(ASI) Boom del miele nel carrello della spesa degli italiani con un aumento del 5,1% sul valore degli acquisti nel 2017, spinto dalla svolta salutistica nei comportamenti alimentari degli italiani.                                                                                                                                                                                                                      E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti su dati Ismea divulgata in occasione della Giornata Mondiale delle Api del 20 maggio, istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (ONU) per riconoscere il ruolo insostituibile svolto da questo insetto tanto che Albert Einstein sosteneva che: “se l’ape scomparisse dalla faccia della terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita”.

Iniziative sono state programmate nei mercati degli agricoltori di Campagna Amica perchè portare in tavola miele italiano significa – sottolinea la Coldiretti - fare una scelta di acquisto consapevole a favore della biodiversità e della natura considerato che le api sono un indicatore dello stato di salute dell’ambiente e servono al lavoro degli agricoltori con l’impollinazione dei fiori. In media una singola ape – precisa la Coldiretti - visita in genere circa 7000 fiori al giorno e ci vogliono quattro milioni di visite floreali per produrre un chilogrammo di miele. 3 colture alimentari su 4 dipendono in una certa misura per resa e qualità dall'impollinazione dalle api, tra queste ci sono le mele, le pere, le fragole, le ciliegie, i cocomeri ed i meloni secondo la Fao.

In Italia – spiega la Coldiretti – esistono più di 50 varietà di miele a seconda del tipo di “pascolo” delle api: dal miele di acacia al millefiori (che è tra i più diffusi), da quello di arancia a quello di castagno (più scuro e amarognolo), dal miele di tiglio a quello di melata, fino ai mieli da piante aromatiche come la lavanda, il timo e il rosmarino. Nelle campagne italiane – precisa la Coldiretti – ci sono 1,2 milioni gli alveari curati da 45.000 apicoltori tra hobbisti e professionali con un valore stimato in più di 2 miliardi di euro per l’attività di impollinazione alle coltivazioni.

Per non cadere nell’inganno dei prodotti stranieri spacciati per nazionali e garantire un futuro alle api italiani il consiglio della Coldiretti è di verificare con attenzione l’origine in etichetta oppure di rivolgersi direttamente ai produttori nelle aziende agricole, negli agriturismi o nei mercati di Campagna Amica. La parola Italia deve essere obbligatoriamente presente sulle confezioni di miele raccolto interamente sul territorio nazionale mentre nel caso in cui il miele provenga da più Paesi dell’Unione Europea, l’etichetta – continua la Coldiretti – deve riportare l’indicazione “miscela di mieli originari della UE”; se invece proviene da Paesi extracomunitari deve esserci la scritta “miscela di mieli non originari della UE”, mentre se si tratta di un mix va scritto “miscela di mieli originari e non originari della UE”. Ma l’Italia puo’ contare anche su 3 mieli a denominazione di origine riconosciuti dall’Unione Europea: il miele della Lunigiana DOP; il miele delle Dolomiti Bellunesi DOP e il miele Varesino DOP.

Quest’anno occorre fare ancora piu’ attenzione poiché secondo la Coldiretti gli sbalzi termici con l’improvviso ritorno della pioggia e del freddo hanno stessato le api che sono restate negli alveari e hanno dimezzato la produzione di miele di inizio stagione. Gli effetti del clima – rileva la Coldiretti –aggravano il già pesante deficit registrato nel 2017 quando la produzione di miele Made in Italy è risultata pari a circa 10 milioni di chili, uno dei risultati peggiori della storia dell’apicoltura moderna.

Una situazione che ha peggiorato la dipendenza dall’estero con le importazioni che nel 2017 hanno superato i 23 milioni di chili con un aumento di quasi il 4% rispetto all’anno precedente. Quasi la metà di tutto il miele estero in Italia arriva – conclude la Coldiretti - da due soli paesi: Ungheria con oltre 8 milioni e mezzo di chili e la Cina con quasi 3 milioni di chili ai vertici per l’insicurezza alimentare.

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