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Birmania. I due Nobel per la pace rimangono in silenzio sulle violazioni dei diritti umani

(ASI) Il presidente statunitense Barack Obama, accompagnato dal segretario di Stato Hillary Clinton, ha concluso la sua storica visita in Birmania.

Una visita lampo in cui ha incontrato il nuovo presidente del Paese, Thein Sein e il leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi. Al termine dell’incontro con Thei Sein, Barack Obama ha dichiarato che «la Birmania ha fatto il primo passo nel suo lungo viaggio verso la democrazia e le riforme economiche. Il processo di liberalizzazione è appena iniziato e in futuro potrà aprire incredibili opportunità».


Il business. Gli Stati Uniti sanno bene che le opportunità di business nel Paese del Sud-est asiatico sono altissime. La Birmania con la sua posizione geostrategica e con le sue innumerevoli materie prime potrebbe diventare ben presto un centro di attrazione di capitali internazionali che permetterebbero un ridimensionamento del potere di Pechino sulla regione. La Cina, infatti, ha una grandissima influenza economica: dal 2005 al 2011, gli investimenti cinesi in Birmania sono arrivati a 32 miliardi di dollari.

Le sanzioni dimenticate. Le sanzioni imposte negli anni dagli Stati Uniti e dell’Unione Europea per condannare il regime dei militari sembrano molto lontane. Non importa se in Birmania le questioni etniche non sono ancora state risolte e non importa se il Paese di Thein Sein continua ad essere il produttore numero uno al mondo di anfetamine e il secondo, dopo l’Afghanistan, di oppio.

Gli scontri etnici. «Svilupperemo la democrazia e allineeremo i diritti umani nel nostro Paese agli standard internazionali» ha promesso Thein Sein ad Obama. Intanto però, mentre l’ex generale Thein Sein parlava, ci sono stati violenti combattimenti nello Stato Kachin. «Le truppe governative hanno sparato diverse volte» ha detto a The Irrawaddy Darchi La Saing, membro della lega Nazionale per la Democrazia a Hapakant. «Le persone qui hanno paura e le scuole sono state chiuse immediatamente». Solo nella zona di Hapakant, i combattimenti tra i militari birmani e le forze dell’Esercito indipendente Kachin, iniziati alla fine di agosto, dopo 17 anni di cessate il fuoco, hanno provocato lo sfollamento di oltre 8mila persone.

Il silenzio di Aung San Suu Kyi. «Sembra che il suo obiettivo sia di soddisfare le pretese dei Bamar e della comunità buddista per ottenere la presidenza alle prossime elezioni», ha dichiarato l’attivista Khon Ja del Kachin Peace Network ad Asia News. «Da esponente delle minoranze etniche non capisco la sua posizione rispetto alle violazioni dei diritti umani che si ripetono. Evita le domande dirette e si comporta più da politico che da leader. Dopo mesi di conflitto non ha ancora incontrato un Kachin per discutere della situazione». Lo stesso incredibile silenzio è stato destinato da Aung San Suu Kyi anche nel caso dell’etnia musulmana dei Rohingya che vive nello Stato Rakhine al confine con il Bangladesh e che, quotidianamente, viene attaccata. «Le nazioni occidentali – ha continuato Khon Ja - devono usare molta cautela nel rapportarsi al governo birmano perché troppo spesso dice una cosa e si comporta in tutt’altro modo».

Fabio Polese per Agenzia Stampa Italia

 
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