(ASI) Il Teatro Stabile di Catania ospita “Le allegre comari di Windsor” per la stagione "Donne. L'altra metà del cielo"
Cresce l’attesa per il ritorno sulle scene catanesi del grande Leo Gullotta.L’attore non poteva scegliere palcoscenico migliore di quello del Teatro Stabile, dove, dal prossimo 7 febbraio, interpreterà il ruolo di Sir Falstaff nella commedia Le allegre comari di Windsor, spettacolo inserito nella stagione “Donne. L’altra metà del cielo”. Un appuntamento da non perdere per rivivere l’incalzante crescendo del capolavoro comico shakespeariano, riproposto nella traduzione e nell’adattamento firmati da Fabio Grossi e Simonetta Traversetti, per la regia dello stesso Grossi. Notevole il successo riscosso in tournée nei maggiori teatri italiani dall’allestimento prodotto dal Teatro Eliseo, con le scene e i costumi di Luigi Perego, le musiche di Germano Mazzocchetti, le coreografie di Monica Codena, luci Valerio Tiberi. Insieme a Leo Gullotta agisce un nutrito cast che annovera tra gli altri Alessandro Baldinotti, Paolo Lorimer, Mirella Mazzeranghi, Fabio Pasquini. Fu per volontà della regina Elisabetta I che il Bardo riesumò Sir John Falstaff, fatto morire nella sua precedente opera, l’Enrico V: nacque così Le allegre comari di Windsor. Ad accreditare questo aneddoto fu infatti John Dennis, che lo riferì nel 1702. La smania della regina, come precisò pochi anni dopo un altro attento cronista shakespeariano, Nicholas Rowe, derivava da un suo divertito “invaghimento” per la poderosa figura comica di Falstaff; invaghimento che le istillò il desiderio di vederlo in un altro dramma, e per di più innamorato. Sicché, per non venir meno al dictat dell’imperiosa Elisabetta, Shakespeare avrebbe non già “resuscitato” Falstaff, che è moderno espediente da soap-opera, ma escogitato un intreccio narrativo collocandone la vicenda in un tempo immediatamente precedente alla morte del cavaliere, raccontata da Mistress Quickly, altro personaggio riproposto, nell’ Enrico V . «Anche questa nostra edizione, benché passati parecchi secoli, nasce sotto l’occhio vigile e severo della grande regina: intrighi, scherzi e maramaldate, sfileranno così secondo il divertito gusto shakespeariano» osserva Fabio Grossi. «Protagonista della vicenda è Sir John, con le sue esuberanti smargiassate da guascone, la sua sovrabbondante figura, la sua pletorica simpatia cialtrona, il suo amore per la crapula e il bicchiere, e la sua irresistibile, endemica disonestà viziosa e bonaria. Con gli occhi di oggi, lo considereremmo un diverso, sia per verbo sia per figura, un avverso al presupposto bigotto di una società borghese. La stessa tessitura della commedia va oltre l’apparenza e, per andar al di là del detto che ‘l’apparenza inganna’, è avviluppata proprio d’inganni e scherzi, per lo più perfidi. Vi si racconta di una società, che vive sotto l’occhio della Corte, dove il dileggio reciproco dei componenti della comunità fa da quotidiano passatempo: la protervia della condizione di nascita e dello svolgersi dei fatti della vita d’ognuno la farà da presupposto dominante. Un ventaglio di più svariata umanità la farà da protagonista: il bonario benestante, il meschino geloso, lo scaltro pedante, il servo scimunito, il pavido baciapile, l’ampolloso bottegaio, l’antipatico saccente». In un contesto in cui niente è come sembra, situazioni e bersagli si moltiplicano. «Ma su tutti – sottolinea il regista – trionferanno le donne, le qua raccontate Comari, che, con furbizia e lungimirante intelligenza, collocheranno, in maniera indolore per la comunità, la parola fine alla vicenda. Quindi amori e amanti, guasconi maldestri e burocrati vacui, mariti gelosi e golosi mercanti, mercenari allettanti e infingardi, ci racconteranno la storia che, come nelle migliori tradizioni teatrali, verrà in alcune parti rafforzata dalla partitura musicale, sottolineando di volta in volta momenti comici, grotteschi, romantici». Un tocco determinante al successo della produzione si deve al nuovo adattamento, che strizza l’occhio a vezzi e vizi contemporanei. «Rispettando appieno la struttura voluta e pensata da Shakespeare, proponendo allo spettatore, in luogo dei cinque atti, i più canonici e moderni “due più intervallo”, si lascerà indubbia la correlazione ai nostri tempi e alle nostre vicende sociali, sottolineando qua e là lo scherzo, acre e cattivo, denominante una società che pedissequamente ripete i suoi stilemi nei confronti di chi viene considerato un diverso, sia per aspetto sia per attitudini o usi». Una stigmatizzazione dei costumi che ha sempre avuto in Leo Gullotta un elegante quanto insuperabile portabandiera.