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Christopher e Giorgio Chiesa …un'incomprensione che travalica i limiti del conflitto generazionale

(ASI) “Mi chiamo Christopher Chiesa, ma ormai lo sapete tutti, ho vent'anni e sono diventato 'famoso'. Sono uno degli otto studenti arrestati a Roma durante le violente cariche della polizia al corteo studentesco del 14 Novembre e sono indagato per resistenza. Ma non sono diventato 'famoso' per questo.

Peso 58 chili ma secondo i verbali di polizia prima di essere bloccato sarei riuscito a tenere testa da solo a quattro agenti. I filmati pubblici del mio arresto raccontano un’altra storia. Ma non sono diventato 'famoso' nemmeno per questo.

Insieme a migliaia di studenti come me ho deciso di manifestare quel giorno perché credo che il futuro possa ancora essere scritto. Perché credo che i tagli alla scuola, all'università e allo stato sociale siano la scelta cieca di un paese che tutela solo gli interessi di pochi. Siamo scesi in piazza perché volevamo gridare la nostra rabbia proprio dove si prendono queste decisioni ma non ce lo hanno fatto fare.

Non sono diventato 'famoso' nemmeno per queste idee anche se le condivido come gran parte della mia generazione.

Il motivo per cui sono diventato 'famoso' è perchè mio padre sta rilasciando dichiarazioni deliranti su di me e il mio comportamento. Ha detto che sarei dovuto rimanere in prigione perché ho picchiato degli agenti di polizia. Ma lui quel giorno in piazza non c'era.

Lui oggi si permette di parlare di educazione, di violenza e non violenza. Lui che quando da bambino andavo a trovarlo a Cuneo mi faceva passare le giornate da solo in casa. Lui che poi mi riempiva di minacce e di insulti per me, mia madre e tutta la mia famiglia. Lui da cui ho subito per anni violenze fisiche e verbali, ancora ricordo il dolore della sua cintura ogni volta che facevo qualcosa che lui riteneva sbagliato. Lui che mostrava sempre con vanto la sua pistola perennemente portata alla caviglia.

Nonostante tutto questo io ho scelto di far valere le mie idee con forza avendo sempre in odio la violenza.

Mio padre dice che sono un terrorista, un bamboccione viziato perché paga i 650 euro di affitto per il monolocale in cui abito. È semplicemente il contributo dovuto alle spese per il mio mantenimento. Tra l’altro mia madre è cassaintegrata e ha a carico altri due figli di dieci e dodici anni e questi sono stati anni molto difficili per noi dal punto di vista economico. Ma nel ristorante di lusso di mio padre un primo piatto costa dai 35 euro in su, e il suo contributo per l'affitto è solo il conto medio di un tavolo di quattro persone. In un ristorante del genere io non potrei mai permettermi di mangiare...

Quello che so è che oggi devo andare in questura tre volte al giorno a firmare un registro. Ho così praticamente perso il mio lavoro da giardiniere perché non ho il tempo di lavorare tra una firma e l'altra e anche le lezioni all'università sono quasi impossibili da seguire. Eppure io non ho fatto nulla di quello di cui sono accusato.

Avevo deciso di sottrarmi al ricatto di mettere la mia vita privata in piazza per controbattere ad accuse fin troppo pretestuose. Ciò che mi ha spinto a scrivere oggi, rendendo pubblici fatti del tutto privati della mia vita, è il tentativo di spezzare questo vortice intorno alla mia persona. Sembra che un inedito format televisivo con al centro le mie “beghe di famiglia” abbia risucchiato e cancellato le ragioni della protesta studentesca, la violenza della polizia e perfino il merito della mia vicenda giudiziaria. Cari genitori, la politica è assente e noi studenti siamo gli unici oggi a voler guardare lontano. Il futuro che vediamo è un buco nero per noi, ma anche per voi. Fidatevi del nostro sguardo e accompagnateci in piazza a manifestare insieme. Ma state attenti e proteggetevi perché i manganelli e i lacrimogeni piovono come le tasse sulla testa di chi non ha un ombrello.”

Questa la lettera pubblicata dall'Huffington Post e riportata in seconda serata a Porta a Porta giovedì 13 dicembre. Pesante l'attacco che Christopher Chiesa rivolge al padre, Giorgio, accusandolo di aver esercitato violenza psicologica e fisica su di lui e di aver pronunciato parole deliranti sul suo conto in occasione dell'arresto del giovane studente, avvenuto lo scorso 14 novembre a seguito degli scontri verificatisi a Roma. La lettera di Christopher giunge in risposta alla dichiarazione rilasciata dal padre che per molti giorni ha catalizzato l'attenzione dei media : “mio figlio è un violento, doveva restare in carcere, altro che ragazzate. Se li lasciamo impuniti pensano di aver vinto loro...”

Durante la trasmissione televisiva, Giorgio Chiesa ha dichiarato di aver fatto tutto per essere padre ed ha aggiunto: “Non sta a me dire se sono un buon padre; io mi sono impegnato, posso dire di non essere nato padre ma di esserlo diventato... lo sconvolgimento interno che io provo è una cosa che non auguro a nessuno . Mi trovo in una sorta di lotta fra l'amore paterno e la coscienza di un cittadino, il rispetto delle regole e della propria dignità … Io oggi mi trovo con un figlio che, dal punto di vista iconografico, vedo nelle sabbie mobili con le mani dietro la schiena che rifiuta di essere aiutato perché lui mi aveva invitato a non venire in trasmissione... io non me la sono sentita perché avrei tradito la mia dignità e il mio essere padre.”

Queste sono alcune delle dichiarazioni rilasciate da Giorgio Chiesa sulle quali si è molto discusso. Non è certo nostra intenzione entrare nel merito di una questione che si spinge ben oltre il classico conflitto generazionale tra padre e figlio, ma è comunque inevitabile maturare qualche considerazione. Come ha affermato Paolo Mieli, intervenuto in trasmissione nella serata di giovedì 13, “un genitore dovrebbe forse puntare prima il dito contro se stesso che contro i propri figli, perché le colpe di questi ultimi, spesso, derivano anche dai nostri comportamenti sbagliati ...” Come ha sottolineato Luca Ricolfi, sociologo ed editorialista de La Stampa, “ogni padre è il giovane di ieri e il padre di oggi. Come giovane di ieri non può non sentire l'enorme distanza fra l'autonomia e l'intraprendenza della sua generazione e il disorientamento delle generazioni attuali.”

Sull'inconsistenza del rapporto tra padri e figli si è poi soffermato lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet, il quale ha definito i padri capaci di essere autoritari ma non autorevoli e, come loro, anche le madri. “sappiamo solo condonare i figli- ha aggiunto- siamo diventati una sorta di INPS per loro!”

Una cosa è certa al di là dell'autorevolezza, del rigore, dell'esempio e delle norme da seguire vi è un concetto chiave dal quale non si deve prescindere parlando del rapporto tra padre e figlio e che, spesso, viene dato troppo per scontato: il concetto universale di amore.

Maria Vera Valastro- Agenzia Stampa Italia

 

 

 

 

 

 

 
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