(ASI) Il problema che riguarda i cosiddetti deserti sanitari non è soltanto italiano o europeo, bensì mondiale, ma l’Italia, rispetto ad altri Paesi, ha lacune molto importanti dal punto di vista burocratico. Per ottenere il riconoscimento del titolo ci vuole almeno un anno e mezzo di tempo. Un medico, con la carenza di professionisti sanitari a livello mondiale, non aspetta un anno e mezzo per ricevere una risposta e si sposta altrove, dove l’iter è molto più veloce.
Altro problema sono i salari, più bassi rispetto ad altri Paesi, ma anche la medicina difensiva e le denunce. Inoltre, negli ultimi quindici anni, la parola programmazione in sanità non è stata mai citata, tantomeno applicata. Per questo ci troviamo in questa emergenza, marcata dalla pandemia. Le statistiche parlano chiaro, abbiamo un aumento del 35 per cento dei medici italiani che vogliono andare all’estero. Alcuni medici stranieri invece tornano nei Paesi di origine perché la situazione lì è migliorata: al primo posto Polonia, Albania, Romania, i cui medici, dopo la caduta del muro di Berlino, erano tra i più numerosi ad arrivare in Italia. Un’altra questione riguarda la concorrenza a livello europeo: la carenza di medici è molto marcata anche in Germania, Francia e Inghilterra che, il giorno dopo la Brexit, ha perso più di 4mila specialisti in pediatria, medici di pronto soccorso e anestesisti perché non potevano più esercitare. La Francia manca di 15mila farmacisti, stessa cosa per la Germania, con l’unica differenza che loro si sono mossi molto prima dell’Italia, favorendo l’ingresso di professionisti stranieri. Da due anni circa, in Inghilterra, hanno iniziato a esercitare 20mila professionisti della sanità: di questi solo il 37 per cento è di origine britannica, il resto è di origine straniera, primariamente indiani, pakistani ed egiziani. Sono questi i deserti sanitari, zone senza copertura sanitaria, senza assistenza per i cittadini. Queste dinamiche hanno avuto conseguenze anche altrove: in India mancano 600mila medici, in Pakistan ne mancano 200mila, in Siria il 70 per cento dei medici ha lasciato il Paese e lo stiamo vedendo con l’assistenza per il terremoto. In Egitto negli ultimi anni sono andati all’estero 11mila medici, dal Marocco più di 14mila. Qual è la sintesi? La sintesi è che esistono deserti sanitari mondiali, non solo italiani o europei. Manca la programmazione. La pandemia ha solo ulteriormente accorciato la coperta, che è corta per tutti. Chi si è mosso prima sta meglio, ma non è garantito sia così nei prossimi anni.
Foad Aodi - Agenzia Stampa Italia