"Il Domenicano Bianco" di Gustav Meyrink

IL DOMENICANO BIANCO(ASI) Der weisse Domenikaner: Tagebuch eines Unsichtbaren è un’opera di Gustav Meyrink: apparve in origine nel 1922 e in Italia soltanto dal 1944; questa traduzione era preceduta dalla prefazione da parte di Julius Evola.


La collana “L’archeometro” della casa editrice meneghina “Bietti” presenta il testo corredato da un’introduzione dello studioso Gianfranco De Turris, da quella originale di Evola e da una ricca appendice finale.

La prefazione del De Turris, intitolata “Il Risveglio secondo Gustav Meyrink”, si pone come una sorta di denuncia contro “l’ortodossia ideologico-culturale del nostro tempo” e predilige un’analisi spiritualista. I testi del Meyrink -scoperto peraltro fra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso- hanno uno schema simile perché tale è il messaggio che l’autore voleva trasmettere: noi viviamo in uno stato di sonno spirituale e l’unica maniera per uscirne è un Risveglio. Quest’ultimo avviene seguendo due direttrici: la prima consiste nel ricollegarsi alle proprie radici, mentre la seconda nell’amore per una figura femminile in modo da realizzare il Rebis, ossia la grande opera alchemica.
Inoltre, il Meyrink vuole mettere in guardia da due pericoli principali, e cioè la diffusione dello spiritismo e la presentazione deviata delle dottrine orientali; a tal proposito è d’uopo ricordare la precisazione fatta da Evola in cui asserisce che nel Domenicano Bianco la dottrina di base è quella taoista.

Prima del testo vero e proprio appare un’introduzione del Meyrink suddetto che ai lettori più colti può far ricordare -anche solo vagamente- quella del Manzoni ai “Promessi Sposi” (“L’historia si può deffinire una guerra illustrissima contro il tempo”...), solo che qui si disquisisce della natura del protagonista, e cioè Cristoforo Colombaia. Già in queste prime pagine vediamo due riferimenti al Cristianesimo ( il nome “Cristoforo” che significa “portatore di Cristo” e le colombe bianche) ma anche all’antica teoria della reincarnazione.
La narrazione comincia in prima persona e non viene introdotto solo il protagonista, ma anche la leggenda del monaco domenicano Raimondo di Pennaforte, la cui ombra forse si manifesta sulla piazza del mercato nelle notti di luna nuova.
All’accusa da parte del Reverendo di non essersi confessato, Cristoforo risponde di aver visto un domenicano bianco seduto nella cella per la confessione. Questi, oltretutto, scrisse il nome del protagonista nel Libro della Vita: tutto ciò ha provocato terrore nel Reverendo, che si è fatto persino il segno della croce.
Cristoforo verrà in seguito adottato dal barone von Jocher.

Campeggia la figura femminile più importante, e cioè Ofelia, la quale ha l’ammirazione del protagonista (e che avrà ben 3 capitoli su 20 che portano il suo nome).
Von Jocher e il Cappellano intavolano una discussione sui diversi sistemi educativi, passando per l’evocazione dei morti tramite le dita, la massoneria, i segreti degli antichi pittori. Questi ultimi, in particolare, vengono suddivisi in due grandi gruppi (a seconda che nelle loro opere siano rappresentate scene terribili o virtuose), e cioè “diabolici” e “unti”.
Cristoforo scopre anche che il capostipite della famiglia von Jocher si chiamava come lui, così come il dodicesimo discendente (dunque se stesso), ma capisce anche di avere in precedenza rubato tre rose bianche a chi lo aveva dato alla luce.
Tale antenato gli fornisce indicazioni sul “libro color minio”: si chiama così perché in Cina il rosso è il colore della veste dei supremi che restano sulla Terra per la salute dell’umanità; è riservato agli eletti e vi sono riposte le chiavi di ogni magia. Vengono spiegati anche dei concetti di alchimia, e cioè ignis (fuoco) e aqua (acqua).

In seguito alla morte di Ofelia (e alla scoperta del fatto che la madre di Cristoforo si chiamava così) che -secondo Cristoforo- è nota solo a lui, egli fa considerazioni sulla solitudine, specialmente sulla sua. Era come se avesse sepolto il proprio corpo con quello di Ofelia. Sentiva la presenza di qualcosa di antichissimo dentro di sé, con molta probabilità il suo avo omonimo. Aveva capito che l’anima dell’uomo era in sé stessa fin dall’inizio. Secondo Cristoforo “Ora si avvicinano i tempi in cui molti ritroveranno il segreto di questo tipo di alchimia”.
Mentre lui ed altri pregano, vedono l’immagine di Ofelia che gli ordina di tenere saldo il proprio cuore. Tuttavia non si tratta di Ofelia ma di qualcuno che ne ha usurpato l’immagine: da notare il paragone con la testa della Medusa. Si fa riferimento agli spiritisti. Cristoforo riceve l’ordine di essere un araldo del Domenicano Bianco.
Nel corso degli anni si estende la riflessione di Cristoforo sulla Medusa e sulla morte in generale (ad es. Tiresia nell’antica Grecia). Cristoforo deve affrontare la morte del padre. Fa la sua comparsa in scena anche la spada di ematite.
Dopo alcuni mesi, le voci maligne sul conto di Cristoforo sono terminate. Egli incontra il Cappellano e parlano del Domenicano Bianco, che secondo quest’ultimo è l’ultimo papa (il Flos Florum).

La mattina seguente, Cristoforo vede una piccola folla agghindata a festa in onore della Vergine Maria, tuttavia egli è costantemente messo in guardia dalla voce di Ofelia che gli rimbomba in testa. Si insinua in lui il dubbio che sia la testa della Medusa. al termine della processione, la statua si trasforma brevemente nell’immagine di Ofelia.
Un giorno Cristoforo decide di esplorare tutto ciò che era stato lasciato da suo padre e dagli antenati. Gli sembra di risalire attraverso i secoli fino a raggiungere il Medioevo. Ogni oggetto che vede sembra volergli raccontare qualcosa, inoltre i desideri che i suoi antenati avevano stavano regnando nei suoi pensieri, come se loro volessero far fare a lui qualcosa di rimasto incompiuto. Alla fine, la missione che viene “affidata” a Cristoforo è essere la spada nella lotta universale contro la “testa della Medusa”. Importante il finale in cui si nota il discorso fatto dall’omonimo antenato in cui si conferma la condanna verso gli spiritisti e più in generale tutti coloro che distorcono le dottrine sacre (anche quelle che provengono dall’Oriente). Cristoforo inoltre ha distrutto la larva imponendole “la presa”.

Dopo un’iniziale sensazione di stordimento, Cristoforo fronteggia la cosiddetta “Medusa”: prima della morte (e della probabile ascensione) vede tutto il proprio passato. Secondo lui, tutto ciò che era corruttibile viene trasformato -tramite la morte- in una fiamma di vita.

G. R.

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