Rovigo, Palazzo Roverella. 28 settembre 2019 – 26 gennaio 2020
Mostra a cura di Francesco Parisi
(ASI) Rovigo. Sul finire del XIX secolo la scoperta delle arti decorative giapponesi diede una notevole scossa all’intera Arte europea. Un potente vento di rinnovamento, se non proprio un uragano, che dall’Oriente investiva modelli, consuetudini stratificate nei secoli, conducendo l’arte del Vecchio Continente verso nuove e più essenziali norme compositive fatte di sintesi e colori luminosi.
La svolta avvenne quando, all’inizio degli anni ’60 dell’Ottocento cominciarono a diffondersi in Europa, e principalmente in Francia, ceramiche, stampe, ed arredi da giardino dall’Impero del Sol Levante che, pochi anni addietro, nel 1853, si era aperto al resto del modo.
Le prime xilografie si diffusero, dapprincipio, grazie al commercio di vasi e ceramiche, con cui questi venivano “avvolti” e“impacchettati”. I preziosi fogli erano spesso i celebri manga di Hokusai o altre brillantissime stampe di Utamaro e Hiroshige che tanta influenza ebbero sugli Impressionisti, sui Nabis, fino alle Secessioni di Vienna e Monaco per concludere il loro ascendente con i bagliori della Grade Guerra trasformandosi in un più generico culto dell’oriente nel corso degli anni 20 e 30 del Novecento.
La moda giapponista, esplosa attorno al 1860 e destinata a durare almeno un altro cinquantennio coinvolse dapprima la ricca borghesia internazionale, ma soprattutto due intere generazioni di artisti, letterati, musicisti e architetti, trovando via via sempre più forza con l’innesto della nascente cultura e Liberty e modernista sempre più attenta ai valori decorativi e rigorosi dell’arte giapponese.
Il taglio che Francesco Parisi ha scelto per descrivere questa effervescente pagina della storia dell’arte europea e mondiale nella grande mostra “Giapponismo, Venti d’Oriente
nell’arte europea. 1860 – 1915” (Rovigo, Palazzo Roverella, dal 28 settembre 2019 al 26 gennaio 2020, per iniziativa della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, con il Comune di Rovigo e l’Accademia dei Concordi) è decisamente originale mappando, per la prima volta, le tendenze giapponiste dell’Europa tra Ottocento e Novecento: dalla Germania all’Olanda, al Belgio, dalla Francia all’Austria, alla Boemia, fino all’Italia.
Nelle 4 ampie sezioni in cui è dipanato il racconto, egli affianca originali e derivati, ovvero opere scelte fra quelle che giungendo dal Giappone divamparono a oggetto di passioni e di studi in Europa, accanto alle opere che di questi “reperti” evidenzino la profonda influenza.
Pittura e grafica, certo. Ma anche tutto il resto, dall’architettura, alle arti applicate, all’illustrazione, ai manifesti, agli arredi,…. A dar conto, per la prima volta in modo organico, di quanto capillarmente e profondamente quel Giapponismo sia entrato nel corpo della vecchia Europa.
Quattro sezioni, quante furono le grandi Esposizioni Universali che in quei decenni contribuirono, grazie alla presenza dei padiglioni giapponesi, a svelare ed amplificare il nuovo che giungeva da così lontano, da quel luogo misterioso e magico.
Dall’esposizione londinese del 1862, dove i “prodotti” del Sol Levante debuttarono, a quelle parigine del ’67 e’78, che ebbero nelle proposte il loro elemento di maggiore attrattività, fino all’esposizione del cinquantennale dell’Unità d’Italia del 1911 che ebbe una vasta influenza su molti artisti delle nuove generazioni.
