(ASI) L’ho visto, quando era un anonimo film danese, venuto al Festival di Roma in cerca di successo. Avevo gridato al capolavoro e non molti la pensavano così. Il film a sorpresa vinse il Festival di Roma, il Golden glode e si conquistò la Nomination. Sembrava finita la favola del regista Susanne Bier e invece ha alzato la statuetta del miglior film straniero al cielo. Nel film si sogna un mondo migliore, per ora realizza un cinema migliore.
Il film come si apre così si chiude: con dei bambini di colore dell’Africa che corrono. Questa scena ci fa capire l’importanza che hanno le future generazioni e di come però bisogna provvedere ad educarli. La storia si gioca su due fronti quello africano, dove un dottore leale e profondo cerca di fare il suo meglio per questo terzo mondo e quello danese, dove un ragazzino problematico, Cristian, rimasto orfano della madre si trasferisce da Londra in Danimarca. Qui incontra il debole e preso in giro Jessie, di origini svedesi. I due incominceranno una pericolosa amicizia nella quale Cristian cercherà di indottrinare Jessie alla violenza perché altrimenti non si ottiene rispetto. Ma il padre medico di Jessie, nonostante i suoi tormenti per aver rovinato il suo matrimonio, cercherà di fargli capire che violenza porta sola violenza e che è lo strumento degli idioti. Non sarà facile, ma la regista Susanne Bier, grazie alle suggestive immagini e alla ben strutturata trama riesce a far coinvolgere lo spettatore addirittura commovendolo. Una grande prova di cinema e seppur qualche scena forte, che potrebbe destare perplessità, il valore umano e sociale non ne risente, ma anzi si cerca di dare risposte alle domande che i due bravissimi protagonisti si pongono. Un mondo migliore è possibile? Haeven prova a dire la sua convincendo.
Voto: 9
Daniele Corvi - Agenzia Stampa Italia