(ASI)
Lettera in redazione. Arcevia e Polino sono due nomi che ai più non diranno granché.
Chi è pratico del centro Italia, in particolare dell'Umbria e delle Marche, saprà certamente collocare Arcevia nella provincia di Ancona, Polino in quella di Terni. Località montane, piccoli borghi che conservano intatte tradizioni e sapori antichi; non mancano tuttavia i misteri e le morti tragiche che appartengono ad ogni città, paese, agglomerato di case. Nella primavera del 1944 Polino era ancora sotto l'autorità tedesca e della Repubblica di Salò e, come buona parte della provincia di Terni, non fu interessata da operazioni militari su vasta scala, bensì da pochi isolati scontri tra reparti della wehrmacht e gruppi piccoli e male armati della resistenza.La formazione più nota della zona è la 'Gramsci0, nata nel Gennaio '44 e che tra i suoi membri annovera slavi fuggiti dal carcere militare di Spoleto; titini, soldati di un esercito di liberazione ben inquadrato, ben armato, ideologicamente preparato, che assicurano un salto di qualità ad una unità priva di esperienza militare e politica. Il borgo montano, non distante dal Lago di Piediluco e dalla Cascata delle Marmore, si tinge di rosso per ben due volte. A distanza di poco tempo l'una dall'altra, due incursioni della Gramsci lasciano sul terreno i corpi del podestà Carlo Orsini e di Francesco Conti, quest'ultimo milite della GNR, la Guardia Nazionale Repubblicana. Orsini e Conti vengono ammazzati in Gennaio e, come monito a popolazione e avversari, l'esecuzione avviene sulla pubblica piazza. La primavera '44 è funestata da una grande operazione di rastrellamento che coinvolge il ternano e l'alto reatino, operazione Osterei. Le forze tedesche e fasciste repubblicane ammontano a circa mille uomini che riescono, in più fasi, a gettare nel panico la Gramsci incapace, a livello di organico, di resistere.Ad Aprile a Polino si fa vivo un gruppo di partigiani. Gli obiettivi dei resistenti sono i coinugi Roberto ed Erinna Candidi Vissani e Caterina Petrucci, una giovane di 22 anni.I Vissani sono prelevati dalla loro abitazione e portati in luogo nascosto. Dopo alcuni giorni di interrogatori Erinna è separata dal marito e violentata; stessa sorte tocca alla Petrucci, che morirà dopo aver subito violenza.Se nel caso di Conti e Orsini il movente sarebbe potuto essere politico, nel caso delle due donne le ragioni sono prettamente veniali. La partecipazione slava ai due omicidi, oltre ad essere documentata grazie a recenti lavori di ricerca storica (Un odio inestinguibile e I giustizieri, Marcello Marcellini, Mursia 2010 - 2011, NdA) è impressa anche nella memoria collettiva del borgo. L'Amnistia Togliatti e la cortina di omertà calata su eventi e drammi legati alla resistenza umbra non hanno permesso di rendere giustizia a vittime non di guerra, ma di bassi istinti che non appartengono alla sfera della lotta per un ideale di giustizia e di libertà. Un mese dopo la liberazione di Terni (13 Giugno 1944) la violenza comunista si scaglia su Arcevia, piccolo centro dell'anconetano. Il borgo piange ancora la morte di sessantatré partigiani e civili da parte tedesca il (4 Maggio 1944), quando la notte del 14 Luglio tredici persone, donne e vecchi, vengono prelevati e passati per le armi da un gruppo di garibaldini e slavi.Il movente è uno di quelli piuttosto ricorrenti nella Guerra civile, ovvero il sospetto di spionaggio. Con la scusa forse di un interrogatorio, gli ostaggi sono condotti in località Madonna dei Monti e trucidati.In merito all'eccidio, noto anche con il nome di "strage delle ricamatrici" (per via del fatto che alcune vittime fossero ricamatrici di tessuti), significativa è la testimonianza di uno dei parenti delle vittime, poco più che bambino all'epoca dei fatti. Nell'omertoso clima della provincia italiana degli Anni Cinquanta, la lettera del giovane Luciano Anselmi comparve su Il Borghese, nota rivista vicina agli ambienti di destra: “I morti furono caricati su dei barrocci ammassati come bestie e portati al cimitero. Qui non fu possibile una messa, un funerale, un mazzo di fiori. Il parroco stesso aveva perso la testa e assunse verso i parenti delle vittime un contegno per lo meno deplorevole. Passammo giornate infernali perché in paese si parlava di una seconda ondata della quale avrebbero fatto parte mia madre e mia nonna. Decidemmo dunque di partire e di rifugiarci in campagna. Il ricordo dei corpi maciullati e delle dita tagliate (a qualcuno avevano persino rotto il dito per togliere l'anello) mi accompagnò per tutto il viaggio.[...]" (Il Borghese, 20 Magio 1955. Frammento tratto da Il Gazzettino locale del Novembre 2011) Violenza, vilipendio dei cadaveri e furto. Azioni infami e crimimose che mostrano tuttavia essere un comun denominatore nell'operato degli slavi al seguito della resistenza italiana: in Umbria i corpi di Maceo Carloni, Augusto Centofanti, Iolanda Dobrilla verranno vilipesi; gli effetti personali delle vittime rubati, i segni delle torture inflitte sui cadaveri ben visibili. Gesti orrendi che denotano, oltre al fomento ideologico, l'alto livello di crudeltà e di barbarie di unità partigiane liberamente operanti in territorio nazionale, coperte da esponenti del Partito comunista e che, nella maggior parte dei casi, sono rimaste impunite a guerra conclusa. Atteggiamenti di totale sprezzo per la vita umana riproposti, su ben più vasta scala, in Istria, Dalmazia, e Venezia Giulia nel quadro dell'immane tragedia delle foibe.