Programma:
I° tempo
W. A. Mozart
Dodici variazioni su un Allegretto in si bemolle maggiore, K.500
F. Mendelssohn-Bartoldy
“Variazioni seriose” in re minore op. 54.
F. J. Hayden
Andante con Variazioni in fa minore Hob. XVII:6.
R. Schumann
Variazioni su un tema originale in mi bemolle maggiore, “Geister-Variationen” WoO24
II° tempo
L. van Beethoven
Trentatré Variazioni su un Walzer di Diabelli in do maggiore Op. 120
Bis:
J. S. Bach,
Aria (tema o prima variazione) dalle Variazioni Goldberg
L. van Beethoven
Sonata Op. 109, Variazioni
(ASI) Benvenuti al terzo appuntamento della rubrica di Agenziastampaitalia dedicato a “Le Tastiere degli Amici della Musica” con il concerto del pianista András Schiff tenutosi il 26 novembre scorso al Teatro Morlacchi di Perugia, che conferma l’Associazione degli Amici della Musica – Fondazione Perugia Musica Classica quale palcoscenico musicale di livello internazionale e di accademico riferimento per artisti che appartengono già alla storia delle esecuzioni e quindi della musica. Inutile spiegare l’elevato livello culturale, intellettuale, di alta difficoltà esecutiva di un programma, eloquente, che è stato mastodontico, estremamente impegnativo, lunghissimo, accessibile solo a grandi professionisti o virtuosi.
Virtuosismo ubiquitario appunto, ma discreto, recondito, in grado di emergere come una stella alpina dalla neve solo al momento opportuno nelle variazioni tecnicamente più estreme. Grande pacatezza, assoluta padronanza stilistica e tecnica, fortissima impronta interpretativa personale senza mai mascherare le peculiarità dei compositori (presentati sempre in modo manifesto), pedale costantemente parchissimo, alta significatività di ogni singola nota, stupefacente gamma sonora hanno determinato un piacere di suono assoluto, eterno, indimenticabile. Schiff ha dimostrato una capacità di concentrazione elevatissima, straordinaria, che non ha fatto mai retrocedere il livello tecnico, sonoro, interpretativo di compositori assoggettati ad una lettura estremamente profonda, matura, parossisticamente filologica. Finalmente il suono, darei come sottotitolo a questo breve resoconto. Quel suono che è stato costantemente uniforme, equilibrato, omogeneo, con perfetta coerenza interpretativa e mi ripeto, senza mai rinunciare a fare capire bene di quale compositore si trattasse. Difficile quindi relazionare su un concerto che sarebbe stato più conveniente ascoltare. Schiff ha tenuto un atteggiamento pianistico ed espositivo purista, “teutonico” esponendo un excursus di pezzi non immediati con modo sicuramente non scontato e intellettualmente elaborato. La scelta del primo brano è per esempio ricaduta su un Mozart insidioso, esposto alla maniera antica, con grande gusto sia per gli abbellimenti che per la seriosità arrecando bene la sensazione di un fortepiano. Il passaggio a Mendelssohn poi non è stato di certo brusco o traumatico, grazie alla distinguibile temperie romantica contenuta, moderata, da un legame con la classicità. Qui colpisono i puntati splendidi e la fotonica velocità della variazione n.12 alla quale forse Busoni anni dopo strizzerà l’occhio per uno dei passaggi più altisonanti della sua trascrizione della Ciaccona di Bach. Ottima e gustosa la esaltazione di tutti gli spunti contrappuntistici e dei fugati grazie ad un panismo che è tradizionalmente legato a Bach e a tutta la tradizione compositiva tedesca. Sofisticatissimo il lavoro e la resa dei piani e pianissimi. Vertiginosa la chiusura del pezzo. Il programma fluisce rapidamente per giungere ad un Hayden esposto in maniera veramente filologica, con forte connotazione per il periodo d’origine, quasi a proiettare gli ascoltatori in un film in costume. Perfetta tutta la gamma degli abbellimenti, elevato l’equilibrio tra bassi ed acuti e perfetta la uguaglianza tra le mani. Suoni molto connotati quindi, che ben ricordano la natura “di transizione” di questo compositore, ma forse troppo poco entusiasmanti e rinunciatari di una ironia e comicità appunto Haydeniana, di norma necessaria. Il concerto scivola via richiedendo concentrazione nel pubblico, trasmettendo un chimismo, una lezione di storia dello stile musicale, di tocco pianistico e giunge a Schumann del quale viene correttamente espressa una natura fragile, delicata, triste. Bene si coglie dalla interpretazione di Schiff quanto premesso dal libretto di sala: Le circostanze della composizione delle “Geister-Variationen” di Robert Schumann sono tra le più strazianti della storia della musica. Con l’acuirsi delle condizioni psico-fisiche del musicista, conseguenza della sifilide …la parabola creativa si era conclusa… è troppo tardi la sua creatività si spenge con questa pagina di grande dolcezza”. Tristezza, delirio, problematicità disperazione si percepiscono si toccano, grazie alle note di Schiff.
Fredda la risposta allo scoccare del primo tempo, di un pubblico che troppe volte ha sbagliato il momento in cui applaudire, quasi a non avere subito percepito la eccezionalità della interpretazione a cui era spettante. Poi nel secondo tempo ecco le Trentatré Variazioni Diabelli. Raramente mi appello alle enciclopedie della rete, che tuttavia in questo caso si sono dimostrate sufficienti ad esprimere la natura di questa opera e secondo cui le Trentatré Variazioni su un walzer di Anton Diabelli, Op. 120, comunemente note come Variazioni Diabelli (quest’ultimo editore delle opere di Beethoven, autore di spartiti didattici per pianoforte e famoso anche per avere fornito il tema per queste variazioni) costituiscono una serie di variazioni per pianoforte scritte tra il 1819 e il 1823 da Ludwig van Beethoven e sono uno delle più supreme composizioni pianistiche mai pubblicate. Scriveva Donald Tovey le “Variazioni Diabelli sono il più grande gruppo di variazioni mai scritte”, il pianista Alfred Brendel le ha descritte come “il più grosso lavoro mai scritto per il pianoforte” e Hans von Bülow le definì “un microcosmo dell’arte Beethoveniana”. Tutto ciò è stato puntualmente reso trasparente agli astanti da Schiff che ha eseguito con una concentrazione altissima tutta la serie di variazioni ottenendo al termine del concerto più di 5 uscite, da un pubblico entusiasmato che finalmente aveva compreso la grandezza e la maturità del pianista. Concludono due Bis, straordinariamente un III° tempo di concerto effettivo, in cui concentrazione e tecnica non sono decaduti mai di un atomo, con l’aria delle Goldberg che hanno fanno dimenticare la versione di Gould e con la sonata in forma di variazioni per pianoforte n. 30 Op. 109 (terzultima delle 32 composte da Beethoven che vide la luce nel 1819-1820 in un periodo libero da commissioni) in cui la esaltazione del suono e della romanticità si sono rilevate altissime. Semplicità, misticismo, canto della melodia, recondito virtuosismo, qualità dei suoni come impronta digitale di un maestro per un risultato strepitoso.
Giuseppe Marino Nardelli