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Pasqua e Tradizioni, A Chieti il più antico rito in Italia della processione del Venerdì Santo

(ASI) Chieti - Il più antico rito in Italia della processione del Venerdì Santo è quella  di Chieti, che ha mantenuto nel tempo, sin dalle sue antichissime origini ( secondo alcuni risalenti addirittura all'842 d.c.), grande solennità rituale ed intenso fervore spirituale, divenendo nel corso dei secoli una delle più significative espressioni religiose della Pasqua italiana. Da alcune fonti certe, la nascita della processione  viene fatta risalire contestualmente alla fondazione dell'Arciconfraternità del Sacro Monte dei Morti nel 1603, sul modello "dell'Orazione e Morte di Roma", alla quale il sodalizio teatino era aggregato. Comunque, la processione del Venerdì Santo di Chieti, nella sua forma più semplice, risale ai primi decenni del secolo XVII, incentrata su tre elementi simbolici dominanti: una morte lignea a grandezza naturale, uno stendardo in damasco nero e un catafalco su cui è posto il Cristo morto. Accompagnano questi tre simboli gli iscritti al "Monte dei Morti" con i rituali cappucci ed i vestiti di sacco. Nei primi decenni del Settecento cominciava a prendere parte alla processione anche il coro dei musicisti. La processione fino al XIX secolo si svolgeva la mattina del Venerdì Santo, solo nell'Ottocento venne spostata a sera, assumendo quell'aspetto così suggestivo e pittoresco che ha tutt'oggi. Non essendoci ancora la luce elettrica, fu in quel periodo che vennero adottati, e rimasti in uso fino ai giorni nostri, i lampioni o "fanali" posti alla sommità di lunghe aste di legno portati dai fratelli delle congreghe, di  foggia diversa per ciascuna confraternita. Dopo la  metà dell'Ottocento vennero collocati lungo le strade del percorso della processione i tripodi fissi in ferro battuto, rimasti in uso ancora oggi, su cui ardono i bracieri per illuminare il cammino dalle tenebre. Nel 1855 vennero introdotti nella Processione i "Trofei della Passione": oltre al "Cristo Morto" adagiato sul Catafalco e la statua dell' "Addolorata"; l' "Angelo alato"; le "Lance dei soldati romani"; la "Colonna" alla quale fu legato Gesù sormontata da un gallo che ricorda il tradimento di Pietro; il "Volto Santo" inghirlandato (identico all'effige del santuario di Manoppello); il "Sasso" sul quale sono collocati i dadi, la tunica, lo "scettro", la corona di spine con a fianco un catino e una brocca in memoria del gesto simbolico del lavaggio  delle mani di Pilato; la Scala con le tenaglie,i chiodi e la canna con una spugna imbevuta d'aceto; la Croce ai cui piedi è posto un teschio e un serpente. Questi "trofei" precedono le sacre immagini del Cristo e dell'Addolorata, realizzati dallo scultore teatino Raffaele del Ponte, allievo del grande maestro napoletano Antonio Nicolini. scenografo del teatro S.Carlo. La processione, secondo tradizione, deve uscire ogni anno anche se con un breve tragitto, altrimenti si prevedono gravi sciagure per la città. Non a caso le sue origini si fanno risalire alla prima metà del IX secolo negli anni successivi all'ultimo rovinoso saccheggio di Chieti ad opera dei Franchi di Pipino, figlio dell'Imperatore sacro-romano imperiale Carlo Magno. Dall'epoca la città è sempre miracolosamente scampata ad ogni saccheggio o distruzione dovuta a guerre o a calamità naturali. Infatti, la processione si è sempre svolta, sia pure in forma ridotta. In caso di maltempo o nevicata il rito, sia pure con un percorso brevissimo, ha sempre avuto il suo regolare svolgimento.  A tal proposito ecco cosa dice della processione del "Cristo morto" di Chieti l'Arcivescovo Bruno Forte: " la processione, che da secoli si svolge a Chieti il Venerdì Santo, accompagnata dallo struggente canto del Miserere di Saverio Selecchy, non è solo un singolare evento di pietà popolare, ma testimonia un contenuto teologico di grande profondità, quello della sofferenza di Dio per amore degli uomini e il conseguente appello a far noi compagnia al dolore divino per la salvezza di tutti. Portati per le vie della città, i simboli della passione, e sopratutto l'effigie del Figlio abbandonato alla morte  e della Madre addolorata, dicono quanto ci sia vicino il nostro Dio,  non solo dall'alto della Sua onnipotenza celeste, ma anche nella condivisione della nostra finitudine e perfino della nostra morte. Ed è qui che il canto di Selecchy invita a un ulteriore passo: fare noi compagnia al dolore divino facendoci carico col Figlio del peccato del mondo e invocando pietà per tutti". Pertanto, gustiamoci il video girato venerdì 29 marzo 2013 alle 19.30 con il coro e gli orchestrali che intonano le note del Miserere di Selecchy all'uscita in processione dalla cattedrale di San Giustino

.http://www.youtube.com/watch?v=iY2QHDH-9GY IN ALLEGATO OLTRE AL VIDEO CI SONO ANCHE ALCUNE FOTO.

 

Dott. Cristiano Vignali -Agenzia Stampa Italia

 
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