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Approfondimenti - Italiani detenuti all’estero: la storia di Carlo Parlanti

di Fabio Polese

(ASI) Agenzia Stampa Italia ha contattato Carlo Parlanti che, fino a un mese fa, era uno dei tremila italiani detenuti all’estero. Parlanti è ora tornato in libertà. E’ rientrato in Italia con un volo proveniente dagli stati uniti il 15 febbraio del 2012 dopo aver scontato l’85% della sua pena detentiva.

 

La sua storia ha inizio nel luglio del 2004 quando nel corso di un controllo ordinario all’aeroporto di Dusseldorf, in Germania, viene arrestato perché è segnalato con un red alert dell’Interpol…

 

Vorrei precisare che il red alert mi descriveva come armato e pericoloso. E questo non era assolutamente vero. Il riassunto della mia storia è che nel 1996 sono stato reclutato da una multinazionale americana per lavorare negli Stati Uniti e mentre lavoravo per questa società, nel 2001 mi è stato chiesto di trasferirmi nella loro sede vicino a Malibu in California e in quel periodo ho avuto delle relazioni occasionali con una donna, Rebecca White, che poco prima aveva perso l’occupazione e che io ho aiutato consentendole di abitare nel mio appartamento. Il lavoro poi mi ha portato a viaggiare spesso, soprattutto nel Centro America, nelle Filippine, in Sud Africa, in Giappone e in Germania e questa donna in questi mesi ha vissuto nel mio appartamento. All’inizio del 2002 io ho cominciato una relazione più seria con una collega che lavorava in Mississipi e ho chiesto alla White di accelerare i tempi nel trovare un appartamento e una soluzione lavorativa e gli ho offerto anche un aiuto economico per evitare il problema di avere una donna in casa e iniziare una nuova relazione. Successivamente ho avuto l’opportunità di lasciare gli Stati Uniti e di tornare a lavorare in Europa; avevo disegnato un prodotto che ero riuscito a vendere ad una grossa multinazionale francese e ho deciso di tornare in Europa. Una volta rientrato in Europa, prima ho condotto consulenze per il prodotto da me disegnato e più tardi mi sono unito a tre colleghi e abbiamo aperto una società in Gibilterra. Dopo un anno di attività in questa società ho ricevuto un offerta per essere assunto da una società irlandese che operava nel settore della prenotazione alberghiera su internet. In quel momento la società ha acquistato una nuova società in Dusseldorf e insieme a due colleghi sono volato da Dublino in Germania e al controllo doganale sono stato bloccato ed arrestato.

Lei è stato arrestato in Germania e poi, cosa è successo?

 

Dopo qualche giorno di prigione, ho scoperto che due anni prima, dopo aver lasciato gli Stati Uniti, la signora White si era recata alla polizia di Ventura e mi aveva accusato di averla rapita, picchiata a sangue e stuprata. Io sono caduto dalle nuvole, mi sono sempre difeso dicendo che nulla di questo era mai successo e ho chiesto alla magistratura tedesca di cercare di acquisire altre evidenze di questi fatti. La magistratura tedesca ha fatto una rogatoria chiedendo agli Stati Uniti le prove e gli è stato risposto che l’unica cosa che avevano in mano era una dichiarazione della donna che mi accusava.

Quale è stato il ruolo delle istituzioni italiane?

 

Lo Stato italiano ha avuto un ruolo molto passivo. Tanto per cominciare gli Stati Uniti stavano mentendo, avevano delle evidenze: avevano le foto della donna senza lividi e le foto del mio appartamento senza alcuna traccia di lotta. Queste evidenze, se comunicate alla polizia tedesca, probabilmente avrebbero comportato il mio rilascio immediato. L’Italia io ho cercato di coinvolgerla, mi sono addirittura autodenunciato – non perché fossi colpevole, ovviamente – ma per cercare di ottenere un’estradizione in Italia e non negli Stati Uniti. In un primo momento, la Procura di Milano, ha archiviato la questione dicendo che non c’erano abbastanza prove per arrestarmi per cui era impossibile per loro estradarmi in Italia e poi lasciarmi libero. A quel punto, insieme al mio supporto legale italiano abbiamo cercato tramite canali diplomatici, di convincere il Ministero degli Esteri della Giustizia di fare qualcosa affinché questa estrazione avvenisse. Loro hanno cercato di capire se tecnicamente potevo o non potevo essere accusato e hanno inviato alla White – cioè alla mia accusatrice – una richiesta per chiedergli se aveva intensione di accusarmi in Italia oppure no. Lei ha rifiutato e il Ministero ha detto che a causa di questo rifiuto non potevano aprire un procedimento penale contro di me in Italia.

