(ASI) MILANO - “Panem et circenses”. Fu il poeta latino Decimo Giunio Giovenale, morto circa nel 140 a.C, a suggerire quella politica che consentiva ai regnanti di alleviare la fame del popolo e assicurarsi lunga vita inchiodati al trono. Da giovane Cesare fu prodigo di generi alimentari e passatempi: terme, corse di carri, scontri cruenti fra gladiatori.
Quella del pane è storia antica, fatta anche di sommosse. Si ricordano l’assalto, nel 1629, al Ponte delle Grucce, di cui parla il Manzoni; la rivolta di Fermo, nel 1648, per l’emigrazione delle riserve granarie a Roma; quella di Milano, nel 1898, repressa a cannonate in largo La Foppa da Bava Beccaris.
È anche una storia ricca di fatti, a volte nati per caso. Per esempio, una serva per errore versò della birra sull’impasto; per non essere redarguita tacque e proseguì il lavoro. Bene, quel giorno, nell’antico Egitto, nacque il pane lievitato, che attraverso i greci passò ai romani, i quali per macinare il grano utilizzavano i mulini ad acqua. I greci manifestarono notevole abilità nel confezionare l’alimento, impastando il frumento importato dall’Egitto e anche dalla Sicilia.
Quando l’uomo non camminava più come le scimmie, già preparava il pane schiacciando fra due pietre i cereali (si era nel paleolitico?). Sin dal 174 a.C. a Roma lavoravano i panificatori di professione. Le panetterie le avevano battezzate gli egizi molti anni prima. I fornai sceglievano il mestiere per autentica passione. Nei secoli XVII e XVIII il pane (e la farina) era razionato. Colpa della carestia. Negli anni ‘40 del ‘900, l’evento si ripropose. Un boccone a testa. Colpa del secondo conflitto mondiale.
Tormentata dalle mie lamentele, mia madre mi portò dal salumiere, don Peppe Marzo, e gli chiese di darmi la mia razione di pane. A vederla, piansi: capii che toglievo dalla bocca di quella santa donna il di più che avevo ogni giorno. Racconto questa storia a Gabriele Alzani, 8 anni, intelligente e avido di sapere, che mi intervista sulla vita di una volta: sul “monaco”; sul braciere, la cui cenere serviva per scaldarci e per arrostire i ceci, e sulle origini della bruschetta.
Seguo sempre con grande interesse le conferenze che il mio amico Francesco Lenoci, professore all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e vicepresidente dell’Associazione Regionale Pugliesi di Milano, va tenendo in giro per l’Italia sul tema del pane. A volte lo vedo anche fotografato mentre occhieggia divertito dietro una cupola fragrante appena sfornata: pane di Laterza, o pane di Altamura Dop. Il pane pugliese è molto apprezzato non solo dalle nostre parti. Arriva nei negozi di Milano e di altre città; è considerato anche per la forma un’opera d’arte.
All’appuntamento con Francesco Lenoci a Laterza, presso la Masseria Cappotto, questa estate si è addensata una folla, proveniente anche da Taranto, Martina Franca, Grottaglie, Crispiano. Al termine gli organizzatori hanno messo in tavola, a mo’ di esempio e non solo, una pagnotta di 8 chili. Bella anche a vedersi, per sagoma e colore. Molti hanno pensato subito alla bruschetta. Che delizia per il palato!
Il pane, da che mondo è mondo, è uno degli elementi fondamentali per il sostentamento. Essenziale nella dieta mediterranea e per questo incluso nella lista Unesco del patrimonio culturale immateriale dell’umanità, il pane è talmente rilevante da essere un vero e proprio indicatore di civiltà, come solamente pochi altri prodotti possono vantare. Intorno al pane si è formato un modello di civiltà che continua ad essere fattore di sviluppo, di nutrimento, di dialogo e di concordia fra i popoli.
Della storia del pane Lenoci ha parlato in questo autunno anche ad Altamura, presso il Teatro Mercadante, agli studenti e ai loro genitori e insegnanti che lo gremivano in ogni ordine di posti, nel convegno organizzato da Gal Terre di Murgia e Istituto tecnico commerciale statale “Francesco Maria Genco” anche in vista di Expo e Fuoriexpo 2015. Ha raccontato aneddoti, curiosità, episodi emozionanti, la storia; e recitato la poesia sull’argomento di Donatella Bisutti.
Indossando l’abito di economista ha detto che “gli obiettivi strategici del pane di Altamura Dop sono suddivisibili tra uno di natura fondamentale (l’aumento della quota di mercato) e cinque funzionali per il proseguimento dello stesso: generazione di risorse finanziarie, ristrutturazioni e nuove aperture, soddisfazione del cliente, valorizzazione dei collaboratori, attenzione all’ambiente. Ha spiegato che per conseguire gli obiettivi strategici occorre utilizzare al meglio sei capitali, sorprendendo l’uditorio abituato a considerare il solo capitale finanziario.
Come testimonianza di ammirazione gli è stato consegnato da Beppe Digesù e Luigi Picerno una pagnotta di ben 12 chili (suo nuovo record personale), che è stata immortalata da tanti virtuosi dell’arte fotografica.
Franco Presicci