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Reportage dal sud del Libano

(ASI) Lettere in redazione - Si è svolta dal 22 al 27 maggio la missione in Libano organizzata da Assadakah Sicilia, in collaborazione con le altre sezioni della federazione. Venti i partecipanti a questa iniziativa, con ampia rappresentanza di giornalisti e freelance, l’informazione è il tema principale di questa missione. La delegazione giunge a Beirut alle 16,15 di martedì 22, all’aeroporto siamo accolti dalle nostre guide che, manifestando la tradizionale calorosa accoglienza, ci accompagna nel vicino hotel Assaha, meravigliosa e confortevole struttura situata nella periferia di Dahieh. La sera c’è tempo solo per illustrare l’intenso programma e poi via per il centro di Beirut. Nella città si respira un’aria di forte tensione, il giorno prima dei terroristi avevano attaccato la sede di un partito filo-siriano. La tensione aumenta quando giunge notizia del sequestro in Siria di undici pellegrini sciiti libanesi. Si creano blocchi stradali in tutto il paese, a poche decine di metri dal nostro albergo dei giovani bruciano copertoni e bloccano la strada per l’aeroporto.

Inizia ufficialmente il nostro viaggio, si parte alla volta della Valle della Bekaa. Prima tappa l’incantevole moschea di Nabih Sheet, dove riposa Abbas al Mussawi, fondatore di Hezbollah assassinato con la moglie e il figlioletto nel 1992 da Israele. Ci accoglie il responsabile di zona del Partito di Dio, ci dà il benvenuto e ci accompagna all’interno della moschea. Dopo aver rilasciato delle interviste a una televisione locale, ci avviamo verso la capitale dell’immensa Valle della Bekaa, Baalbek. Qui incontriamo Hachem Osman sindaco della città che ci fa gli onori di casa. Alla fine dell’incontro il nostro interlocutore dopo aver risposto alle tante domande poste dai nostri giornalisti, ci lascia lanciandoci un invito: “ Baalbek è fiera di stare al fianco della Resistenza, vi invito a trasmettere la verità nel vostro paese”. Invito che accogliamo immediatamente con grande emozione ed impegno.

Il programma prosegue con la visita della Fortezza, straordinario sito archeologico di epoca romana. Stanchi e stremati dal caldo, veniamo completamente messi KO da un luculliano pranzo offerto dal nostro caro sindaco. Raccogliamo le ultime forze e rientriamo a Beirut, dove ci attende l’incontro con Sheikh Ali Dagmoush, responsabile esteri di Hezbollah. Dopo averci ringraziato per la nostra visita, avvia una piacevolissima conversazione trattando vari argomenti, dalla crisi siriana alle costanti minacce israeliane al Paese dei Cedri. Con quest’ultimo appuntamento si conclude la prima estenuante giornata di lavoro. Il giorno seguente si parte per il sud del Libano, il programma prevede la visita del campo profughi palestinese di En el Hilweh a Sidone. Poco prima di fare ingresso al campo, ci arriva la notizia di scontri. La sicurezza di Fatah tenta di arrestare alcuni terroristi appartenenti a gruppi salafiti, coinvolti in atti terroristici e traffico di armi con i “ribelli” siriani.

Prendiamo atto della situazione e con molta amarezza facciamo rotta verso il Villaggio della Resistenza di Mlleta. Il “villaggio museo” è una vasta e moderna struttura completa di tutti i servizi, per rendere confortevole la visita dei tanti visitatori. Il sito si trova sulla cima di una montagna teatro di aspre battaglie tra Hezbollah e l’esercito occupante israeliano. Durante gli anni dell’occupazione questa montagna veniva bombardata giornalmente da Israele che, malgrado i massicci attacchi, non è mai riuscita a conquistarla. La visita del Villaggio entusiasma tutti i partecipanti della delegazione, non capita tutti i giorni vedere carcasse di blindati, resti di elicotteri abbattuti, pezzi d’artiglieria di vario calibro. Tra gli ordigni esposti troviamo le famigerate “cluster bombs”, le micidiali bombe a grappolo che Israele con la sua riconosciuta generosità ha cosparso in tutto il sud del Libano, causando la morte di centinaia di civili. Anche in questo caso la comunità internazionale ha scelto la strada dell’immunità, capita. Finita la visita, ci dirigiamo a Nabatiyeh dove passeremo la notte. La serata è scossa dalle notizie che giungono da Beirut, miliziani filo-occidentali attaccano una pattuglia dell’esercito libanese, diversi militari rimangono feriti ma vengono uccisi i due attentatori. L’indomani partecipiamo ad Odeissah alla manifestazione per l’inaugurazione del monumento in memoria dei due militari libanesi uccisi nel 2010, durante uno scontro a fuoco con militari israeliani penetrati in territorio libanese.

Il nostro tour prosegue verso Kiam, visitiamo l’ex lager israeliano durante gli anni dell’occupazione. La visita è molto emozionante, ci accompagna all’interno della struttura un ex detenuto. I racconti sono raccapriccianti, si fa fatica a credere alle orrende torture cui erano sottoposti i detenuti libanesi. Se questi sono i metodi per aver meritato il titolo di “più grande democrazia al mondo”, capiamo bene su quante e quali menzogne si basa la storia d’Israele. Dopo Kiam arriva il turno di Qana, altro luogo che riporta alla mente orribili stragi di civili. Cambiano solo i luoghi, la mano criminale è sempre la stessa. Entriamo nel mausoleo dei martiri del massacro avvenuto nel 2006, Israele bombardò un edificio, uno dei tanti. In quel palazzo non c’erano batterie di razzi, nessun miliziano di Hezbollah, c’erano solo bambini, in decine morirono. Davanti a questo ennesimo disgustoso orrore, il mondo ha preferito ancora una volta girare le spalle. Vergogna! Sono certo che il tempo potrà dare una degna e giusta risposta a tutto ciò. La giornata sembra non avere fine, ci fermiamo a pranzare nel meraviglioso villaggio divertimenti di Maroun al Ras, costruito dall’Iran dopo il conflitto del 2006. Il parco si affaccia sul confine, pranzare a poche decine di metri dalle pattuglie israeliane è una sensazione unica. Forse per Israele rappresenta l’ennesimo smacco, pazienza.