Accanto ai capolavori di Gauguin, Touluse Lautrec, Van Gogh, Klimt, Kolo Moser, James Ensor, Alphonse Mucha si potranno ammirare le tendenze giapponiste nelle opere degli inglesi Albert Moore, Sir John Lavery e Christopher Dresser; degli italiani Giuseppe De Nittis, Galileo Chini, Plinio Nomellini, Giacomo Balla, Antonio Mancini, Antonio Fontanesi e Francesco Paolo Michetti con il suo capolavoro La raccolta delle zucche; e ancora i francesi Pierre Bonnard, Paul Ranson, Maurice Denis ed Emile Gallé; i belgi Fernand Khnopff e Henry Van De Velde.
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GIAPPONISMO
Venti d’Oriente nell’arte europea. 1860 – 1915
Rovigo, Palazzo Roverella
28 settembre 2019 – 26 gennaio 2020
Il progetto di mostra
Premessa
Isolato per più di due secoli, attorno al 1854 il Giappone iniziò ad instaurare rapporti diplomatici e commerciali con gli Stati Uniti, la Russia, i Paesi Bassi, l'Inghilterra e la Francia. Le prime merci giapponesi ad essere commercializzate furono soprattutto la ceramica e la lacca, seppure confluite nella cosiddetta moda della "cineseria". Con la diffusione e l'affermazione di una cultura borghese legata soprattutto agli ambienti artistici e letterari d'avanguardia la diffusione di stampe ed oggetti di arredo nipponici divennero un fenomeno alla moda più specifico che influenzò i più svariati settori dell'Arte e della Cultura occidentali in un periodo compreso tra il 1880 e il 1915, noto col termine «Japonisme».
Il periodo di maggior diffusione di questa tendenza coincise appieno con lo sviluppo del modernismo e del gusto Liberty, cui si sovrappose più volte, e che terminò con l'avvento del Decò, immediatamente dopo il primo grande conflitto mondiale, quando l'interesse si allargò ulteriormente verso i paesi dell'estremo oriente in generale.
Tra secondo Ottocento e primo Novecento, i movimenti delle Arts & Crafts in Gran Bretagna, della Secessione Viennese in Austria, dell'Art Nouveau in Francia e del Liberty in Italia interpretarono la cultura artistica del Giappone, in chiave soprattutto decorativa e formale.
La ceramica giapponese tradizionale si distingueva dalle analoghe forme cinesi ed orientali per il gusto sintetico della forma e per l'uso delle decorazioni semplici di natura fitomorfica. Sin dalla loro prima apparizione sul mercato europeo questi modelli furono immediatamente copiati, seppure aggiornando lo stile al gusto europeo, da molti artisti in ragione della loro grande popolarità, ma soprattutto per la coincidenza con gli sviluppi di una tendenza, il Liberty, che andava modernizzando e semplificando i barocchismi del periodo precedente. Molti artisti iniziarono, in quel periodo, a dedicarsi alla produzione di vasi e ceramiche con asimmetrici pattern floreali proclamando in tutta Europa la supremazia del design giapponese.
Avvertito come misterioso e diverso, il Giappone aveva senza dubbio affascinato gli artisti che, reinterpretando i temi delle stampe Ukiyo-e (mondo fluttuante), erano giunti ad una sintesi straordinaria tra le esigenze e gli schemi dell'arte occidentale e lo spirito sintetico ed essenziale dell'arte nipponica.
Nella Francia fin de siècle l'influenza dell'arte giapponese, sia a livello formale sia contenutistico, aveva coinvolto oltre alle industrie del bronzo, del giardinaggio e della carta da parati, i più svariati settori artistici, dalla pittura alla grafica, dalla ceramica all'architettura influenzando artisti come Manet, Monet, Degas e Van Gogh che, col dipinto Rami di mandorlo in fiore, mostrava l'equivalente del romanzo-manifesto del giapponismo Manette Salomon dei fratelli Goncourt. L'influenza esercitata dalle stampe giapponesi sugli
impressionisti e sui postimpressionisti e del loro peso nel rinnovamento della visione artistica occidentale fu notato già all'epoca dai più autorevoli critici e letterati, da Marcel Proust a Edmond de Goncourt che arrivò ad affermare: "Tutto l'impressionismo è dovuto alla contemplazione e all'imitazione delle stampe luminose del Giappone".
