«Nella prodigiosa struttura della pièce – evidenzia Giuseppe Dipasquale – convivono allegoria e stringente concretezza. Un dramma familiare si fa paradigma dei traumi che travagliano ancora oggi la società postindustriale. L’impianto concepito per la nostra messinscena trasporta lo spettatore dentro il perimetro di un interno alto-borghese, le cui pareti assorbono da anni verità malcelate e ansie manifeste di responsabilità troppo a lungo sottaciute. Un tono esteriore da “conversazione galante” rende anzi più inquietante la logica spietata su cui si fonda una ricchezza accumulata senza scrupoli, frutto di ciniche equazioni tra guadagno e disonestà, successo e frode, illegalità e menzogna. A prevalere è il modello della società di massa, la ricerca acritica di un benessere solo economico, inconsapevole o peggio incurante di conseguenze funeste. Laddove l’errore di un padre diventa incarnazione di un sistema perverso che minaccia i figli di tutti».
Pubblicato nel 1947, Erano tutti miei figli (All my Sons) è il primo grande successo teatrale di Arthur Miller, testo di svolta della carriera dello scrittore americano, adattato anche per il grande schermo, che precede il noto Morte di un commesso viaggiatore (Death of a Salesman) del 1949.
Il dramma è incentrato sulla figura dell’imprenditore Joe Keller, il quale durante la seconda guerra mondiale, da poco terminata, non aveva esitato a trarre profitti dalla vendita di pezzi “difettosi” destinati all’aeronautica militare, che erano costati la vita a ben 21 piloti. Arrestato per fornitura di materiale non conforme alle norme, l’uomo riesce a scagionarsi dall’accusa scaricando tutta la responsabilità sul suo socio, che Keller sacrifica impassibile alla sua brillante carriera di magnate. Intanto la sua famiglia fa i conti da tre anni con il dramma della scomparsa in guerra di un figlio mai ritrovato. Sarà la giovane fidanzata del ragazzo – figlia del socio finito in galera – della quale si è innamorato anche il fratello che la vuole sposare, a far emergere le contraddizioni nella vicenda e a svelare i misfatti e le verità abilmente celate dal cinico industriale.
“Un grandissimo testo – dichiara Mariano Rigillo – che come tutti i veri capolavori conserva un’attualità costante. Scritto immediatamente dopo la seconda guerra mondiale, ha un riferimento molto preciso a quell’epoca, ma la corruzione, la spregiudicatezza e il cinismo del magnate dell’industria di cui parla possiamo ritrovarli facilmente anche oggi”.