(ASI) Il concordato in bianco, istituito nel 2012, doveva essere una soluzione per l'imprenditore in crisi, l'ultima spiaggia prima di dichiarare fallimento. Il Decreto del fare ha introdotto regole restrittive aumentando oneri per i debitori e controlli del tribunale.
Federcontribuenti: ''queste procedure costano qualche milione di euro che viene sottratto all'attivo dell'azienda da salvare''
L'azienda arriva all'assurda procedura del concordato in bianco quando i consulenti che dovevano verificare i bilanci periodici, anziché preoccuparsi della salute dell'azienda, si sono preoccupati solo delle loro parcelle e anziché proporre il concordato quando l'azienda non è ancora compromessa, consigliano consulenze di ogni genere, nel frattempo fatturano parcelle portando l'azienda al tracollo: non resta che proporre il concordato in bianco.
«Solo chi l'ha realmente vissuta può rendersi conto di quanto assurda sia questa procedura e di come serva solo ad arricchire i soliti studi specializzati in diritto fallimentare. Parcelle da 300 euro l'ora, ma chi le conta effettivamente le ore?», è il commento del presidente di Federcontribuenti, Paccagnella. La procedura inizia con il deposito della domanda di concordato che blocca immediatamente le azioni esecutive intraprese dai fornitori e che sarebbero letali per l'azienda. Da quel momento il patrimonio aziendale non può più essere aggredito, mentre viene spolpato dai vari consulenti che si presentano con le più svariate specializzazioni.
Dopo pochi giorni dal deposito della domanda di concordato avviene la nomina del Giudice Delegato e del Commissario Giudiziale che deve vigilare sulla procedura, ma anche lui va pagato dall'azienda. Intanto arriva la CTU per fare le perizie e l'azienda paga, perchè questi consegnano la perizia solo dopo il pagamento della parcella. In tutto questo susseguirsi di consulenze viene divorato quel poco di attivo che doveva servire a pagare i vari creditori compresi i dipendenti e, a questo, punto la procedura che doveva salvare l'azienda, ne provoca il fallimento.
Quando la “cupola” del concordato si trova senza prospettive per rilanciare l'azienda periziata ed analizzata fin nelle viscere, di questi tempi è di moda proporre il “workers buy out”, una parola complicata per dire ai poveri dipendenti già disoccupati, ''non ti resta che comprarti l'azienda''. Quel che non sanno i dipendenti è che nel frattempo, i consulenti, hanno già contattato una qualche organizzazione specializzata nel trasformare l'azienda in cooperativa di lavoratori. (Legacoop). Questi enti in segreto dialogano con la procedura, ma nello stesso tempo si preoccupano di convincere i lavoratori che la cooperativa sarà la loro fortuna che li farà diventare degli imprenditori. Intanto i lavoratori pensano a come trovare i soldi per partire, ma Legacoop dice di non preoccuparsi che i soldi li trovano tramite la loro finanziaria.
I dipendenti si devono solo preoccupare di richiedere l'anticipo della mobilità all'INPS. Si dice ai dipendenti, felici di rilevare la loro azienda, di fare una S.P.A. Salta fuori che la Spa ha l'obbligo dei sindaci e dei revisori, ma non è un problema, ci pensa Legacoop a trovarli, ma intanto chi pagherà tutte queste spese sarà solo la cooperativa, perchè Legacoop si prenderà una percentuale sul fatturato per coprire le loro spese di gestione. A questo punto, per partire bisogna chiedere i finanziamenti ai cosiddetti soci finanziatori (Legacoop) previsti nello statuto, ma questi devono assolutamente avere la garanzia di recuperare i loro soldi e di avere una remunerazione adeguata.
Il socio lavoratore se finanzia la cooperativa può farlo solo a titolo infruttifero. Ovviamente Legacoop per erogare i finanziamenti garantiti, pretende che lo statuto venga modificato a loro favore, perchè non devono correre nessun rischio. I rischi sono solo per i lavoratori. Si arriva al momento di rilevare il ramo d'azienda, nel frattempo Legacoop sarà già in contatto con la procedura e avranno anche deciso i vari passaggi, ai lavoratori non resta che accettare o mettersi a litigare, ma nel frattempo passano i mesi e restano disoccupati. E se la cooperativa non funziona? L'anticipo della mobilità resta nella cooperativa che potrà fallire, ma i lavoratori restano con le mani vuote, senza cooperativa e senza mobilità, ma di questo non si parla, basta andare in TV a dire che Legacoop ha costituito un'altra cooperativa di lavoratori e crea posti di lavoro.
Redazione Agenzia Stampa Italia