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Salone del libro di Torino . La 'lotta' di Nicola Gratteri, Antonio Nicaso e Giovanni Tizian per riportare la giustizia nei territori controllati dai capi mafia
(ASI) Nessuna fila interminabile all'ingresso della sala, nessuna calca di fotografi e giornalisti. Eppure si é arrivati a toccare con mano la verità, a respirare il clima di sofferenza e ad ascoltare i battiti del cuore di chi ha fatto della giustizia una missione di vita. Mentre il sole calava sulla quarta giornata del Salone del Libro, le voci di Giovanni Tizian, Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, si levavano alte nel Salone del Libro svelando ai presenti una realtà troppo spesso insabbiata.

L'aria si é fatta più pulita e il pubblico più selezionato in occasione della presentazione dei volumi "Dire e non dire" scritto da Nicola Gratteri e da Antonio Nicaso e "La nostra guerra non é mai finita" che porta la firma di Giovanni Tizian. Ad intervistare quelli che potremmo definire tre eroi contemporanei, il giornalista del Corriere della Sera, Cesare Giuzzi.

 

Nicola Gratteri, Procuratore aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria

C'é una frase nel suo libro che colpisce particolarmente il lettore: " Le parole più importanti sono quelle che non si dicono per un mafioso." Perché?

"Questo libro é molto importante per capire la filosofia criminale della 'ndrangheta. In questo libro noi spieghiamo la pancia e la testa della 'ndrangheta... i comportamenti, gli atteggiamenti. Per capire il messaggio di un capo mafia é fondamentale studiarne le frasi, le pause, gli accenti, perché il non interpretare il linguaggio del corpo può voler dire anche la morte."

Dottore c'é un'altra frase pronunciata da Morabito che riguarda la politica quando gli si domanda se la 'ndrangheta ne abbia bisogno...

"Oggi questa frase é superata perché é la politica ad aver bisogno della 'ndrangheta. Quest'ultima, infatti, appare più credibile, riuscendo ad essere più efficiente ed organizzata.

Nelle ultime indagini abbiamo rilevato che candidati politici si recano a casa dei capi mafia, si siedono nel salotto e chiedono voti in cambio di appalti. Vent'anni fa accadeva esattamente il contrario. Questo significa che la 'ndrangheta riesce ad avere il consenso e un elettorato. Il sistema elettorale attuale dà maggiore potere alle mafie. Una minoranza può arrivare al punto di determinare chi farà il sindaco e quest'ultimo inserirà nella propria squadra uomini del capo mafia. E male che andrà alla periferia del paese ci sarà un latifondo che, con minacce, verrà pagato. Quel fondo come per magia diverrà edificabile e il suo valore sarà dieci volte tanto. Il capo mafia considera casa propria il territorio nel quale si insedia ed é lui a dettare le condizioni e a manovrare i ritmi della vita sociale, economica e politica."

Come si fa un'indagine sulla 'ndrangheta rispetto ad un'indagine sui sequestri o antidroga?

"Dal punto di vista normativo l'Italia é il Paese più evoluto in questo campo, ma purtroppo questa legislazione non é proporzionata alla realtà criminale.  Bisognerebbe  apportare delle modifiche in maniera tale che non sia più conveniente delinquere... se io iniziassi a inasprire le pene, a convincere il legislatore che il mafioso finisce di esserlo solo quando muore.... se oltre a pensare a chi sconta la pena si pensasse a chi non ha più un figlio o un marito e si spettacolarizzasse meno il dolore forse riusciremmo a creare un sistema credibile per dare risposte alla gente."

Nelle scorse settimane si é letto sui giornali di un interessamento del premier Letta alle sue tesi ... Lei che pensa di fare? Darà il suo contributo?

"Io amo molto il mio lavoro che ancora oggi mi emoziona. Posso dare il mio contributo gratuitamente ma se serve. A me non interessa occupare una poltrona, ma fare qualcosa per la collettività. Io non lascio la mia terra perché la amo e ho scelto di stare li. Le cose delle quali ho fatto cenno prima si possono comunque realizzare, basterebbe riunire cinque o sei esperti di buon senso che amano il lavoro e che vogliono il bene del Paese. Se potrò contribuire nel mio piccolo a cambiare qualcosa lo farò, indipendentemente dalle ideologie perché quando si parla di giustizia non esistono destra e sinistra."

Antonio Nicaso, storico delle organizzazioni criminali

Nel libro sono riportate le parole di un collaboratore di giustizia del Nord, Saverio Morabito, che a un certo punto dichiara: "La 'ndrangheta é un'organizzazione criminale che non ha problemi a fare affari con gente di ogni razza e nazione." Perché?

