Antonio Canova, da Possagno, l’ultimo grande maestro della stagione scultorea Neoclassica

800px Antonio Canova Selfportrait 1792(ASI) Possagno è un paese collinare del Veneto settentrionale. Si snoda tra Bassano e Asolo, ai piedi del Monte Grappa. Boschi e cave di pietra si alternano in un paesaggio tranquillo. Al centro del paese campeggia un edificio semplice, segna l’ingresso alla Casa di Antonio Canova. Qui si trova anche la Gipsoteca.

Vi sono esposti i meravigliosi modelli in gesso originali, sintesi dell’intera produzione del maestro. In questo luogo si può ammirare la magnificenza dell’arte scultorea del grande artista. Bozzetti in creta, sculture marmoree, oggetti personali, numerosi dipinti sono poi distribuiti nelle stanze del Canova. Inizia qui il viaggio di un uomo che toccherà l’apice della gloria, tra la riproposizione statuaria del mito, gli eroi e gli dei dell’antichità, gli estremi fasti di città simbolo come la Serenissima e la Roma dei Papi, le glorie e le tragedie dell’epopea napoleonica, il Romanticismo, il senso della vita e del presente vissuto in prima persona da artefice di una maniera di scolpire che primeggia tra i grandi della storia dell’arte. Canova nacque a Possagno il primo novembre 1575, l’anno prima a Salisburgo fu la volta di Mozart. Il piccolo Antonio venne affidato al nonno Pasino, che gli insegnò i rudimenti del mestiere di scalpellino e lo aiutò negli studi. Già ad undici anni entrò nella bottega di Giuseppe Torretti. Titolare di due atelier, di cui uno a Venezia. Tra il 1768 e il 1773, gli anni della formazione lo scultore partecipò al passaggio dall’influsso tardobarocco al Neoclassicismo. Non ancora sedicenne affrontò per la prima volta la scultura monumentale, avviando la realizzazione delle statue di Orfeo ed Euridice per il giardino della villa asolana dei Falier. L’Orfeo procurò al Canova la prima ventata di popolarità. Canova apparve così stregato dal linguaggio tecnico e alle espressioni infiammate dell’estremo Rococò veneziano. Ebbe un estremo gusto per il chiaroscuro, il gioco contrapposto dei movimenti, l’attenzione per le superfici. Una giovinezza passata dunque a Venezia tra il gusto naturalistico. Aprì uno studio già ventunenne nella Serenissima, lavorando al Dedalo e Icaro. Il suo operato anche nella fase giovanile fu caratterizzato da una mano veloce nell’abbozzo del disegno preparativo, così da dare poi grandezza alla sua opera scultorea. Nel 1779 arrivò a Roma, che stava vivendo la stagione della piena riscoperta delle antichità. Nel 1780 visitò gli scavi di Pompei e di Paestum, mentre a Napoli e a Caserta ebbe l’occasione di mettere a confronto la statuaria antica con le ultime prove del virtuosismo stilistico del tardobarocco. Nel 1783 avviò il lavoro per il monumento sepolcrale di Clemente XIV Ganganelli per la Basilica dei Santi Apostoli. Scelse una composizione di poderosa solennità. Non ancora trentenne Canova poteva essere considerato lo scultore più famoso dell’epoca. Il successo dell’opera fu enorme. Tanto che l’artista si travestì da prete di campagna mescolandosi alla folla per capire i commenti che aveva il popolo del suo operato che era già grande. Nel 1793 portò a termine Amore e Psiche giacenti, oggi al Louvre. Grande ideatore di bellezza, capace di rendere vivo il modellato, riuscì a rendere presente, tangibile, concreta carica di passione ed emozione la propria scultura. Nel 1790 eseguì il monumento funebre a Tiziano nella Basilica dei Frari. Con questo celebrò l’arte della Serenissima.
Nel 1797 l’Italia fu scossa dalle conquiste napoleoniche. Fece nel suo periodo di incertezza capolavori come i Pugilatori, e il Perseo con la testa di Medusa, destinato a sostituire l’Apollo del Belvedere portato a Parigi. Mantenne rapporti diplomatici con Napoleone. Nel 1798 ricevette l’incarico di per il monumento dell’arciduchessa Maria Cristina d’Austria, a conferma della rilevanza internazionale della sua carriera. Fu considerato uno dei passi più esaltanti della poetica dei Sepolcri. Nel 1802 ricevette da Pio VII l’incarico di ispettore delle Antichità e Belle Arti del Vaticano, tentò di frenare l’emorragia di opere d’arte italiane verso l’estero, anche attraverso la realizzazione di una nuova ala dei Musei Vaticani. Si moltiplicarono le commissioni di grande prestigio. Compì la statua dell’imperatore Napoleone nelle vesti di Marte pacificatore. Appartiene a questa stagione anche il celebre ritratto di Paolina Borghese Bonaparte, terminato nel 1808. Al confine tra il ritratto e l’evocazione allegorica di Venere. Nell’ agosto del 1815 per Canova si presentò l’impresa che ne segnò le gesta della grandezza: il recupero delle opere d’arte trafugate dalle truppe napoleoniche. Tra queste ricordiamo l’Apollo del Belvedere e la Trasfigurazione di Raffaello. Il risultato delle sue iniziative fu eccezionale. Sthendal si espresse così sul maestro : “Canova ha avuto il coraggio di non copiare i greci, ma di inventare una bellezza, come avevano fatto questi ultimi. Che dolore per i pedanti! Per questo continueranno ad insultarlo cinquant’anni dopo la morte, e anche per questo la sua gloria crescerà sempre più in fretta. Quel grande che a vent’anni ha creato cento statue, trenta delle quali sono capolavori”. Un'altra opera rilevante fu quella delle Tre Grazie. La salute dell’artista peggiorò nel 1821. Rientrò a Roma dove compì un altro immane lavoro, per la statua di Pio VI in preghiera per la Basilica di San Pietro. Canova si spense il 13 ottobre nel 1822 poco prima di compiere 75 anni. A Venezia vennero organizzati dei funerali solenni. Egli fu il primo ad organizzare le opere con assoluta dolcezza nel modellato dei contorni, e per l’espressione realistica evocante la classicità, fu un raffinato dell’arte . Ricordato in tutto e per tutto, le sue mirabili opere continuano a vivere ancora oggi.

Massimiliano Pezzella – Agenzia Stampa Italia

Foto di Antonio Canova - http://www.historia-del-arte.net/Links-ARTE/Concurso/Ganador2000.htm, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=356339

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