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Il festival del giornalismo ospita il fondatore di Repubblica

Eugenio Scalfari parla dell'Unità d'Italia

L'intellettuale analizza le motivazioni che hanno portato all'unificazione

 

Eugenio Scalfari, fondatore del quotidiano "Repubblica", è stato l'ospite che ha chiuso il festival del giornalismo, nella serata conclusiva

tenutasi al teatro Morlacchi.

Il noto intellettuale ha raccontato i 150 anni dell'unità d'Italia, analizzandone le cause e le motivazioni che hanno condotto il paese verso

un desiderio di unificazione culminato con la spedizione dei Mille.

In primo luogo Scalfari ha fornito un quadro generale della situazione propria degli anni immediatamente precedenti al 1861, fotografando nitidamente

le differenti classi sociali che hanno contribuito a velocizzare o rallentare i tempi necessari al processo di unificazione nazionale.

Ha parlato, successivamente, della vita dei contadini, raccontando che essi iniziavano la giornata lavorativa alle cinque del mattino e terminavano soltanto a sera inoltrata.

La loro unica aspirazione di tutta la giornata verteva circa la riuscita del pasto quotidiano, che consisteva in un cetriolo gelido e in qualche peperone piccantissimo. Era di certo una classe che non voleva e non poteva partecipare al processo di unificazione nazionale.

 

Il discorso approda poi alla storica annata del 1968, movimento di lotta sociale che Scalfari definisce come una vera e propria svolta, poiché per la prima volta venne introdotto nell'immaginario comune un concetto fondamentale "il privato è pubblico".  Fu uno slogan che introdusse una nuova visione ed un nuovo modo di pensare del cittadino, che oggi non rendendosene conto si sta lasciando sfuggire. Dice infatti Scalfari che al giorno d'oggi Berlusconi sta operando esattamente nella concezione inversa, e cioè che tutto ciò che è pubblico, in realtà, è privato. Il fondatore di Repubblica paragona tale visione, propria dell'attuale presidente del consiglio, a quella del Re Sole, citandone il noto motto "L'etait c'est Moi" , ovvero "lo stato sono Io". Traducendo in parole spicciole, aggiunge Scalfari, significa dire che tutto ciò che è dello stato in realtà è suo, e questo è preoccupante e altamente rischioso per la credibilità di una democrazia.

Per dimostrare tale tesi Scalfari porta alla luce degli esempi concreti, parlando delle aziende che Berlusconi possiede, ma soprattutto della totalità del circuito televisivo italiano di cui egli dispone, se si fa eccezione per "La 7", che interessa comunque meno del 5% degli ascolti delle televisioni nazionali. Il potere mediatico della televisione e la capacità propagandistica dello schermo, che tutti raggiunge, è impressionante ed in grado di far raccontare la "verità" quasi a proprio piacimento, come ad esempio fa quando dice di essere un presidente del consiglio senza poteri, tale affermazione, ormai accettata dalla maggior parte degli ascoltatori dei suoi telegiornali non è neanche lontanamente vera, eppure, una volta "mandata in onda", si fa strada tra le diverse opinioni della gente come una verità data per assodata.

 

Altro argomento affrontato e a lungo commentato è stato il Risorgimento.

Scalfari sostiene che anche la lirica abbia giocato un ruolo importante per quella ristretta cerchia di persone che hanno partecipato all'unificazione dell'Italia, e che importante è stata l'introduzione del concetto di laicità dello stato italiano.

Partendo dunque da tale concetto e toccando il tasto della religione, Scalfari introduce una sua riflessione.

Spiega ai presenti come secondo lui in ogni persona esistano due tipi di amore, l'amore per gli altri e quello per se stessi.

Entrambe le componenti giocano e si scontrano in ognuno di noi, mentre agli estremi troviamo due figure importanti.

Chi riesce ad annullare l'amore per se stesso diventa un angelo, perchè farà incondizionatamente del bene, mentre viceversa chi annullerà quello per gli altri non diventerà altro che una bestia, desiderosa di primeggiare e che non guarderà in faccia a nessuno pur di ottenere i propri traguardi.

 

Lasciandosi andare ad un'analisi approfondita del cittadino medio italiano arriva a definire il concetto di egoismo e di opportunismo che caratterizza l'italiano medio, e cioè dice Scalfari, un uomo che non sceglie, non prende parte.

Un uomo che quando siede al tavolo con un potente da sempre ragione alla corrente di pensiero che prevale in quel momento, e al più potente che la espone. Scalfari cita, dunque l'uomo di Guicciardini evidenziandone tutte le analogie e cioè che tale uomo intuisce il declino imminente del potente e solo a quel punto lo abbandona, andando ad accomodarsi tra le grazie del nuovo dominatore, senza però mai schierarsi fino in fondo, in modo da godere dei privilegi che scaturiscono dai buoni rapporti e non andare in contro a rischi di fallimento che deriverebbero da un coinvolgimento totale in caso di decaduta.

 

Al termine Scalfari è stato a lungo applaudito e i presenti hanno abbandonato il teatro con ottimi spunti da cui trarre importanti riflessioni.

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