"La 'ndrangheta é un sistema di potere e un'organizzazione economica che ha sempre cercato di intrecciare relazioni con chi ha la possibilità di decidere. Questa organizzazione continua ad avere la testa nel cuore dell'Aspromonte ma ha le vene che pulsano nelle piazze finanziarie del mondo. É l'unica mafia veramente globalizzata, perché é riuscita a coniugare tradizione e innovazione, radicandosi lontano dalla Calabria alla continua ricerca di nessi funzionali."

Più che un contagio, infatti, possiamo parlare di alleanza strategica che la 'ndrangheta é riuscita a creare anche lontano dall'Italia.

La credibilità la 'ndrangheta se l'é guadagnata anche lontana da casa propria, a livello internazionale. Come ha fatto a divenire la mafia più affidabile sul fronte del narcotraffico?

"La 'ndrangheta é cresciuta nel silenzio, ha sempre evitato lo scontro con lo Stato e cercato di aggiustare i processi, corrompere i magistrati e infiltrarsi nelle istituzioni. Questa strategia ha una radice antica... la 'ndrangheta ha una struttura particolare basata sul vincolo di sangue e un'organizzazione granitica e proprio grazie a questo é riuscita a mandare lontano dalla Calabria uomini fidati, quasi sempre parenti. Tanti si sono trasferiti in Colombia e sono riusciti ad investire anche nella coltivazione di cocaina, entrando in contatto con paramilitari e con coloro che si fanno pagare il pizzo per il trasporto della droga. La 'ndrangheta é riuscita a spuntare i prezzi migliori e ad arrivare anche in USA.

La strategia in questo momento é quella di acquistare quote di minoranza di aziende sparse dappertutto."

 

Giovanni Tizian, giornalista,  prima lavorava in Emilia Romagna per la Gazzetta di Modena, oggi vive a Roma e lavora per l'Espresso. Ha dovuto cambiare vita dal momento in cui é stato posto  sotto scorta per le minacce di alcuni personaggi legati alla 'ndrangheta. Con i suoi articoli infatti Tizian  si era reso scomodo, facendo i nomi di persone che avevano interessi economici nel gioco delle macchinette di video poker.

Ma la sua storia inizia ventiquattro anni fa, quando Tizian, ancora bambino, viveva a Bovalino, un paesino della locride e una sera il padre venne ucciso...

" Era la sera del 23 ottobre dell' '89, quando mio padre non tornò a casa. Venni a saperlo qualche giorno dopo ed io decisi di non andare neanche al funerale per mantenere il ricordo di mio padre per come era da vivo.

Nel '93 mi trasferii in Emilia con la mia famiglia con la speranza di poter vivere quella normalità che a Bovalino non avevo conosciuto. Negli anni della mia infanzia, infatti, i sequestri di persona si susseguivano in quella zona della Calabria e  i bimbi del mio paese erano costretti a crescere troppo in fretta.

Nel 2006 decido di recuperare il fascicolo sull'omicidio di mio padre e mi  rendo conto che non ero riuscito a superare il trauma della sua morte. Da li ha inizio un periodo di riscoperta e, nel frattempo, inizio a fare il giornalista, portando avanti un impegno civile dell'antimafia.

Col passare degli anni mi occupo sempre più di mafie e inizio a scrivere del clan dei casalesi fino al giorno in cui la Questura mi comunica che sarei stato scortato."

"Io a quello gli sparo in bocca" . Questo traspare dalle intercettazioni. Quello sei tu, perché?

"Perché Nicola Femia pensava che in Emilia nessuno si sarebbe accorto di lui. Parliamo di un narcotrafficante che torna in libertà dopo qualche anno di reclusione e ha improvvisamente sulle spalle 23 anni di carcere, condanna in appello. Riflette e pensa che in Emilia potrebbe diventare un imprenditore abbandonando la sua veste del passato. Allora si tuffa sul business del gioco legale partendo da un paesino romagnolo. Femia naturalmente si sente tranquillo fino a quando non é esce  la mia inchiesta sui re del gioco in quella regione. Procedendo in questo lavoro mi rendo sempre più scomodo agli occhi dello 'ndranghetista  che cercherà di mettermi a tacere... Naturalmente Femia si era innervosito perché la sua immagine stava perdendo prestigio....La mia soddisfazione é data dal fatto che grazie alle mie inchieste più di un imprenditore é stato messo in guardia. Penso che il dovere del giornalista sia proprio quello di fornire gli strumenti al cittadino."

 

Maria Vera Valastro - Agenzia Stampa Italia

La nostra inviata al Salone del Libro

 

 

 

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