Poi ci sono romanzi che ti prendono in un modo tale che sei costretto a leggerli tutti di un fiato con una sensazione che qualcosa di reale stia accedendo, che ti fa sentire l’adrenalina e la tensione che scorre man mano che la lettura continua. Uno di questi libri è l’opera di Edward Bunker: Cane mangia Cane (Einaudi. pp.330, € 14,50). E se per un qualsiasi motivo sarete costretti a smettere di leggere, i personaggi, la storia e l’ambientazione continueranno a girare nella vostra mente, vogliosa di continuare l’avventura con i protagonisti del romanzo: Troy Cameron, Mac Dog Mc Cain e Diesel Carson.
Tre amici uniti sin da piccoli dal destino nel riformatorio di Los Angeles, che si ritrovano dopo aver scontato ognuno le proprie condanne nei carceri di massima sicurezza a stella e strisce e dopo essere scappati dalla libertà vigilata (tranne Diesel Carson), per continuare l’unica cosa che il destino beffardo della vita aveva destinato per loro: il crimine. D’altronde, in un mondo governato dalla quotidiana crudeltà, dallo sfruttamento dei più deboli e dall’imperante egoismo, ognuno deve imparare a non abbassare mai la guardia e provare a vivere o, per meglio dire, a sopravvivere. Lo sfondo del romanzo varia tra droga, sparatorie, carceri, rapine e incendi.
Il tutto però, non è raccontato da una persona comune, è raccontato da Edward Bunker che di carcere e di vita criminale ne sa più di qualcosa. L’autore infatti, è un personaggio che, al contrario dei protagonisti del racconto scritto, ha cercato, una volta uscito dal carcere, di ‘normalizzarsi’, ma, negli U.S.A. di allora come in quelli attuali, non c’è spazio per chi è ormai macchiato di un qualsiasi crimine. Ghettizzato e stufo di provare a riabilitarsi Bunker prosegue la sua vita illegale tra furti, rapine e spaccio di droga. Ha passato gran parte della sua vita dentro le celle di una prigione e, proprio in carcere, ha iniziato a leggere, leggeva tutto quello che riusciva a prendere settimanalmente della biblioteca del penitenziario e, dopo non molto, iniziò anche a scrivere.
Si dice che un romanziere, se ben dotato, non sia costretto a conoscere in maniera minuziosa le scene che sta narrando perché l’immaginazione è un qualcosa che può andare oltre tutto. Forse è vero, ma forse, è anche vero che, certe situazioni, devono essere ben conosciute per essere descritte minuziosamente. Lui stesso disse: «Perché non mi libero una volta per tutte da questo mondo di ‘cattivi’? Perché il carcere è la mia seconda pelle. Per scrivere bene bisogna raccontare ciò che si conosce». La vita e l’ambiente criminale va ben oltre l’immaginazione. E in questo, Bunker, è un qualcosa di magico.
Fabio Polese – Agenzia Stampa Italia
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