Ricamo e preghiera: la scuola di ricamo di Monghidoro.

(ASI) Il 18 luglio scorso, a cura del Centro di raccolta e documentazione sulla devozione “Minima Devotio” del gruppo di studi “Savena Setta Sambro” e col patrocinio del comune di Monghidoro, si è svolta la conferenza sulle “Ricamatrici devote a Monghidoro: storia di un’arte sempre più difficile” con gli interventi di Maria Cecchetti, Daniela Nanetti e Ida Zanini.

 

Ma chi erano queste “ricamatrici devote” e perché quest’appellativo?
Erano bambine del posto che frequentavano la “scuola di lavoro ” grazie ad alcune suore Clarisse Francescane Missionarie del Santissimo Sacramento che, dal 1916,erano ospitate in alcuni locali di proprietà della Parrocchia. Le suore avevano portato con loro la cultura del cucito e del ricamo. Provenivano dalla casa madre di Bertinoro e, quando la scuola fu chiusa nel 1988, la loro storia era già diventata leggenda perché erano riuscite a “formare” in quasi settant’anni ragazze che non solo uscivano alfabetizzate nell’arte del cucito ma possedevano innumerevoli abilità collaterali.
Infatti, ogni opera di cucito prevede la conoscenza dei tessuti e dei filati oltre agli specifici punti e richiede un progetto con calcoli, misurazioni e disegni preparatori, prove e collaudi. Le bambine apprendevano le basi del ricamo grazie alle quali alcune di loro diventarono brave ricamatrici. Tra la fine degli anni quaranta fino a metà degli anni sessanta spicca la figura di suor Cherubina Pulieri sicuramente la suora più carismatica che ha lasciato, a chi ha avuto la fortuna di frequentarla, un ricordo indelebile per le sue qualità umane, per la sua sensibilità e dolcezza.
Le bambine frequentavano la scuola di lavoro ogni pomeriggio dalle 14.00 alle 17.00. Ogni bambina ricamava con le proprie iniziali la “borsa di lavoro” che non veniva mai portata a casa ma lasciata all’interno di un cassetto di un comò affinché il lavoro rimanesse pulito. Ogni pomeriggio alle 16.00 suor Cherubina cominciava la recita del rosario. Un giorno tutte le bambine, forse per capriccio, decisero di non rispondere al rosario e suor Cherubina, vedendo che nessuna voleva partecipare, scoppiò in un pianto che servì loro come lezione sicuramente più di una sgridata o di mille parole.
Alcune di loro ancora oggi lo ricordano! Durante il “lavoro” si presentava sempre l’occasione di un voto, di una richiesta o di un ringraziamento alla Madonna per questo si può affermare che ci fosse una simbiosi tra ricamo e preghiera: la calma e il ritmo della preghiera andavano di pari passo con la calma e il ritmo dei piccoli punti del lavoro. La vocazione per il ricamo nei conventi femminili si pensa trovi ispirazione nel tema iconografico della Madonna Ricamatrice di tradizione orientale. Nella storia dell’arte occidentale un esempio per bellezza e importanza storica è la Madonna del Ricamo di Vitale da Bologna.
Il cestino da lavoro che spesso appare accanto a Maria in molte Annunciazioni non è una semplice annotazione di costume ma un richiamo a delicate simbologie mariane, simbologie che si ritrovano anche in immagini più popolari come i santini e le oleografie esposte al centro Minima Devotio nei locali messi a disposizione da Aemilbanca di Loiano (BO).
Minima Devotio ha raccolto anche molti esempi di ricamo conventuale a soggetto devozionale, come i brevini del battesimo, gli scapolari del Carmine e diversi quadretti di devozione domestica eseguiti con grande raffinatezza tecnica.
Alla scuola di Monghidoro Il mese più importante era maggio, il mese dedicato alla Madonna: il comò si trasformava in altare che veniva preparato dalle bambine secondo un calendario deciso da suor Cherubina affinché tutte potessero partecipare. Una bambina stendeva una tovaglia ricamata sulla quale venivano posti e accesi due candelieri con il quadro della Madonna e un’altra, alla fine della recita del rosario, riordinava. Una delle bambine che ricordiamo come esempio di “ricamatrice devota” fu Giannina Sazzini Tedeschi nata al mulino di Mazzone di Piamaggio di Monghidoro nel 1916. Frequentò la scuola di lavoro con suor Bernardina verso la metà degli anni venti. All’età di tre anni la famiglia decise di mandarla a vivere a Roncastaldo insieme alla zia Carmelina dove lo zio, don Domenico Sazzini, era parroco .
Appena ebbe l’età per frequentare la scuola di lavoro Giannina percorreva a piedi il tragitto che la portava a Monghidoro, magari non tutti igiorni come le bambine che abitavano in paese. Imparò presto l’arte del ricamo e, infatti, già a quattordici anni ricamava tovaglie d’altare a punto intaglio. Ancora oggi si possono ammirare i suoi numerosi lavori presso il Santuario della Beata Vergine di Pompei di Piamaggio.
Nella “scuola di lavoro” s’insegnava a lavorare i merletti ai ferri, all’uncinetto e al chiacchierino, i ricami su tela a cominciare dagli sfilati di orlo, filo d’erba, catenella, ecc. Erano ricami in bianco su bianco e a volte, se si poteva, anche con le sete ed i cotoni colorati. Fra i più raffinati c’era l’intaglio che permetteva disegni complessi da godere visti in trasparenza. Il pregiato ricamo AEMILIA ARS non era insegnato dalle suore ma anch’esso è giunto a Monghidoro grazie alle abili mani di signore villeggianti che avevano imparato nelle esclusive scuole cittadine ed ha lasciato sul posto qualche traccia non indifferente.
Sappiamo che la scuola di ricamo di Monghidoro non fu la sola nell’Appennino Tosco-Emiliano, molte altre furono attive, con diversi destini e fortune, tutte sotto la guida di gruppi di suore, testimoni sapienti di una tradizione secolare. Il loro merito, oltre a quello devoto di esercitare alla gioia della creatività del ricamo unito alla preghiera, fu anche quello economico e sociale, merito che ha indirizzato alcune generazioni di bambine delle nostre montagne alla professione di ricamatrice, di sarta o magliaia, verso nuove sorridenti prospettive di vita.
Vorrei ringraziare Maria Cecchetti e Daniela Nanetti che mi hanno aiutata nella redazione dell’articolo con preziosi suggerimenti.


Donatella Arezzini per Agenzia Stampa Italia.

 

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