La mostra
Il focus della mostra sarà rigorosamente incentrato sull'influenza del Giappone nelle arti figurative europee nel periodo compreso tra il 1862 e il 1920.
La mostra avrà quattro principali aree di approfondimento, incentrate ciascuna sulle dinamiche di penetrazione del gusto japoniste in Europa.
In ciascuna delle quattro sezioni ovviamente ampio spazio sarà dedicato ai manufatti giapponesi (ceramiche, tessuti, xilografie, bronzi) restituendo altresì un'idea delle grandi esposizioni universali che misero in comunicazione i due mondi, testimoniando attraverso vari gradi d'influenza, fino alla fedele trascrizione, il dialogo con le opere degli artisti europei.
La mostra prevede inoltre alcune sezioni esterne, dedicate all'architettura, all'illustrazione del libro, all'incisione e al manifesto.
La complessità del fenomeno giapponista sarà dispiegata attraverso una lettura parallela, dunque, tra le diverse nazionalità europee: Inghilterra, Francia, Paesi Bassi, Germania, Austria, Boemia e Moravia, Italia.
La London World Fair del 1862
Una grande quantità di prodotti giapponesi fu esposta a Londra nel 1862, per la cura del Ministro britannico plenipotenziario di Cina e Giappone Sir Ruthford Alcock che per l'occasione prestò la sua intera collezione. Grazie a questa incredibile esposizione, molti artisti vittoriani - o quelli della successiva generazione confluiti nel cosidetto Aesthetic Movement - iniziarono ad inserire elementi del Paese del Sol Levante, spesso in maniera decontestualizzata, attratti dalla loro qualità decorativa (Albert Moore, James Tissot, James Guthrie, etc...)
James McNeill Whistler occupò un ruolo fondamentale all'interno di questa vague costruendo il dipinto attorno ad un singolo colore e ritraendo le sue modelle in kimono e ventaglio sullo sfondo di paraventi giapponesi presi dalla sua preziosa collezione. Mostrando interesse per la struttura compositiva delle stampe giapponesi fu il primo ad utilizzarne gli schemi.
Il principale designer giapponista inglese fu senza dubbio William Goodwin il cui stile fu ribattezzato «anglojapanese». Dopo l'uscita nel 1877 del catalogo della sua intera opera, Art and forniture by Edward Goodwin, lo stile sintetico dei suoi lavori interessò i principali fautori del modernismo europeo
Le Esposizioni Universali di Parigi del 1867 e del 1878 e Siegfried Bing
All'Esposizione di Parigi del 1867 il padiglione giapponese presentava principalmente arti decorative, porcellane, abbigliamento, armature, lacche, calligrafie, paraventi e una vastissima collezione di stampe ukiyo-e, mentre l'Esposition del 1878 fece diventare popolare il ventaglio, tanto che numerosi artisti italiani, francesi e inglesi si dedicarono alla decorazione di questo oggetto (Degas, Caillebotte, Jean Louis Forain, Camille Pissarro, Paul Gauguin). L'imitazione delle stampe luminose giapponesi ebbe, notoriamente, un peso notevole nel passaggio dal naturalismo all'impressionismo, sia per la scelta dei soggetti sia per l'abbandono dell’uso di colori bituminosi.
Nel 1888 in un articolo pubblicato su “L'art indépendante” il critico Edouard Djardin scrisse a proposito della mostra del Gruppo dei XX che alcune tele evocavano indiscutibilmente "l 'imagerie et le japonisme".
