"Nature is Viral - Paradise Lost" a Palermo. L'arte e la natura si fondono nel "nuovo" Palazzo Scavuzzo

quadro2(ASI) A pochi passi dirimpetto al monastero della Concezione, ove il “tramezzo” della terrazza divide ancora oggi la realtà mondana - lo struggimento interiore per gli affanni terreni - e il crocevia per la libertà - una città senza confini e alla quale erano state sottratte forzatamente, nel lontano 1717, le “repentite” che ben presto sarebbero divenute parte integrante del reclusorio delle Vergini Cappuccine, si erge Palazzo Scavuzzo-Trigona, da cui prende il nome la via stessa e che si colloca nel quartiere la “Kalsa” di Piazza Rivoluzione a Palermo. Dopo cinquant’anni, fra ricostruzioni e restauri, le stanze dell’edificio rinascimentale sono tornate al pubblico attraverso il progetto “Nature is viral. Lost Paradise” a cura di Sveva Manfredi Zavaglia.

Con la sinergia delle parti, fra cui La Art & Communication, Valorizzazioni Culturali e EFG ltd, il Patrocinio del Comune di Palermo e Regione Sicilia, il festival, che nasce in concomitanza con “Manifesta 12”, la Biennale nomade Europea di Art Contemporanea, si compone di due fasi: la prima, che varia dalle forme in movimento alle rappresentazioni su tele e che si concluderà il 15 settembre, la seconda, con l’aggiunta delle “arti meccaniche” come la fotografia e le installazioni volgerà al termine il 4 novembre.

Un progetto teso a rielaborare la concezione islamica del Paradiso come giardino, e che rientra sentimentalmente nel patrimonio artistico e culturale di Palermo, da sempre considerato dagli arabi come il punto celeste, ricco di sorgenti e vibrazioni naturali, più di altre città colonizzate, Granada e Valencia su tutte. Lungo la storicità dello spirito di un popolo, il suo essere “Zarathustrano” nella querelle con gli antichi, la mostra, inoltre, si propone il compito di affiancare al carattere della naturalità sopracitata, anche quello dell’artificialità: ai giardini, alla flora e fauna di “Panormus” infatti si assiste all’intervento dell’uomo sulla natura attraverso le svariate espressioni artistiche, e che vanno dall’architettura alle opere d’arte. Contestualmente, l’arte diventa virale quando inizia a conversare con la natura riflettendone movimenti ciclici attraverso la gestualità del corpo.

La pittura di Silvia Caimi in tal senso, artista eclettica e fonte di ispirazione con le sue “opere in movimento” dello spettacolo “Jump” della Compagnia di teatro Danza di Sisina Augusta, rientra in quanto centro gravitazionale dell’intera mostra, satura di forme che sembrano perdersi nell’empiria di un tumultuoso avvenire per l’essere.

Da Antonia Covarrubias Noé, pittrice sudamericana che vive a Roma alla scultrice Loredana Salzano, campana di nascita ma siciliana di adozione, sono tanti i volti che raccontano “Paradise lost”. Volti di donne migranti, che contrariamente allo stereotipo dei detrattori di Judith Butler, non trasferiscono fragilità e vulnerabilità alle proprie opere anzi: scivolando oltre l’apparenza emerge invece, dalla tela, una forza innata con le tante sfumature intense e profonde, che inducono il fruitore a volgersi verso la speranza, alla ricerca di nuovi spunti e motivi per riscoprire la genuinità della vita. Alla natura che diventa casa viene così conferito un carattere di irresistibile purezza visiva.

quattro1Nella seconda parte della mostra a partire da metà settembre, una volta concluso il ciclo estivo, a Palazzo Scavuzzo sono attesi anche altri artisti come Nei Alberti’, scultore spagnolo; Shantanu Amin, fotografo mix media indiano; Hind Chaouat, fotografa marocchina; Andrea Felice, pittore mix media; Natalia Trivino, pittrice colombiana. Come da principio, l’evento, continuerà ad avere come obiettivo concreto la raccolta fondi per contribuire ad un intervento di risanamento di una rovina/monumento da identificarsi in collaborazione con l’Amministrazione e di cui Palazzo Scavuzzo rappresenta oggi il punto di partenza. Dopo mezzo secolo di assenza la location regale torna così a disposizione dell’arte, si spera in modo perenne perché come diceva Daniel Pennac: “Una rondine tramortita è una rondine da rianimare. Punto e basta”.

 

 

 

 


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