(ASI) In una zona imprecisata della Germania dei giorni nostri, Max, venditore in una concessionaria auto, scopre di aver un tumore in fase terminale al pancreas. Nonostante i consigli dei medici, che lo spingono a continuare la routine quotidiana, nella speranza di un’improbabile guarigione, Max vuole finire i suoi giorni in Messico, godendosi, secondo lui, il tempo che gli rimane, in un modo diverso da come ha vissuto.
Non avendone, però, i mezzi, decide di rubare i contanti che il suo capo e amico tiene in ufficio. Scoperto in flagrante scappa e, nella fuga, tentando il suicidio, ha un incidente devastante. Viene salvato ed estratto dai rottami da una contadina, dalla vita solitaria e piena di debiti, corteggiata insistentemente dal fidanzato poliziotto, succube della mamma. La trama, condotta con semplicità e verosimiglianza, introduce la storia nell’incontro di due solitudini profonde, nascoste dietro occupazioni quotidiane apparentemente normali, ma senza successo. Il regista disvela gradatamente la furibonda sete di relazione dei due protagonisti, subito entusiasti e stupiti dell’incontro e delle sue modalità. Emma è sùbito rapita dal compagno mandato dal destino, tanto da accettare immediatamente il cambio delle sue abitudini di vita, quale il disordine casalingo, i modi rudi, gli abiti maschili. Max fatica ad accogliere la gratuità di quell’ospitalità rapidissima, spontanea, scontata. I personaggi sono caratterizzati molto bene ed ampio risalto viene dato al realismo delle personalità. Il protagonista maschile, anche se piacevolmente confuso, non pensa ad altro che ai soldi nascosti nella macchina e perduti nell’incidente. La bella contadina, dal canto suo, con la destrezza di un metropolitano, ha sùbito rubato il contante, non appena soccorso il maldestro suicida. Ma le tentazioni diventeranno occasione di riscatto, pentimento e generosità. Nel giro di pochi giorni, spinti dal pressare della malattia, i due imparano che, chi vive pensando all’altro, ha una marcia in più e qualcosa da condividere. Imparano a fare delle scelte impegnative, a non rimandare i problemi ma ad affrontarli. Cambiano le loro vite in un istante, senza rimpiangere il passato. Peccato il finale. Nella moda dilagante di far prevalere una cultura di morte rispetto alla bellezza della vita tutta, così com’è, anche piena di tutte le sofferenze ch’essa porta con sé, anche Emma’s Glück cade nella banalità della fuga dal dolore. Non vogliamo svelare al lettore la fine del film, anche se datato, possiamo solo sottolineare come un’opera interessante ed originale, possa essere rovinata da soluzioni mostruose, dove non si accetta di rimanere con la persona amata fino alla fine. Amare nella sofferenza è forse il gesto più grande ed eroico che ci possa toccare nella vita. Rimanere accanto ad un marito od una moglie che stanno per morire, se fatto nella libertà, costringe a lottare contro il proprio senso d’impotenza e di colpa. Ci lancia in mezzo ad un’arena da lottatori. La fatica personale per assistere ad ogni bisogno fisico e morale, i litigi che possono continuare a scoppiare nonostante la malattia, il desiderio di soffrire al posto dell’altro, la tentazione di mollare ed andarsene, il desiderio che la sofferenza dell’altro finisca prima possibile, tutto fa parte della vita, tranne la scorciatoia. Trovare giustificazioni per interrompere il normale decorso della vita ci dice proprio che stiamo fuori strada, altrimenti non dovremmo argomentare tanto con noi stessi. Non dovremmo scavare e percorrere tutta la storia della filosofia alla ricerca di un barlume che ci autorizzi a decidere quando la vita di un uomo possa essere interrotta. Due persone che si amano imparano a sopportare anche quello che non capiscono l’uno dell’altro, della propria vita e della propria storia d’amore.

Ilaria Delicati – Agenzia Stampa Italia

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