Nel 1890, inoltre, Siegfried Bing, proprietario della galleria l'Art Nouveau, da cui prese il nome il corrispettivo indirizzo estetico, organizzò L'Exposition de la gravure Japonaise all'École Nationale des Beaux-Arts di Parigi iniziando al contempo la pubblicazione trilingue (inglese, francese e tedesco) della rivista "Le Japon Artistique" (18881891; presente in mostra nella sua edizione di lusso). Considerata come un perfetto esempio di arte decorativa, l'arte giapponese rispondeva perfettamente anche alle aspirazioni dei pittori Nabis in quanto la dimensione decorativa rivestiva un ruolo essenziale nella loro nuova concezione della Pittura
Sulla scia di Gauguin, i Nabis rimasero affascinati da queste immagini che collezionavano con vivo interesse e che rivelavano loro nuove possibilità espressive; seguendo Gustave Caillebotte, Pierre Bonnard sperimentò delle composizioni ristrette verticalmente o orizzontalmente, direttamente ispirate alle riproduzioni viste sulla rivista di Bing. Edouard Vuillard, Georges Lacombe e Paul Ranson, che presto saranno soprannominati "i Nabis più giapponesi dei giapponesi", organizzarono le loro composizioni derivandole dagli arabeschi dinamici di Outamaro. I Nabis non furono gli unici interessati alla grafica giapponese; da Georges de Feure a Charles Maurin, da Eugène Grasset a Alphons Mucha, tutti gli artisti notarono l'enorme potenziale emotivo di queste nuove linee.
L'arte giapponese, considerata il miglior esempio di arte decorativa, rispondeva perfettamente agli obiettivi di molti pittori per i quali la dimensione decorativa giocava un ruolo essenziale nella nuova nozione di pittura.
Dopo il successo parigino Bing iniziò ad esporre opere d'arte giapponesi anche fuori dalla Francia. Nel 1889 presso il Cercle Artisique e Lettéraire di Bruxelles espose trentasei acquerelli e circa centocinquanta stampe ukiyo-e poi acquistate dal governo. A partire da quella data il Beglio divenne japonisante conquistando definitivamente Bruxelles. A rappresentare, in parte, l'influenza nipponica sull'arte belga, tra gli altri, fu un cenacolo di artisti, Les XX (tra cui James Ensor, Henry Van de Velde, Vincent Van Gogh, Théo Van Rysselberghe e lo stesso Paul Gauguin), catalizzatori del Simbolismo e annunciatori dell'Art Nouveau. All'apertura di una loro mostra, avvenuta nello stesso anno di quella di Bing, per la foto ufficiale del gruppo Octave Maus posò con un ventaglio giapponese.
Monaco, Berlino, Vienna e Praga
La moda giapponista raggiunse la Germania alla fine del XIX secolo dopo avere riscosso popolarità in Francia e nei paesi anglofoni e francofoni. La prima mostra di arte giapponese fu organizzata nell'estate del 1885 a Berlino, e poi a Monaco, attirando moltissimi visitatori: dell 'esposizione berlinese esiste una serie di acquerelli del pittore Adolph von Menzel. Di notevole importanza fu anche l'allestimento di spettacoli teatrali della compagnia inglese Mikado, svoltisi a Monaco nel 1886 e 1889, che ne favorirono così l'infiltrazione nella cultura artistica mitteleuropea.
Principalmente l'influenza dell'arte giapponese in area germanica ebbe il suo massimo sviluppo con la Secessione viennese preceduta dall 'Esposizione Universale di Vienna del 1873.
Gli artisti viennesi svilupparono particolarmente le arti applicate dando un notevole incremento alla riformulazione del linguaggio architettonico e grafico in particolare nell' editoria e nell'arte del manifesto. Tra i maggiori interpreti internazionali della grafica e della xilografia giapponese il praghese Emil Orlik realizzò centinaia di xilografie policrome sul modello dell'ukiyo-e viaggiando anche nelle terre del Sol Levante. L'organo della Secessione, "Ver Sacrum", dedicò un intero numero all'arte giapponese, influenzando Kolo Moser, ma soprattutto Gustav Klimt, che acquistò nel 1906 1'intera raccolta dei trentasei fascicoli di "Le Japon Artistique".
