(ASI) - Abruzzo - Il 2 ottobre alle ore 19.00 ci sarà a Chieti Scalo, presso lo studio fotografico di Pino Giannini in Via Ramiro Ortiz, il vernissage di inaugurazione di una mostra di selezionati lavori del grande fotografo italiano della seconda parte del XX secolo, Mario Giacomelli. La mostra sarà visitabile fino al 3 ottobre, dalle ore 9.00 alle 21.00 e ripercorrá l' originale percorso di questo grande maestro della storia della fotografia italiana.


Giacomelli non era un uomo colto, anche se si dilettava con la pittura e la poesia. Non aveva neanche una cultura fotografica di base. Di lavoro faceva il tipografo, ma è diventato il più famoso fotografo italiano. Per ispirarsi usava i versi dei poeti. Perché, come diceva: "non tutto si può capire, ma si può essere come carta assorbente".
Mario Giacomelli ha scritto la storia della fotografia contemporanea e della sua evoluzione tecnica, nonostante che, come lui stesso, anni dopo dirà, era soltanto un fotografo "della domenica", poichè durante la settimana faceva il suo lavoro, il tipografo, e nel fine settimana scattava le foto che sviluppava e stampava di notte. Farà il tipografo tutta la vita, anche quando il suo nome fará il giro del mondo.
Nato a Senigallia nel 1925 da una famiglia poverissima, a tredici anni, Mario Giacomelli, comincia a lavorare come garzone nella tipografia "Giunchedi", affascinato dalle infinite possibilità di comporre parole e immagini offerte dalla stampa, finché nel secondo dopoguerra (1950) decide di aprire una sua tipografia.
Nel 1954 acquista la sua prima e inseparabile macchina fotografica, una Bencini Comet S (CMF), con ottica rientrante acromatica 1:11, pellicola 127, otturazione con tempi 1/50+N e sincero flash.
Tra il 1953 e il 1955 inizia a fotografare parenti, colleghi e amici. In quegli anni frequenta lo studio fotografico di Torcoletti, il quale gli presentò l'artista e critico d'arte Giuseppe Cavalli.
Sotto la guida del fotografo professionista di fama, Ferruccio Ferroni, e con la supervisione di Cavalli, Giacomelli perfeziona la sua tecnica fotografica. Nel 1954 si costituisce il gruppo fotografico "Misa" diretto dal Cavalli e da Giacomelli. Il gruppo fotografico prende il nome dal fiume che bagna Senigallia, città natale di entrambi.
Tra il 1954 e il 1957, partecipa a numerosi concorsi fotografici in Italia, impegni che lo portano nel 1955 a vincere il Concorso Nazionale di Castelfranco Veneto. Iniziano così anche le prime pubblicazioni sulle riviste specializzate di Fotografia.
Dopo aver completato la sua prima serie "Vita d'ospizio", comincia una serie di nudi femminili e maschili che abbandona negli anni sessanta del Novecento.
Assalito da un'ansia investigativa di immortalare il mondo umano con le sue molteplici sfaccettature, la società con i suoi modi di vivere, i paesaggi e l'ambiente circostante, Giacomelli inizia a viaggiare. In realtà, gran parte dei personaggi, delle scene che immortala, sono poi quelle della sua infanzia che rivivono nella fotografia.
Continuando con la sua ricerca, il fotografo inizia a chiedere ai contadini, pagandoli, di creare con i loro trattori precisi segni sulla terra, modificando direttamente Il paesaggio da fotografare per poi accentuare i segni nella stampa.
Nella primavera del 1957, tra l'altro, si reca a Scanno, un borgo su un lago incantevole ed incantato dell'Appennino abruzzese che aveva affascinato anche Cartier-Bresson nel 1953. Proprio il reportage fotografico in questo paese dell'Italia rurale, lo porterà alla consacrazione internazionale.
Sono di questo periodo alcuni reportage come "Lourdes" (1957), "Scanno" (1957/59), "Puglia" (1958, dove tornerà nel 1982), "Zingari" (1958), "Loreto" (1959, dove ritorna nel 1995), "Un uomo, una donna, un amore" (1960/61), "Mattatoio" (1960), "Pretini" (1961/63), "La buona terra" (1964/66).
