(ASI) Un concerto molto applaudito dal sapore di “gran sala”, di chiaro livello  internazionale che ha ricordato la bravura del direttore, ma soprattutto che ha fatto emergere tutta quella dei nostri più autentici artisti italiani. Marcata, coraggiosa, intelligente e dal risultato eccellente la scelta degli Amici della Musica di aprire con un tale programma e con questi specifici musicisti. Da sabato 25 ottobre si è dunque aperta una stagione che sarà molto cameristica e che si prospetta raffinata e per intenditori.

 

Mi si conceda una nota personale. È per me stato un onore e una grande emozione ascoltare per la prima volta dalla data della sua rinascita, il 1994, la Orchestra Nazionale della Rai. Una emozione e un senso di soddisfazione e tranquillità per avere la conferma che il valore della tradizione non si è affatto perso a seguito dell’accorpamento. Dico questo perché mio nonno, il violinista eugubino Marino Nardelli morto giovanissimo a circa trentasette anni a causa del Secondo conflitto Mondiale mentre prestava servizio effettivo, è stato il primo violino della Orchestra Classico-Sinfonica dell’EIAR di Roma proprio a ridosso della Seconda Guerra Mondiale. Sposato con al Maestra di Violino Teresa Del Sole (pioniera dell’insegnamento elementare in alta Umbria e maestra di musica) fu con evidenza uno dei migliori musicisti della sua generazione.  Ne restano il curriculum una ampia documentazione dei suoi concerti, una grande biblioteca di spartiti e tutta la documentazione comprensiva di dediche, autografi e spartiti inediti a egli dedicati attestanti ancora oggi la incondizionata stima che maestri come Mascagni, Stravinskij, Gui, de Sabata, Perosi, Bruno Walter, i grandi cantanti ed altri hanno avuto di lui. Perse o difficilmente rintracciabili le incisioni radiofoniche e probabilmente (ma molto più raramente televisive). Trafugati i suoi strumenti. A Gubbio della sua memoria non resta invece molto, solo una grande fotografia presso il Teatro Comunale, un solo Memorial (per la inaugurazione dell’Agimus cittadina in ricorrenza della scomparsa della moglie Teresa, a metà degli anni Novanta) e piccole borse di studio merito  di una volonterosa musicista del luogo.

Non si perde dunque la tradizione nell’ascolto di una orchestra precisa, anzi esatta. Musicisti estremamente maturi, di grande e percettibile professionalità (lo si capisce dai pizzicati dello Scherzo della quarta Sinfonia di Tchaikovsky proposta nel secondo tempo del concerto, che abbandonano la sala senza alcuna anomala risonanza e in perfetta contemporaneità). L’esordio Beethoveniano del primo tempo (l’Ouverture dal Corilono, op. 62) è alquanto ponderato, trasferisce efficacemente il climax del compositore e senza esasperazioni romantiche resta in ambito strettamente classico. Si spiega allora la bassa potenza di suono e di volumi, la compostezza e la semplicità che richiama quasi strumenti d’epoca. Eccellente l’arabesco dei piani, ottimi i contrappunti e le chiusure delle frasi. Una precisione ed una pacatezza comunque applauditi.

Si giunge allora al secondo pezzo del primo tempo, il Concerto in la minore per pianoforte ed orchestra op. 54 (in tre movimenti) eseguito con la pianista Gloria Campaner. Una partitura romantica, ambigua come l’autore e tecnicamente semplice; difficile per la delicatezza, il gusto, la qualità di suono che invece richiede. L’impostazione data è correttamente romantica e la pianista risolve bene le cacofonie e le piccole dissonanza offerte da questo concerto e che contribuiscono a renderlo non stucchevole oltre che attuale. Una versione ascetica ci offre questa esecutrice, insignita della borsa di studio Borletti Buitoni Trust, attraverso un modo di suonare nettamene femminile, che richiama Cécile Chaminade. Molto belli gli scambi con i fiati e in generale con tutta l’orchestra. Eccellente la scelta dei volumi sonori contenuti al primo movimento, che traghettano al pubblico  spirito e tipicità espressiva dell’autore. Appropriata la durezza pianistica che tal volta richiede lo spartito e un pedale sempre molto sapientemente dosato. Perfette nel procedere le battute del clarinetto, bravissimo per tutto il concerto, specialmente nello scambio con il pianoforte. Sovvengono dal pianoforte sensazioni trasognate, fresche, neoromantiche e che almeno in una occasione tendono ad un suono più attuale, quello che sarà inventato da Rachmaninov. Perfettamente resa la mellifluità di Schumann e la atmosfera rarefatta scaturente l’immagine di afose notti estive. Dinamica ed incedere degli arpeggiati perfetti. La interpretazione è indubbiamente di gusto elevato. Con il finire del primo movimento si raggiunge una esecuzione perfetta. Molto appropriato il secondo movimento che torna a suscitare sensazioni di grande freschezza, con piani e pianissimi suonati “fino al fondo della nota” in cui la pianista eccelle veramente e che sono sostenuti da altrettanto ottime risposte dei fiati. In generale ottimo il terzo movimento con i caratteristici arpeggiati eseguiti con la dovuta leggerezza. La percezione è ora più che nel principio di maggiore maturità e di padronanza della partitura. Grande omogeneità e organicità di esecuzione con l’orchestra. Il secondo pezzo del primo tempo è applauditissimo e con numerose uscite. La pianista propone addirittura due bis che sono strategici e di opposto temperamento: la Toccata di Prokofiev (mi sembra sia la op. 11 in Re minore) e il sogno d’amore di Liszt. Esce straordinariamente da Liszt, dando prova di grande maestria, arte (trasmette una atmosfera assorta, estatica e densa) e di essere straordinaria nei registri del dolce nel campo sonoro del pianissimo.  

Nel secondo tempo della serata sia afferma maggiormente l’orchestra che, con la Sinfonia n. 4 in fa minore op 36 di Piotr Il’ich Tchaikovsky, esprime tutta la sua potenza sonora, dimostra la sua precisione e la sua professionalità. Trasferisce a dovere sovieticità e cognizione dell’autore.  Ottimo il primo violino e la tensione prodotta dagli archi. Molto belle le aperture armoniche. Precisi e netti gli ottoni. La partitura che è molto concettuale è sempre risolta bene e la esecuzione fino alla fine del concerto non perde mai la stessa tensione. Ottimi tutti i legni, il clarino (ripeto eccellente), i fagotti ma anche i flauti e l’ottavino. Il secondo movimento è eseguito benissimo con enfasi, con grande trasporto della platea che non avverte la faticosità di una opera impegnativa da tutti i punti di vista. La sensazione è ora di intensità ben trasferita. Intonatissimi i timpani in chiusura e pregevolissima tutta la sezione delle percussioni. La chiusura è molto serrata e senza cadute di forza o intensità sia espressiva che sonora.

Ammirevole il direttore caratterizzato dalla grande espressività e genialità. Emoziona riconoscere la impronta di Bernstein, che tanti anni orsono avevo avuto l’onore di ascoltare e di conoscere a Roma. John Axelrod è un artista di livello internazionale blasonato ed affermato, con un grande curriculum e eminenti progetti futuri (di prossima registrazione è la Rapsodia di Gershwin con la London Symphony). Interessante la sua empatia con l’orchestra e il suo estro, la sua semplicità che ben si sposa con un rigore che è recondito per quanto elevato.

Giuseppe Marino Nardelli - Agenzia Stampa Italia

 

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