(ASI) Cresciuto con i derby del Trap e del suo catenaccio, avevo la sensazione di essere parte di un’epoca irripetibile, dove il calcio si giocava anche con la mente, oltre che con i piedi. Quei derby erano veri e propri duelli strategici che mettevano in scena la sfida tra il pragmatismo difensivo di Trapattoni e la rivoluzione tattica di Sacchi, simbolo di un calcio che non apparteneva solo ai milanisti o ai berlusconiani, ma che era amato da tutti gli appassionati.
Quel Milan degli anni '80 e '90 aveva il potere di unire oltre che di dividere. Erano i derby dei tedeschi contro gli olandesi, ma anche degli italiani contro gli italiani, Zenga e Bergomi contro Maldini e Ancelotti, con una profondità che andava oltre il mero risultato sportivo. La magia di quegli anni ottanta, interrogata anche da Raf nella sua iconica canzone, sembra oggi sbiadita. Il calcio si è trasformato in un fenomeno globale, spettacolare e commerciale, dove il derby è vissuto spesso più con la tensione e l’odio che con la passione genuina. Ciò che resta di quegli anni è il ricordo di un tempo in cui il calcio riusciva a essere un linguaggio universale, capace di raccontare storie di uomini e città. Il vero rischio oggi è che il calcio perda quel ruolo di aggregazione sociale per diventare un campo di battaglia di interessi personali e tensioni. Dove andremo a finire? La risposta, caro Raf, forse è nell'impegno a non dimenticare il passato, a riscoprire quei valori e quelle emozioni autentiche che, come il tuo canto nostalgico, rendono ogni epoca indimenticabile. Forse quello che resterà degli anni che stiamo vivendo sarà proprio ciò che sapremo preservare del nostro stesso passato.
Raffaele Garinella - Agenzia Stampa Italia