Il ‘compagno Matteo’ (questo il nome di battaglia che dal 1976 accompagnerà Morucci nella militanza brigatista) ha un ruolo determinante sulla piazza romana, essendo al centro di quel turbine di violenze e crudeltà che porterà via con sé molti giovani missini.
Sul palco del Cenacolo San Marco Luca e Lorenzo Valentinotti (autore ed editore), Marco Petrelli (segretario provinciale di Forza Nuova), Sandro Bordoni (dirigente nazionale di AN).
Tre diverse generazioni, una a fianco all’altra: Bordoni, presidente del Fuan di Perugia negli anni ’70, l’autore e l’editore impegnati sul finire degli Ottanta, il responsabile di Forza Nuova dell’ ultima generazione, quella del Duemila.
Generazioni che provano ancora l’effetto di un evento la cui carica simbolica è molto forte: l’idea è quella di un testimone passato di militante in militante per trentatré anni, a rappresentare una continuità di valori fondati sull’attivismo, la passione, la forza, il coraggio.
A questo proposito, Petrelli introduce citando Francesco Mancinelli e la sua Generazione ’78, “costruire il movimento tra le angosce dei quartieri” e “oggi è morto un camerata ne rinascono altri cento”, strofe che sottolineano la devozione e il sacrificio di chi intese la politica come attività per e tra la gente, insegnamento sopravvissuto al tempo e oggi vivo tra i presenti.
Interessante la digressione storica di Sandro Bordoni sulla realtà umbra del ’78, con Fuan e Fronte della Gioventù osteggiati da organizzazioni di sinistra numerose e da una magistratura sovente trasversale al potere politico, coerentemente ad una strategia pianificata nel 1946 da Palmiro Togliatti al fine di ‘inserire’ negli organi giudiziari elementi fedeli al PCI. Un’influenza che non si esaurisce dopo gli Anni di piombo e che sopravvive fino ai nostri giorni, con depistaggi, casi ‘archiviati’ e ingiustizie che beneficiano i carnefici a scapito dei familiari delle vittime.
Luca Valentinotti approfondisce il tema giudiziario senza abbandonare l’analisi dell’humus politico incubatrice dell’escalation che lasciò in strada troppi ragazzi.
Dal rogo di Primavalle (1973) ad Acca Larentia (1978) PotOp è l’attore principale degli omicidi dei fratelli Mattei, di Mantakas, Zicchieri, Mancia. Sebbene il movimento fosse stato sciolto nel 1973, l’eredità di Potere Operaio è raccolta dagli ex militanti, che si riciclano in altre sigle o ne fondano di nuove (i Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale - NACT, responsabili della strage), perpetrandone la tradizione violenta ed intollerante.
L’episodio di via dell’Acca Larentia segnò il punto di non ritorno per coloro i quali si sentivano abbandonati dal MSI, dalle istituzioni e in balia della violenza ‘rossa’.
“E quella sera di gennaio, resta fisso nei pensieri troppo sangue sparso sopra i marciapiedi” – Mancinelli torna ancora a descrivere in musica quella drammatica notte e le conseguenze della scelta che da essa derivò.
Un libro inchiesta per ripercorrere un passato prossimo ma che pare oggi rimosso, a tratti frettolosamente, da un’Italia che non vuole più avere negli occhi le sparatorie, le sprangate e le cariche della polizia. Legittimo voltare pagina, ma proprio ora che una situazione di maggiore equilibrio ce lo concede è importante approfondire e ristudiare a mente lucida gli anni Settanta, al fine di comprendere cosa abbia spinto giovanissimi e non a macchiarsi di crimini orrendi, a uccidere a sangue freddo e quali i fattori che abbiano favorito un clima di tensione così forte.
“Acca Larentia, quello che non è stato mai detto” è approdata a Terni non senza qualche polemica: un giro di comunicati stampa della rete antifascista e un piccolo presidio di Rifondazione. Ma si sa, la penna ferisce più della spada e le note dell’ultra sinistra circolate sul web hanno ferito la memoria dei giovani di Acca Larentia col mero tentativo di svilirne la memoria. L’azione diretta si è invece esaurita in qualche slogan passatista meritevole di rimanere chiuso nel cassetto dei ricordi. A termine evento i relatori hanno chiesto di osservare un minuto di silenzio in ricordo di Sergio Ramelli.