geografia e per la nostra storia politica. Se torniamo ai nostri giorni, in seguito alla II Guerra Mondiale, la Turchia fa parte di tutte le organizzazioni europee: il Consiglio d’Europa, la Nato, la Cee con cui nel 1960 abbiamo firmato un accordo di associazione quando ancora molti dei membri attuali non erano nemmeno Stati indipendenti. Noi consideriamo l’ingresso nella Ue come una naturale conseguenza della nostra storia; per quanto riguarda i vantaggi ovviamente ci sono per ambedue le parti: per noi sarebbe una conseguenza della modernizzazione iniziata nel XIX secolo; nell’attuale congettura economica io non so se l’adesione della Turchia all’Ue porterebbe vantaggi o svantaggi ma senz’altro porterebbe dinamismo e vantaggi all’economia europea. Per quanto riguarda il punto di vista politico sarebbe un vantaggio perché favorirebbe l’influenza dell’Unione europea nello scenario mondiale. La critica che si fa generalmente oggi all’Ue è quella di essere un gigante economico ma un nano politico, ovviamente l’adesione della Turchia favorirebbe la Ue nei rapporti con il medio-oriente, con i Paesi centro africani e quelli dell’area caucasica. Oggi in Turchia l’età media è di 28 anni quindi c’è una fascia di popolazione molto giovane, dinamica, istruita e colta; ogni anno 400.000 giovani escono laureati dalle università della Turchia; si parlava dei vantaggi? In futuro chi ci pagherà i contributi per la pensione? Ecco l’adesione della Turchia all’Ue darebbe un risposta anche a queste preoccupazioni.
4) Il suo Paese intrattiene ottimi rapporti politici ed economici con la Repubblica Islamica dell’Iran. Questo è il motivo per cui si sono raffreddate le relazioni con Israele e Usa?
Se noi guardiamo ai nostri rapporti con Usa, Israele e Iran si riscontrano interessanti parallelismi. Le esportazioni della Turchia negli ultimi 8/10 anni sono aumentate di cinque volte; dal 2002 ci sono solo due Paesi con cui la Turchia ha avuto sempre gli stessi livelli di esportazione intorno ai 3 miliardi: uno di questi due paesi è l’Iran, l’altro sono gli Stati uniti. Non sarebbe molto giusto spiegare la nostra politica con Iran e Usa con gli interessi economici; l’aspetto determinante nella nostra politica con l’Iran è quello di impedire nuovi conflitti militari nella regione. La Turchia ha sofferto molto i conflitti militari nella regione ad esempio quello in Iraq; come Paese abbiamo constatato che nella regione i conflitti militari non sono una soluzione valida. Per quanto riguarda gli obiettivi civili noi non abbiamo differenze rispetto a quelli statunitensi ma le forme sono diverse. Nemmeno noi vogliamo che l’Iran diventi una potenza nucleare ma ci adoperiamo tramite i canali diplomatici; noi vogliamo che sia data fino all’ultimo la possibilità alla diplomazia di trovare una soluzione, gli obiettivi sono gli stessi ed anche i nostri amici americani lo sanno. Per quanto riguarda i nostri rapporti con Israele credo che la Turchia sia l’unico Paese che nel corso degli anni non ha mai avuto problemi con Israele. Nel 1492 quando gli ebrei venivano ammazzati in Spagna sono stati i turchi ad accoglierli sul territorio ottomano salvandoli da un massacro. Dopo la dichiarazione di indipendenza la Turchia è stato uno dei primi paesi a riconoscere Israele. Con Israele abbiamo sempre avuto ottimi rapporti ed entrambi i paesi si sono sempre adoperati come due partner nella regione. Essere amici però non significa accettare tutto ad occhi chiusi; noi abbiamo fatto tutti gli sforzi possibili affinché Israele continui ad esistere in sicurezza ed in pace nel suo territorio e nella regione. Abbiamo portato avanti le sue trattative indirette con la Siria ed era rimasta una sola frase [da concordare] per concludere le trattative ma all’indomani del colloquio tra il nostro Primo ministro con il suo omologo israeliano c’è stato l’attacco a Gaza. Il primo ministro israeliano è tornato dalle trattative ad Ankara e l’indomani c’è stato l’attacco a Gaza, nonostante fossimo molto vicini alla pace. Ovviamente è stato molto difficile accettarlo, era molto difficile che la Turchia potesse accettare le stragi fatte a Gaza e l’uso di una forza squilibrata, in più l’attacco ad una nave turca in acque internazionali e l’uccisione di nove civili da parte dei militari israeliani per noi era inaccettabile. Israele troverà sempre la Turchia a sostenerla una volta che deciderà di vivere in pace nella regione e quando chiederà scusa ai familiari dei civili uccisi.
