indaga tale diffuso merchandising e in un'intervista concessa a www.fattitaliani.it* spiega nel dettaglio: "Il focus del libro però investe un campo di valori e disvalori (criminali, mafie, terroristi, ecc.) che ad un primo impatto non lascia indifferenti. Quindi, l'incontro tra un bene a-morale come una t-shirt e un quid immorale come la faccia dello stragista Breivik ci appare in un primo momento repellente. Il lavoro sociale, io scrivo di "pastorizzazione", che nel tempo abbatte o mitiga il tabù Breivik e lo rende commerciabile negli store online determina una cosa ben precisa: rende a-morale ciò che prima era detestabile. Quindi annulla bene e male.
Per l'acquirente non cambia nulla se sulla t-shirt c'è lo stragista o Nelson Mandela. Un processo che ritengo un tantino inquietante". E continua: ""Credo che ci siano giovani consapevoli e quindi felici, contenti loro, di trasgredire a buon mercato. E giovani inconsapevoli nel senso che pur sapendo genericamente che la camorra è "male" non ci pensano due volte a concedere un "mi piace" al gruppo Facebook che inneggia ai clan. La realtà restituita da uno schermo è depotenziata e i ragazzi deresponsabilizzati.
Il corto circuito però può avere conseguenze pericolose nelle scelte di ogni giorno". *Nel corso della sua indagine una cosa ha colpito particolarmente Chetta*: "stickers in vendita con la scritta "Israel kills". Al di là del messaggio era la presentazione a suonare grottesca.
"Un pacco da cento stickers a soli 6 euro, approfittate". Sembrava vendesse shampoo o lamette da barba. Il vero annullamento del bene e del male avviene in primis nel modo in cui vendi questo tipo di merchandising, e cioè in una maniera che in nulla si distingue dai prodotti normali".