“100 anni di storia…”
di Alejandra Daguerre *
(ASI) Buenos Aires - Pochi giorni fa, la Società Italiana di Mutuo Soccorso di Tornquist, la piccola città in cui sono nata, ha festeggiato i suoi primi 100 anni con un grande evento. C'era molto da festeggiare, c'era una storia costruita a base di volontà proprio lì, dove tanti anni fa si auto-convocò un gruppo di immigrati che, con la forza della gioventù e lontano da casa, si unirono per costruire uno spazio diverso e difendere la loro cultura. Tra di loro c'era mio nonno, Santos Frontini.
La storia racconta che agli inizi del secolo scorso mio nonno — nato ad Osimo (Ancona) — conobbe una bella ragazza che ogni domenica andava a dire le sue preghiere alla Vergine di Loreto. Poco tempo dopo si sposarono, ancora adolescenti, ebbero una figlia e partirono per l'America alla ricerca di nuovi e promettenti orizzonti. Raggiungere il porto di Genova fu, di per sé, un'avventura... e non sapevano ancora che la vera e propria spedizione sarebbe iniziata giorni più tardi, al momento dell'imbarco nella stiva di un piroscafo che prese il largo verso il Río de la Plata.
Il viaggio durò due mesi, mentre le onde cullavano la loro bambina. Mio nonno lavorò a bordo per finire di pagare i biglietti e ogni sera sognava un futuro migliore in quella specie di terra promessa che era già stata raggiunta da alcuni suoi conterranei... Sognava una terra vergine dove coltivare sogni di libertà, una terra fertile dove far crescere radici solide, una terra accogliente dove poter veder crescere i figli.
Quando penso allo sbarco, non posso evitare l'emozione: affiora dal mio bagaglio genetico la commozione di quell'istante. Buenos Aires, 1906. L'impresa era già stata molto lunga, ma non era ancora giunta alla fine. Con due valigie e un baule di legno dove avevano rinchiuso le suppellettili della loro storia, intrapresero un viaggio di 600 km verso sud e si stabilirono in mezzo ad un paesaggio di montagna, dove l'aria era sana e limpida.
Vissero a Tornquist, coltivarono ogni centimetro del loro terreno, ebbero 9 figli e diedero vita a una famiglia “italo-argentina”. Amarono il Paese (giovane e ricettivo) che gli aveva dato rifugio e difesero l'importanza sociale delle istituzioni, unendosi in un'assemblea che li avrebbe rappresentati.
Si trattava di un gruppo di immigrati quasi analfabeti, ma pensavano in grande. Venivano da un continente con migliaia di anni di storia e si erano portati dietro arte e mestieri. Erano tutti — malgrado le loro scarse risorse economiche all'arrivo in Argentina — pieni di voglia di costruire una nuova vita. Era proibito eludere il lavoro (anche quello molto pesante) e così, castigati dalla fame e lontani dalle loro famiglie di origine, edificarono insieme una grande comunità, una sorta di istituzione che li raggruppava e identificava, prestando allo stesso tempo un servizio alla società.
Brindo a tutti loro, che un giorno si avvicinarono con poche informazioni alla nave delle illusioni e sbarcarono pieni di vita, disposti ad affrontare tutto, conservando le carattische della loro cultura d'origine. Brindo a ciò che hanno tramandato ai loro figli e a noi, i loro nipoti. Brindo ad ogni pranzo domenicale, riuniti in famiglia attorno alla pasta fumante.
E con l'orgoglio che porto nel DNA, brindo a mio nonno, Don Santos Frontini, uomo di forte personalità e carattere gentile, che seppe farsi carico due volte dell'istituzione e collaborare umilmente a favore di ciò che oggi festeggia il suo 100° anniversario: la Società Italiana di Mutuo Soccorso di Tornquist.
Complimenti a tutta la grande collettività italo-argentina e... grazie!
*psicóloga e psicoterapeuta in Buenos Aires
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