(ASI) "Ricordo che quand'ero ragazzino sognavo di essere Agostino e dare un calcio alle paure".Agostino Di Bartolomei, capitano silenzioso, dallo sguardo malinconico e pensieroso, idolo di tanti giovani e non.
La sua storia parte da molto lontano e termina troppo presto. Agostino, semplicemente Ago, perché vicino alle persone semplici, ai tifosi, fuori dagli standard dei calciatori comuni, nasce a Roma il giorno 8 Aprile del 1955. Il quartiere, è quello di Tor Marancia, dove pochi anni dopo comincia a dare i primi calci al pallone, tra i grandi palazzi e i campi di parrocchia.
Si distingue per la bomba, il piccolo Ago, dotato com’è di un calcio a tutto gamba, capace di sprigionare una incredibile potenza, una bomba, appunto, la stessa che provoca danni a negozi, chiese ed abitazioni, ma che gli permetterà, qualche anno più tardi, di far gioire migliaia di tifosi giallorossi, soprattutto nei momenti cruciali.
Perché Diba era silenzioso, ma quando c'era da combattere, era sempre in prima linea, tra i più determinati. Parole mai banali le sue, sempre accompagnate dai fatti sul campo.
Esattamente come il 1 Maggio 1983, quasi al termine del campionato e Roma ad un passo dal tricolore. Agostino in porto ci vuole arrivare, ma con il vessillo sul petto. Alle dichiarazioni accompagna il destro da fuori, la bomba, appunto che, contro l'Avellino, vale la rete della sicurezza ed il 2-0.
La corsa in solitaria, l’urlo liberatorio, poi in ginocchio di fronte al suo pubblico, a raccogliere l'abbaraccio dell’intero popolo giallorosso.
Lo scudetto arriverà una settimana dopo, a Genova.
Nella suggestiva passerella dell'Olimpico, durante l’ultima gara di un campionato memorabile, Ago scorta il tricolore osannato dai cori della Sud ed acclamato dall’ intenso ed interminabile applauso di uno stadio, e di una città che, finalmente, ha spezzato l’egemonia della Juventus.
Il calcio è fatto di sogni, che spesso si realizzano, ma anche di incubi.
La stagione seguente sarà altrettanto intensa e carica di emozioni. La Roma, campione d'Italia, disputa la coppa dei campioni. Per uno strano scherzo del destino, e del sorteggio, la finale si disputa proprio nella città eterna.
Ma prima, in semifinale, c'è il Dundee. Sembra tutto facile, ma gli scozzesi gettano il cuore oltre l'ostacolo, annichiliscono i giallorossi e li sconfiggono per 2-0.
Al ritorno serve un’impresa per raggiungere la finale così tanto desiderata.
La Roma, sospinta da un pubblico mai domo, compie quello che si può definire un vero e proprio miracolo sportivo. È l’apoteosi, la storia è lì, ad un passo.
Tra i protagonisti della rimonta, neanche a dirlo, c'è lui, il capitano, Di Bartolomei che segna la rete decisiva e intravede la coppa più bella.
30 Maggio 1984-Roma, stadio Olimpico
La cornice è perfetta, la festa potrebbe essere senza eguali .
Condizionale d’obbligo, perché l’ultimo passo verso la coppa è stregato, carico di insidie.
I giallorossi partono molto bene, ma complice un clamoroso svarione difensivo, subiscono la rete del Liverpool.
La stregoneria sembra ordita, ma il Bomber, Roberto Pruzzo, annulla il maleficio sfruttando nel migliore dei modi un cross al bacio di Bruno Conti, e pareggia.
Il fato, non alleato, ma avverso, beffardo, si accanisce contro Pruzzo, costretto a lasciare per infortunio la gara. La Roma perde molto, il suo punto di riferimento in attacco.
La magia della notte sembra svanire.
I calciatori sono stanchi, provati, la lotteria dei rigori è prossima e quasi non dispiace.
C'è il fischio dell'arbitro, per la prima volta nella storia della competizione il trofeo verrà assegnato dagli undici metri. Si calcia sotto la Sud. Tra preghiere e incitamenti in quella notte di sogni, di coppe e di campioni, ma anche di lacrime è il Capitano silenzioso a rompere gli indugi. Agostino non ha mai tradito la sua gente, il suo popolo, ne fa parte e non lo farà nemmeno questa volta. Palla da una parte e portiere dall'altra. La Roma è in vantaggio. Inutile continuare a far sanguinare una ferita ancora aperta. L'epilogo non sarà quello sperato, i compagni di squadra di Agostino non saranno bravi nell'emularlo o non avranno il suo stesso coraggio e il risultato è in favore dei Reds. Roma è a terra e in quella notte non perderà solo una coppa, ma qualcosa di più prezioso, perderà anche Agostino Di Bartolomei. Il Capitano fa in tempo ad alzare un ultimo trofeo, la coppa Italia, per i suoi amati tifosi prima di lasciare in silenzio, ripiegare la maglia numero 10 giallorossa e riconsegnare i gradi. Sarà l'addio sul campo, il preludio della fine. La vita continua, ma certe cicatrici lasciano un segno profondo. Dopo alcune parentesi con altre maglie, appende le scarpette al chiodo Di Bartolomei. Poi il buio, quella solitudine, quel vicolo cieco, quel tunnel senza uscita che lo fa sentire chiuso in un buco, fino al 30 maggio 1994. Dieci anni dopo quella notte maledetta Agostino impugna, in riva al mare, in una ventilata mattina, la sua pistola e mette fine alla malinconia che lo affligge. Lui che non avrebbe mai abbandonato il suo unico amore, i tifosi della Roma, venne lasciato solo. "Questo mondo coglione piange il campione quando non serve più".
Ciò che facciamo in vita riecheggia nell' eternità e basta un lampo per ricordarci di Agostino. Gli anni passano ma da un'urna esce un accoppiamento mistico, da brividi. Champions League 2018.
Roma-Liverpool sarà la semifinale. La mente vola, chi c'era 34 anni fa aspettava da troppo, chi non era ancora nato sente un fuoco ardere dentro. Uno spettatore d'eccezione seguirà dall'alto, tutti hanno un pensiero per lui, Ago non lo lasceranno più i Romanisti, dagli errori si può solo imparare. In campo tra i giocatori di oggi manca qualcosa però, per un altro strano scherzo del destino la numero 10 non verrà indossata da nessuno. La storia o la fanno gli altri e la studi o la fai tu e ci entri. E allora "cancella la pistola dalla mano", se "tradimento e perdono fanno nascere un uomo, ora rinasci tu". La tua maglia è pronta, ovunque tu sia, guidaci ancora Ago.
Luca Labonia - Agenzia Stampa Italia