5) La Turchia è stata in grado di prendere posizioni coraggiose, per esempio si è schierata contro la continua occupazione e l’oppressione israeliana attuata nei confronti dei palestinesi conquistando i cuori dei popoli arabi. Si attiverà diplomaticamente presso l’Onu per richiedere una “No fly zone” e far interrompere le incursioni dei caccia israeliani su Gaza che quasi quotidianamente fanno vittime civili?
L’approccio della Turchia a Israele e Palestina deve essere considerato nell’ambito della sicurezza e della pace nella regione. Noi per lo sviluppo economico della regione prima di tutto volgiamo che si arrivi ad una stabilità politica; questa è importante perché porta la democrazia, porta il benessere e quel processo di cui abbiamo parlato prima. La Turchia si adopera affinché si risolva il problema Israele-Siria e la questione palestinese per poter portare benessere e stabilità politica nella regione, altrimenti sarebbe impossibile. Alla base della nostra politica per la regione c’è questo, le applicazioni che si fanno in questo senso sono tattiche. La Turchia ha avuto una posizione molto rigida sull’attacco israeliano a Gaza perché questo atteggiamento di Israele ha praticamente distrutto alla base tutti i nostri obiettivi di pace nella regione. In base agli ultimi avvenimenti nei paesi arabi anche Israele deve riflettere bene sulla sua politica nella regione perché se vuole sopravvivere in pace deve cambiare la sua politica ed avere un dialogo con le nuove amministrazioni che si costituiranno in questi Paesi. Circondato da regimi totalitari Israele poteva conservare la propria politica ma ora di fronte ad amministrazioni democratiche anche Israele dovrà assumere un atteggiamento più dialogante e avviare trattative di pace.
6) Quali sono gli attuali rapporti politici ed economici tra Italia e Turchia? Quali prospettive ci sono per eventuali investitori di entrambi i Paesi?
Posso definire con un solo termine i rapporti politici ed economici tra Italia e Turchia: eccellenti, perfetti. I nostri rapporti economici si sviluppano a grande velocità, nel 2008 il volume del nostro commercio estero era di 18 miliardi di dollari, questo prima della crisi ma anche nel 2011 noi pensiamo di tornare a questa cifra; aumentano gli investimenti italiani in Turchia, per fare un esempio nel 2010 Unicredit ha avuto il 40% dei propri profitti in Turchia, considerando anche quindi tutto il mondo ed anche l’Italia. La Fiat produce 200.000 autovetture con i suoi partner. Le grandi società come Finmeccanica, Pirelli, Augusta e molte altre hanno già investimenti in Turchia, ma secondo me in futuro crescerà l’intesa tra le aziende medio piccole dei due paesi. Io vedo molto positivo il futuro delle relazioni tra Turchia ed Italia, non solo dal punto di vista commerciale ma anche dal punto di vista delle produzioni miste; soprattutto in questa fase dove le piccole e medie imprese italiane si trovano in difficoltà costituire società miste con quelle turche sarebbe un vantaggio non indifferente. Il dinamismo degli imprenditori turchi con la tecnologia italiana avrà un impatto molto positivo sui Paesi vicini. Un esempio, l’anno scorso abbiamo stimato in 3,1% la crescita economica del Paese, dopo sei mesi la previsione era salita al 6%, tre mesi dopo hanno detto che poteva essere 7,5 alla fine dell’anno la crescita era stata dell’8,9%. Nel mondo, dopo quella della Cina, questa è la seconda crescita economica. Dico questo perché in Turchia l’economia viene portata avanti dalle società private, cioè lo Stato non ne fa parte, ma ora c’è un grande interesse per l’economia turca come negli anni ’80 avveniva per la Cina. Infatti le imprese italiane sono consapevoli di questo ecco perché il futuro delle relazioni economiche sembra perfetto. Per quanto riguarda i nostri rapporti politici sia per quanto riguarda la crisi in Libia sia per ciò che concerne la riforma del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sia per le altre questioni internazionali noi abbiamo una piena sintonia di vedute. In Italia sia il governo sia i partiti della maggioranza e dell’opposizione hanno dato un forte sostegno all’adesione della Turchia all’Unione europea.
7) Nei rapporti politici tra Roma ed Ankara è cambiato qualcosa dopo la vicenda legata ad Ocalan?
