(ASI) Un Servizio sanitario nazionale sempre più fragile, messo in una condizione di perenne difficoltà dalle politiche di austerità attuate in Italia negli ultimi quindici anni. Si può dire che la sanità pubblica italiana è malata, con un evidente impoverimento della qualità generale dei servizi offerti.
Basti pensare alle liste d’attesa, esacerbate durante e dopo la pandemia da COVID-19, alla carenza di personale medico/sanitario, al definanziamento del fondo sanitario, al congelamento delle assunzioni, alla mancanza di posti letto, alle chiusure di alcune strutture ospedaliere, ai pronto soccorso sempre più affollati, con disuguaglianze regionali e locali che spingono a scegliere strutture sanitarie più adeguate. Questo comporta la crescita delle spese sanitarie private, che pesano sulle famiglie e in alcuni casi spingono a rinunciare alle cure necessarie.
Esempi lampanti di un sistema avviato al collasso, che secondo l’ultimo rapporto presentato al Senato lo scorso ottobre dalla fondazione GIMBE necessita “di essere rilanciato”. Dalle stime calcolate in una proiezione tecnica fornita nella NADEF (Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza), si osserva una diminuzione della percentuale della spesa sanitaria rispetto al PIL nel periodo di cinque anni compreso tra il 2020 ed il 2025 che lo vede scendere da un 7,4% a un 6,2%. Un chiaro definanziamento che si riversa non solo sui cittadini, ma anche sugli operatori sanitari ormai allo stremo, sempre più spinti verso le dimissioni – non dimentichiamo che le stime, subito dopo la fase clou della pandemia, hanno evidenziato il burnout di quasi 15.000 medici ospedalieri non causato dallo stress pandemico.
Foad Aodi - Agenzia Stampa Italia