Dopo il pranzo ci rechiamo a Bint Jbeil, dove avrà luogo la manifestazione per il dodicesimo anniversario della liberazione del sud del Libano. L’intera zona è invasa da migliaia di manifestanti, avvertiamo un entusiasmo straripante e contagioso. C’è grande attesa per l’intervento in diretta video del segretario generale Sayyed Hassan Nasrallah. Dopo gli interventi di dirigenti di partito e autorità, un boato assordante e lo sventolio di migliaia di bandiere di Hezbollah, accoglie la diretta video del segretario generale. E’ un tripudio. Con la calma e la cordialità che lo contraddistingue, inizia a parlare dell’attuale situazione di tensione in Libano, della crisi siriana e dell’imminente rilascio degli undici pellegrini libanesi rapiti in Siria dai terroristi filo-occidentali. Proprio a questi ultimi lancia un invito: “non perseverate nelle vostre azioni criminali, non porteranno a nulla. Non dubitate della nostra forza e non abusate della nostra pazienza”. Le parole di Nasrallah pesano come macigni. La festa finisce con un’euforia allucinante. E’ uno spettacolo unico al mondo.

L’ultimo giorno facciamo rientro a Beirut, ci aspetta la visita all’associazione “Waad” (promessa) sorta dopo l’aggressione israeliana che devastò buona parte del Libano. Waad è una costola dell’imponente Fonfazione Jihad al Binah (sforzo per la ricostruzione), la struttura si occupa della ricostruzione del paese e di tanti altri progetti di sviluppo e assistenza. Incontriamo il direttore generale del progetto Waad il Dott. Haji Hassan Gichi, che ci illustra tutti i lavori portati a termine e snocciola dati impressionanti. In appena cinque anni sono stati totalmente ricostruiti 231 edifici e oltre 1.100 ristrutturati, tutto ciò senza il minimo aiuto dell’allora governo libanese. Salutati gli amici di Waad cui auguriamo buon lavoro, ci rechiamo presso l’ufficio di Ammar Al Mussawi, capo ufficio relazioni internazionali di Hezbollah. L’incontro si prolunga per quasi due ore, la conversazione è molto piacevole e interessante. Il nostro interlocutore ha un passato di grande spessore, proviene dalle fila della Resistenza, in ogni sua risposta emerge orgogliosa la sua storia. Un’affermazione su tutte resta impressa nelle nostre menti: “ al di là del ruolo che oggi ricopro, resto un combattente pronto a riprendere le armi per difendere il mio paese”. Ogni commento è superfluo.

Ultimo appuntamento del nostro viaggio è il campo profughi palestinese di Sabra e Chatila, tristemente famoso per l’atroce strage di civili del settembre 1982 ad opera delle bande criminali cristiano-maronite delle Forze Libanesi. Prima di fare ingresso al campo, rendiamo omaggio al cimitero che accoglie parte delle vittime della strage. Accompagnati dal responsabile della sicurezza del campo, facciamo un tour per gli stretti vicoli del campo. Ciò che si presenta davanti ai nostri occhi è un devastante degrado e un’estrema povertà. Riesce veramente difficile descrivere le condizioni disumane in cui sono costrette a vivere decine di migliaia di persone. Con quest’ultima visita si conclude il nostro viaggio, speriamo di riuscire a contribuire a far emergere la verità dei fatti e denunciare la sconcertante realtà che il mondo ha deciso di ignorare. Aver conosciuto un popolo che grazie alla sua dedizione e lealtà non si è mai arreso a massacri e distruzioni, rappresenta una lezione di vita per tutti noi.

Mi permetto anche una doverosa parentesi. Credo che questo viaggio sia servito anche per conoscere un po’ meglio il concetto di Resistenza, argomento ancora oggi di dibattito nel nostro paese. La Resistenza libanese rappresenta realmente e lealmente tutti i libanesi, ha come suo unico interesse la difesa del Libano e dei libanesi, non è mai stata armata da forze straniere che hanno bombardato e occupato le sue città. Aspetto fondamentale, la Resistenza libanese non si è mai lasciata andare a rappresaglie contro i civili di opposte fazioni e non ha mai attuato esecuzioni sommarie contro di essi. Questo e tanto altro fanno di Hezbollah un esempio di Resistenza unico al mondo, provare ad affiancare tutto ciò alla resistenza italiana, mi sembra un tentativo a dir poco forzato e fantasioso. Vorrei solo ricordare a chi fa difetto la memoria, le migliaia di civili che, colpevoli di stare dalla parte sbagliata furono trucidati dai partigiani in stretta collaborazione con gli Alleati anglo-americani. L’Italia liberata dai nazisti è stata venduta agli americani, la cui presenza si manifesta ancora oggi con oltre cento installazioni militari. Negare tutto ciò rappresenta solo una menzogna storica ed è un’offesa al termine Resistenza. Una vera Resistenza deve essere segnata dalla volontà di un popolo ad opporsi a qualsiasi tirannide, al di là del colore politico, razza o religione.

Giovanni Sorbello – Segretario generale Assadakah Sicilia

 

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