Alla nascita del figlio Neris, la famiglia si reca a Lourdes, dove Giacomelli realizza delle immagini di straordinario impatto emotivo. Negli anni sessanta, l'artista lavora al progetto "Non ho mani che mi accarezzino il volto", universalmente conosciuto come la serie dei "Pretini", un gruppo di immagini realizzate nel seminario di Senigallia, presentate da Ferrania per la prima volta nell'edizione di Photokina di Colonia.
Elio Vittorini, tramite Crocenzi, nel 1961, chiede a Giacomelli l'immagine "Gente del Sud" (dalla serie "Puglia") per la copertina dell'edizione inglese di Conversazione in Sicilia.
Nel 1963, il giornalista Piero Racanicchi, che insieme al collega Turroni è stato tra i critici sostenitori dell'opera di Giacomelli, segnala il fotografo a John Szarkowski, direttore del dipartimento di Fotografia del "MOMA" di New York che acquista nel 1964 alcune immagini della serie "Pretini" e tutte quelle della serie "Scanno" e le pubblica nel volume "Looking at Photographs: 100 Pictures from the Collection of the Museum of Moderna Art".
In particolare, uno dei suoi scatti mostra una scena in una piazza. Due donne in nero in primo piano fuori fuoco. Tra loro, poco più indietro, un bambino con il colletto bianco, le mani in tasca e le orecchie a sventola. Alle sue spalle, molto più indietro, un'altra coppia di donne. A destra, sullo sfondo, una siepe bassa scura. Dall'altra parte un altro gruppo di donne in nero. La figura del bambino è attorniata da una strana aura (Giacomelli dirà che si tratta di un errore in camera oscura). È proprio quell'aura misteriosa, oltre che il gioco di simmetrie e diagonali, a conquistare John Szarkowski, curatore del Moma, che inserirà questa foto (l'unica di un artista italiano) nella mostra del 1966 che diventerà quasi il "canone" fotografico del secondo Novecento: "The Photographer's Eye".
Influenzato sempre da Crocenzi, nel 1967 Giacomelli pensa alla realizzazione di una serie fotografica incentrata sul racconto, interpretando Caroline Branson dell'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Master, e chiede a Crocenzi di fornirgli un canovaccio da seguire. In quello stesso anno, Giacomelli inizia uno studio sul legno. Dopo il grande successo della serie "Pretini" esposti al Metropolitan Museum e a Bruxelles.
Negli anni Settanta del Novecento, il fotografo di Senigallia, approfondisce la sua ricerca sulla natura, con i primi scatti aerei di suggestivi e variopinti paesaggi.
Nel 1978 partecipa alla Biennale di Venezia con fotografie di "Paesaggi".
Dalla fine degli anni Settanta,l'artista attraversa un periodo di analisi e approfondimento della propria attività, caratterizzato da un crescente legame tra fotografia, arte astratta e poesia.
Nel 1980, lo scrittore Arturo Carlo Quintavalle, scrive un libro analitico sull'opera del fotografo, acquisendo una buona quantità di sue opere per il centro CSAC di Parma.
Nel 1984 conosce il poeta Francesco Permunian con il quale instaura una collaborazione che dà alla luce le serie "Il teatro della neve" (1984/86) e "Ho la testa piena mamma" (1985/87).
Nel 1983/87 crea "Il mare dei miei racconti", fotografie aeree scattate alla spiaggia di Senigallia. E sempre di questo genere, agli inizi degli anni Novanta, Giacomelli fotografa la costa adriatica nei pressi di Senigallia, creando la serie "Le mie Marche".
Degli anni Novanta sono anche le serie "Vita del pittore Bastari" (1991/92), "Poesie in cerca d'autore", "Bando" (1997/99), "31 Dicembre" (1997).
Mario Giacomelli muore il 25 novembre del 2000 a Senigallia, dopo un anno di malattia, mentre lavorava alle serie "Questo ricordo lo vorrei raccontare" (1999/2000) e "La domenica Prima" (2000).
La carriera di Giacomelli, la sua arte fotografica, in cui viene immortalato il suo mondo e prettamente quello dell'Italia di provincia della seconda parte del Novecento, rivivono nello Studio fotografico di Pino Giannini a Chieti Scalo, in una mostra che vale la pena visitare, non solo per gli addetti ai lavori e per gli appassionati, ma anche per i semplici curiosi.

Cristiano Vignali – Agenzia Stampa Italia

 

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