Il 20 dicembre la giuria popolare americana emette il verdetto: lei è colpevole in ordine a tutti i capi di accusa. Il Giudice ha usato queste incredibili parole per commentare la sentenza: “Seppur non vi sono referti medici, seppur la signora White è stata inconsistente e quanto raccontato va oltre la realtà, penso che il signor Parlanti l’abbia danneggiata psicologicamente da renderla inconsistente”.

C’è una cosa che devo precisare, queste parole diventano ancora più gravi alla luce di alcune evidenze che sono apparse quattro anni dopo il mio processo.

Come mai le perizie mediche sono state ottenute solo negli ultimi tempi?

Queste perizie mediche sono state tenute nascoste dalla polizia californiana perché nel momento in cui l’hanno acquisite si sono accorti delle incongruenze delle perizie stesse con le loro dichiarazioni e le loro investigazioni. La polizia di Ventura ha preferito occultare queste perizie mediche invece di ammettere l’errore giudiziario e di riparare. Queste documentazioni sono uscite nel libro scritto da tre criminologi romani (Mastronardi, Mastroeni e Trojani) “Stupro? Processi Perversi – Il caso di Carlo Parlanti” (Armando Editore) e, successivamente, nel libro “Timeline dei Crimini Medici” che potete ordinare sul sito www.prigionieridelsilenzio.it/pubblicazioni.

Lei crede che il fatto di essere un cittadino italiano abbia potuto in qualche modo condizionare la sua condanna?

Non lo credo, ne ho la certezza. E potete verificarlo anche voi, tutti gli atti processuali del mio caso sono reperibili sul sito www.thepeoplevscarloparlanti.com. Negli atti processuali si è varie volte precisato il fatto che io provengo da una cultura dove la violenza sulla donna è sintomatica.

Mi sta dicendo che secondo lei la società civile americana descrive l’italiano medio come un picchiatore di donne, un alcolizzato ed un mafioso?

Assolutamente si. La società americana è influenzata dagli show televisivi come i Soprano dove l’italiano viene definito come un mafioso alcolizzato che abusa delle donne e le tradisce. Non c’è un’oggettiva valutazione delle statistiche, non si parla del fatto che l’America è quindici volte più violenta dell’Europa.

Dalle notizie che abbiamo appreso lei è stato più volte minacciato sia verbalmente che fisicamente durante il periodo della sua carcerazione…

Io sono stato assalito tre volte. In una di queste risse ho contratto l’epatite C. Non ero malato in Germania e non sono una persona a rischio: non ho mai assunto droghe, non ho avuto relazioni omosessuali all’interno del carcere né  mi sono fatto dei tatuaggi.

Nessuno le ripagherà gli anni trascorsi in prigione. Ora che è tornato in Italia da uomo libero, cosa pensa di fare?

Voglio aiutare le persone che non sono state fortunate come me, quelle che ancora stanno scontando carcere duro negli Stati Uniti. In questo momento in America ci sono poco meno di duecento detenuti italiani. Le condizioni di vita carcerarie in alcuni nazioni sono tranquillamente definibili come disumane. Io penso che dovrebbe essere doveroso, da parte delle istituzioni italiane, seguire i nostri connazionali in prigione all’estero in maniera più attenta, sia che siano innocenti sia che non lo siano, per fare in modo che vengano perlomeno salvaguardati i diritti umani più basilari. Non si può finire in carcere come è successo a me e rischiare di perdere la vita con malattie come l’epatite C, infezioni polmonari e risse continue. Questo non dovrebbe succedere…

 

Fabio Polese Agenzia Stampa Italia

E’ uscito il libro “Le voci del silenzio – Storie di italiani detenuti all’estero” (Eclettica Edizioni, 13€) scritto da Fabio Polese e Federico Cenci, redattori di Agenzia Stampa Italia. Per maggiori informazioni: www.levocidelsilenzio.com

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