La prima Esposizione Internazionale di Arte Decorativa Moderna di Torino del 1902 e l'Esposizione Internazionale di Roma del 1911
Anche a Torino nel 1902 a prevalere furono porcellane, lacche, ceramiche e vasi in metallo, nonché paraventi e stampe. Pur rimanendo l'allestimento dell'esposizione di Torino, in special modo la parte giapponese, di gusto "pittoresco", grazie a Vittorio Pica e alle sue pubblicazioni il gusto giapponese o, come era stato battezzato in Italia, alla giapponesca, entrò decisamente anche nel dibattito artistico italiano sul modernismo. La moda giapponese investì, soprattutto, gli artisti italiani residenti a Parigi, come Giuseppe De Nittis e, più tardi, Camillo Innocenti non riuscendo però a modificare interamente I 'impostazione delle scuole regionali.
Si può scorgere una fattiva influenza dell'arte giapponese nel lavoro di Antonio Fontanesi, Vittore Grubicy de Dragon, Francesco Paolo Michetti e, nel corso del Novecento, su Plinio Nomellini, Mario Cavaglieri e Giacomo Balla, raggiungendo un notevole sviluppo soprattutto nell'arte del manifesto.
Nelle arti decorative il maggior rappresentante del gusto giapponista fu senza dubbio Galileo Chini che seppe miscelare abilmente forme e modelli orientali con uno stile assolutamente personale.
Fondamentale per la conoscenza dell'arte giapponese in Italia fu anche la grande Esposizione Internazionale di Roma del 1911. Il padiglione realizzato dal governo giapponese a Valle Giulia, un edificio in stile giapponese classico, presentava per la prima volta al pubblico più di cento opere d'arte tra sculture e pitture, soprattutto contemporanee, di artisti ormai pienamente "occidentalizzati" e altri ancora saldamente legati alla tradizione (come, tra gli altri, Kikuchi Hobun e Kawabata Gyokusho).
Illustrazione e incisione
Fu soprattutto la grafica europea, nei decenni di passaggio tra Ottocento e Novecento, a far tesoro del ricchissimo serbatoio di idee contenute nelle stampe giapponesi come testimoniano numerosi esempi che vanno dall'evocazione delle scene di intimità domestica di Utamaro alle composizioni in diagonale di Hiroshige interpretate in maniera quasi palmare dagli incisori europei.
Completerà la sezione una ricca esposizione di libri illustrati realizzati tra il 1880 e il 1924.
I manifesti
La complicata tecnica delle stampe giapponesi venne tradotta in Europa attraverso l'uso della litografia policroma più adatta ad essere riprodotta su scala industriale. Jules Chéret fu tra i pionieri del manifesto artistico e, avendo studiato a Londra, ebbe notevole familiarità con le stampe giapponesi e con il loro tipico uso delle tinte piatte. A raccogliere la sua eredità fu Tolouse-Lautrec che divenne in breve uno degli autori di manifesti più apprezzati. La sua grande passione per le stampe giapponesi è testimoniata sia dal suo monogramma, derivato da una stampa smunga, sia dalla passione di abbigliarsi in kimono, ma soprattutto per il tributo alle incisioni di Utamaro con la realizzazione del manifesto per la ditta Divan Japonais (1893).
Nell'arte del manifesto l'influenza del Giappone giunse anche nella mitteleuropa: ne sono un esempio i motivi decorativi utilizzati dai maggiori esponenti della Secessione viennese; ugualmente in Italia, complice la produzione pubblicitaria legata ai melodrammi d'ispirazione orientale (si pensi a Iris di Mascagni o alla Madame Butterfly e alla Turandot di Puccini), favorì la produzione di manifesti di chiara ispirazione giapponese.
Il catalogo
Il catalogo, edito da Silvana Editoriale, raccoglierà i saggi del curatore Francesco Parisi, Giovanni Fanelli, Gilles Genty, Ian Milman, Jean-David Jumeau-Lafond, Fabio Mangone, Mario Finazzi, etc.