Libro, L’ Isola che non c’è: il mio Esodo dall'Istria di Nino Benvenuti e Mauro Grimaldi, Libreria Sportiva Eraclea, Roma 2013, pagg. 112.
(ASI) La Venezia Giulia e l'Istria hanno espresso una lunga storia in cui le glorie umane e civili non sono certamente inferiori a quelle politiche e militari. L'ambito sportivo non fa eccezione: Nino Benvenuti, campione del mondo dei pesi medi ed oro olimpico, è una delle icone più significative, e di insostituibile popolarità nella memoria collettiva.
Quindi, si deve salutare con compiacimento questo suo impegno editoriale, scritto a quattro mani con Mauro Grimaldi, nel lodevole intento di testimoniare un'esperienza irripetibile, anzitutto nella sua qualità di Esule.
Il volume, fatto di frasi brevi e concise, in perfetto stile tacitiano, si legge davvero d'un fiato, e si deve raccomandare in primo luogo a coloro che non sanno, e soprattutto ai giovani. In un'epoca come la nostra, governata da un agnosticismo dilagante e da un triste relativismo materialista, è importante comprendere quanto abbiano potuto, nel caso esemplare di Nino, la forza trainante della volontà, uno stile di vita aperto e leale, ed il confronto vincente del "vir bonus" contro la "mala fortuna" già teorizzato da Seneca.
In effetti, l'opera di Benvenuti può definirsi la storia di un grande Uomo di sport, ma nello stesso tempo, di un grande Esule. Fedele anche in questo all'imperativo di Tacito, Nino professa "incorrotta fedeltà al vero" e racconta con indomita partecipazione, ma nello stesso tempo "senza odio" le dolorose traversie della sua famiglia e le sorti ben peggiori di tanti suoi concittadini e conterranei, Vittime innocenti del terrorismo comunista programmato dai partigiani di Tito in quel disegno di pulizia etnica che sarebbe stato ammesso senza mezzi termini dagli stessi Edvard Kardelj e Milovan Gilas, massimi collaboratori del satrapo di Belgrado.
La sola eccezione al verbo tacitiano, obiettivamente algido, si coglie nella continua professione d'amore per la sua terra, la sua gente e la sua famiglia, che pervade tutta l'opera di Benvenuti. Un amore, peraltro, che scaturisce dal profondo del cuore e riesce a coesistere con una valutazione oggettiva e si direbbe, storiograficamente matura, di quanto accadde. Ciò, in maniera conforme ad un beninteso ma non rassegnato spirito cristiano, tradizionale prerogativa degli istriani.
Non a caso, tra i ricordi più emblematici di Nino c'è quello del suo primo viaggio a Roma e della sua prima vittoria significativa nel Campionato Amatori, quando, in adesione ad un invito familiare, si recò nella Basilica di San Pietro per una professione di fede nei valori autentici, traendone impressioni destinate a lasciare nel suo cuore una traccia perenne.
Accanto al nobile ricordo costante per la terra nativa, ed in particolare per la "sua" Isola d'Istria, la “piccola patria” perduta, nel volume non manca quello sempre vivo ed affettuoso per il padre e la madre: due persone davvero speciali, costrette a lunghi anni di sofferenza, ma che sperarono fino all'ultimo e scelsero l’esilio soltanto nel 1954, quando la Zona "B" venne sacrificata agli appetiti insaziabili della Jugoslavia ed all'appiattimento progressivo dell'Occidente. Sempre presente e commosso è anche il ricordo del fratello Eliano, imprigionato dai titini per parecchi mesi nel carcere di Capodistria, sebbene invalido e senz’altra “colpa” all’infuori della sua solare italianità.
Come dice un antico aforisma, Benvenuti è uno di quegli Uomini che, se non fossero esistiti, si sarebbe dovuto inventarli. A più forte ragione, l’assunto è valido al giorno d’oggi, perché tali Uomini sono un esempio di vita per tutti; una lezione di sacrificio, ma nello stesso di una speranza fondata sulla serena consapevolezza di stare dalla parte del vero e del giusto e sulla certezza che “le vie dell’iniquità”, secondo la pertinente intuizione dell’eroico Vescovo di Trieste e Capodistria, Mons. Antonio Santin, non possano essere eterne .
Da buon campione di pugilato, Nino non lesina colpi: non già ai Griffith od ai Monzon, cui riserva, al contrario, parole di comprensione e di leale affetto conformi ai comportamenti che ha sempre avuto nei rapporti con gli antichi avversari. Invece, gli strali più acuti e condividibili sono quelli rivolti a chi si rese responsabile di un vero e proprio genocidio (come da lucida interpretazione storica del prof. Italo Gabrielli sulla scorta del giurista polacco Raphael Lemkin), ed a chi si fece sistematicamente a lungamente sordo al grido di dolore degli Esuli istriani, fiumani e dalmati.
Ebbene, bisogna essere grati a Nino Benvenuti, protagonista di un nobile impegno di vita, che con questo franco apporto editoriale porta un contributo, forse più importante di quello di molti storici o presunti tali, alla conoscenza di una grande tragedia, alla valutazione delle responsabilità, e naturalmente, all'auspicio di attenzioni meno effimere per i problemi del confine orientale e per le ingiustizie epocali subite dall’Italia, tuttora permanentizzate nonostante il conclamato avvento della Casa comune europea.
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