(ASI) Quando Michel Platini dichiara “In ogni squadra di calcio si vede una cultura, una mentalità” non sbaglia. In particolare sono le squadre nazionali a rappresentare sul prato verde i vizi e le virtù di un Popolo, di una Nazione, di uno Stato.
(ASI) Quando Michel Platini dichiara “In ogni squadra di calcio si vede una cultura, una mentalità” non sbaglia. In particolare sono le squadre nazionali a rappresentare sul prato verde i vizi e le virtù di un Popolo, di una Nazione, di uno Stato.
Non è un’eccezione la nazionale della Repubblica Popolare Democratica di Corea : le strategie tattiche calcistiche con cui si è presentata nelle sue due apparizioni alla massima manifestazione calcistica, i Mondiali 1966 e 2010, rappresentano una sorta di paradigma dei due periodi in cui, in linea di massima, è divisibile la storia della nazione asiatica. La nazionale giunta in Inghilterra rappresenta uno stato in pieno spirito rivoluzionario. Uno dei cosiddetti “popoli giovani”, spinto da un’indipendenza acquisita da poco, da una guerra contro l’Imperialismo in cui si è difeso con onore («un conflitto che, pur se non vinto, non poteva neppure dirsi perduto»1), da un’economia di scambio con gli altri paesi del blocco socialista che poteva offrire una vita più che dignitosa, dall’orgoglio di rappresentare un sistema nuovo. Era un paese “all’attacco”, spregiudicato, sbarazzino. E la nazionale di calcio si presenta in Inghilterra con questa mentalità: calcio totale, grande corsa, pochi fronzoli, tutti all’attacco. Sorprende, come vedremo, il mondo e si fa precorritrice di un nuovo modo di concepire il calcio, rivoluzionario rispetto la stantia tattica dell’”occidente borghese”.
Dopo 54 anni la RPDC si ripresenta alla ribalta mondiale. E si presenta con una strategia tattica completamente opposta. Conquista la qualificazione, infatti, grazie ad una difesa di ferro, ad un bunker inespugnabile. Subisce solo 7 gol nelle 16 partite di qualificazione (di cui 2 totalmente ininfluenti nel play off contro la Mongolia, totale 9-2). E, a conferma di quanto detto sopra, la strategia difensiva rappresenta la mentalità dello stato coreano, dopo il crollo del blocco socialista. La RPDC è l’ultimo paese asiatico caratterizzato da un socialismo intransigente.
La vicina Cina si è lanciata nel confronto con il resto del mondo, Laos e Vietnam adottano ormai politiche tutt’altro che socialiste, Cuba, Bielorussia, Angola sono paesi lontani: ecco perché, oggi, la Corea Popolare si difende, rafforzando il suo esercito, mobilitando il popolo nella costruzione autarchica e patriottica del suo socialismo. E così come la difesa messa in campo dal mister Kim Jong-Hun è una difesa caratterizzata da grande ordine e disciplina, anche il più acerrimo nemico del socialismo coreano non può non ammettere che la caratteristica più evidente di Pyongyang e delle altre città è proprio l’ordine.
In Corea, come in tutti i paesi di stampo socialista, lo sport e in questo caso il calcio è da leggere come fattore di educazione e di formazione, a differenza di quanto vediamo nello sport “occidentale” (nelle Americhe e in Europa, particolarmente) in cui il fattore spettacolare e agonistico è preponderante.
*Marco Bagozzi, **Con lo Spirito Chollima**, 156 pagine* 14,00 €
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Intervista all'autore:
http://www.eurasia-rivista.org/intervista-a-marco-bagozzi-autore-de-con-lo-spirito-chollima/12444/
Blog dell'autore: http://calciocorea.splinder.com/
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