(ASI) CATANIA- «Nel 2011 è finito il mondo: mi sono uccisa. Il 23 luglio, alle 15.29, la mia morte è partita da Catania. Epicentro il mio corpo secco disteso, i miei trecento grammi di cuore umano, i seni piccoli, gli occhi gonfi, l’encefalo tramortito, il polso destro poggiato sul bordo della vasca, l’altro immerso in un triste mojito di bagnoschiuma alla menta e sangue». Geniale – perciò lo riportiamo – è stato definito l’incipit di “Cuore cavo”, il nuovo romanzo di Viola Di Grado, appena venticinquenne, ma ormai proiettata su orizzonti internazionali. Penna fervida, la scrittrice catanese è giunta al suo secondo eccellente banco di prova, dopo che l’esordio “Settanta acrilico, trenta lana” è stato premiato con il “Campiello Opera Prima”, rivelandola e imponendola come indiscusso talento.
Scioccante e pulsante gothic novel, da mesi “Cuore cavo” spaventa e intenerisce. La sua autrice incontrerà ora il pubblico di “LibrinScena”, il ciclo d’incontri promosso con vivo successo dal Teatro Stabile di Catania. L’appuntamento è per lunedì 1° luglio alle ore 21, nella suggestiva corte barocca del Palazzo Platamone, intitolata alla compianta attrice Mariella Lo Giudice. LibrinScena è stato ideato dallo Stabile per approfondire le novità editoriali che animano il mondo della letteratura e del giornalismo, in linea con la politica culturale promossa dal direttore Giuseppe Dipasquale, che considera l’ente teatrale come un vero e proprio istituto di cultura, aperto al confronto e all’approfondimento con i diversi linguaggi dell’arte.
L’edizione in corso, alla cui cura ha collaborato Ornella Sgroi, è sostenuta dal prezioso contributo dello Sheraton Catania Hotel. Con la conduzione della stessa Sgroi, passo dopo passo Viola Di Grado rivelerà il motivo per cui ha scelto per il suo libro una copertina che ha lo stesso colore del suo nome. Viola, come quel sangue che nelle vene ad un certo punto si blocca, come quel cielo che in un determinato punto si getta nella notte. Ampi stralci del libro verranno letti dall'attrice Manuela Ventura, molto noto al pubblico teatrale e televisivo.
Edito nel 2013 per i tipi E/O, “Cuore cavo” affascina e scuote. È la storia, vivissima, della morta Dorotea. E di tutto quel che viene dopo il suo suicidio. Non l’impronunciabile nulla, ma piuttosto un passaggio ricchissimo di emozioni e di sentimenti, di pensieri e di ricordi, la forza degli affetti e dei legami, quel che resta dell’attaccamento alla vita.
Per niente macabro, sebbene insista nel racconto minuzioso della disgregazione del corpo, il testo s’impone per la creatività sul piano linguistico. Emergono la sopravvivenza dell’anima e il rimpianto per la vita che non riesce a ricomporsi, ma continua a incedere e spiare, vagando in un mondo deserto ma affollato, dove i vivi non possono più vedere e sentire, ma i morti restano all’erta, impauriti, in ascolto, in quella loro “vita oltre la vita”.
In una continuità in cui si abbatte la barriera tra vita e morte, noioso tabù occidentale come spesso cerca di far capire l’autrice, esperta di lingue e culture orientali, la protagonista osserva il suo dissolversi corporale, raccontandone meticolosamente tutti gli stadi. Rivive – o forse vive per la prima volta – ciò che ha lasciato oltre il nirvana raggiunto, ritornando alle abitudini, agli affetti, ai luoghi, liberata, grazie a quel bagno mortale, dal peso della materia, di quando il suo corpo era carne e anima.
E l’acqua è il luogo delle morti. Per affogamento, svenamento, dissanguamento. Ma è anche acqua come riconsegna al luogo della nascita, come a chiudere il ciclo di un eterno ritorno.
“Sarebbe bello che ci fosse una fine. Invece si resta”, afferma Viola Di Grado. L’aldilà e l’altrove. Suona quasi come una minaccia. Invece è un assunto visionario, tutt’altro che privo di speranza.