(sorride) Se mi fa questa domanda vuol dire di sì; ovviamente non si possono confrontare i rapporti del 1998 e i nostri rapporti attuali. A volte le crisi servono affinché due paesi si comprendano meglio, se queste crisi vengono gestite bene i frutti e le conseguenze sono migliori. Abbiamo vissuto la stessa cosa con la Siria sempre a causa di Ocalan, nel 1998 i nostri rapporti con la Siria erano davvero pessimi, eravamo sull’orlo di una guerra; oggi abbiamo aperto i confini e le persone li attraversano con la sola carta d’identità. Io credo che anche allora, durante la presenza di Ocalan in Italia la crisi sia stata gestita bene e si siano gettate le fondamenta per gli ottimi rapporti che abbiamo oggi.
8) Lei è da poco il rappresentante diplomatico della Turchia in Italia. Che opinione c’è nel vostro Paese dell’Italia e secondo lei, almeno per quelle che sono state le sue prime impressioni, corrisponde al vero?
L’Italia è molto conosciuta in Turchia, noi abbiamo rapporti con l’Italia dal XIII secolo con i genovesi e la Serenissima di Venezia. Da quella data ci sono sempre stati rapporti economici, politici ed uno scambio culturale; molte parole turche hanno origini italiane, pertanto i turchi che vengono in Italia non si sorprendono, ovviamente al di fuori di piccoli fatti; i caratteri si assomigliano molto, siamo tutti e due paesi mediterranei, anche le nostre cucine si somigliano, anche l’umorismo è simile, i nostri stili di vita si somigliano. Penso che un turco che viene in Italia si senta a casa sua e la stessa cosa penso che valga anche per l’italiano che va in Turchia. Forse proprio per questo motivo molti italiani non vengono in Turchia perché si sentono a casa e preferiscono andare in paesi dove non si sentono a casa loro, ma sono sicuro che oltre a sentirsi a casa propria vedranno molte cose che non si aspettano. Posso dire una cosa che mi ha colpito: una cosa interessante è che in Anatolia ci sono molti più reperti archeologici che in Italia; questo sì mi ha colpito. Ovviamente questo vale sia per me sia per la mia famiglia, ogni turco venendo qui si sentirebbe a casa e molto felice.
9) Molti vagheggiano l’unione della fantomatica Eurasia. In Turchia che, a ragione è ritenuta un ponte tra questi due mondi, questa ipotesi viene considerata realistica o pura utopia?
Ovviamente la Turchia geograficamente si trova in mezzo a questi due elementi: da una parte l’Europa dall’altra l’Asia. Anche culturalmente si trova in mezzo fra questi due mondi perché le popolazioni turche provengono dal centro Asia molti nostri fratelli sono rimasti nell’Asia centrale, oggi in molte repubbliche turcofone come Kirkizistan, Turkmenistan, Azerbaijan, Kazakistan i turchi si sentono in casa loro perché proveniamo dalla stessa cultura. I turchi dopo essersi sistemati in Asia minore ed in Anatolia sono andati in occidente e non sono mai indietreggiati rispetto all’Iran, non a caso il nostro confine comune è stato tracciato nel 1530 e non è mia stato modificato. Culturalmente abbiamo preso da entrambe le parti, pertanto vi è l’appartenenza della Turchia sia all’Europa sia all’Asia; possiamo descriverci con la testa in Europa e i piedi in Asia. Ovviamente ci sono vantaggi e difficoltà da questa situazione, per difficoltà intendo le responsabilità politiche, la Turchia non potrebbe mai rimanere indifferente agli sviluppi dell’Asia centrale, non può rimanere indifferente agli sviluppi nella regione caucasica e questo anche per quanto riguarda il medio oriente e i balcani. Pertanto non so come definire la posizione della Turchia, ma nella cosiddetta regione euroasiatica la Turchia ha responsabilità che provengono dalla sua storia e dalla sua collocazione geografica. L’unione di Europa e Asia è un po’ complicata; c’è già una unione di fatto con la globalizzazione, soprattutto nell’economia. Se per unione si intende essere raccolti in un’unica associazione quello è un po’ difficile. Oggi per esempio sotto il tetto del G20 i paesi come Cina, India, la Turchia, l’Italia, al Germania, la Russia, Brasile, Argentina Australia lavorano sotto lo stesso tetto perché queste sono ritenute molto importanti. Il G20 è una organizzazione che nel breve termine è destinata ad essere seguita con molta attenzione perché rappresenta l’85% dell’economia mondiale e il 90% della popolazione mondiale. Si parla dell’Eurasia ma ci sono delle organizzazioni internazionali molto più grandi e nel prossimo futuro il G20 è una di quelle che deve essere seguita con grande attenzione.