Le religioni orientali nel paganesimo romano – recensione

(ASI) Il trattato di Franz Cumont inizia con la constatazione per cui le ricerche su dottrine/pratiche comuni a Cristianesimo e misteri orientali conducono quasi sempre al di là dei limiti dell’impero Romano. La predicazione dei sacerdoti asiatici, insomma, alla lunga preparò il trionfo della Chiesa.

 

Con la loro propaganda popolare disgregarono la fede nazionale dei Romani mentre i Cesari demolivano il particolarismo politico; la religione, dunque, cessò di essere legata a uno Stato per diventare universale.

In sostanza, non si può comprendere il Cristianesimo delle origini senza conoscere i suoi antecedenti nel mondo in cui si era sviluppato.

L’Oriente si impose un po’ dappertutto con i suoi uomini e le sue risorse; l’invasione dei suddetti culti, che, come detto, distrusse l’antico ideale religioso romano trasformò anche la società e il governo dell’impero e già per questo meriterebbe l’attenzione anche degli storici.

I loro dei, al contraro di quelli della Gallia, non si fecero mai superare, dal momento che trovarono sempre maggiori canali di diffusione (ad esempio i mercanti nel pubblico e gli schiavi nel privato).

Era necessario convertire e coinvolgere non solo le masse popolari ma anche l’élite, ma come?

La risposta principale che è sempre stata data a suddetto quesito è che, al contrario della religio romana che era fredda e subordinata alla politica, quelle orientali agivano sui sensi; davano soddisfazione contemporaneamente a sentimento, ragione, coscienza e perfino alle domande sull’universo. Al contrario la morale della religio romana sopraccitata non rispondeva più alla nuova concezione della giustizia.

Il primo culto orientale che Cumont cita è quello della dea di Frigia Magna Mater deum Idea. Nel 205 a. C., quando ancora Annibale era in Italia, i libri sibillini avevano previsto che sarebbe stato sconfitto (cosa che poi si è verificata a Zama tre anni dopo) se lei fosse arrivata a Roma.

Le due divinità più importanti di questo pantheon erano Ma/Cibele e Attis/Papas; il culto era caratterizzato da un estatismo violento, caratteristica che è durata fino ai Dervisci.

All’inizio dell’impero ci fu estrema diffidenza nei suoi confronti; soltanto l’imperatore Claudio fece introdurre delle feste, le più importanti della quali erano il funerale di Attis (24 marzo) e gli Hilaria, la sua resurrezione (il 25). Ovviamente a noi lettori contemporanei, che viviamo dopo 2000 e passa anni di Cristianesimo, ciò fa ricordare il Venerdì santo e la Pasqua.

Senza dubbio il culto più conosciuto è quello degli antichi egizi (Iside, Osiride e Serapide), ma questo non ne dissipa le incertezze. Di sicuro era uscito dal Serapeo di Alessandria, che sarà dato alle fiamme nel 391 d. C.

Per Erodoto erano il più religioso dei popoli; d’altra parte, secondo loro, il primo mistero ossia la morte (di Osiride) indirizzava gli uomini a comprendere tutti gli altri.

La prima dea siriaca ad essere venerata, invece, fu Atargatis assieme al consorte Hadad; i primi adoratori erano schiavi e sotto l’impero l’importazione di questi ultimi divenne sempre più considerevole, oltretutto i negozianti siriaci colonizzarono parecchie province latine. L’elemento del culto siriaco era una sorprendente vicinanza al monoteismo (lo stesso nome del predetto dio significa, forse, “uno uno”).

La Persia, invece, fu rilevante per quanto riguarda il dualismo bene-male: Teodoro definì Arimane “satanas”.

Durante il periodo della “decadenza”, inoltre. l’astrologia era riuscita a relegare nell’ombra aruspicina e arte augurale e la Tyche ( “Fortuna”) era diventata la padrona dei mortali e delle loro esistenze.

G.R. - Agenzia Stampa Italia

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