Bisogna comprendere cosa lascia un campione, perché anche lo sport ha i suoi eroi, testimoni di una società che ha bisogno del loro imperituro ricordo. Nicky Hayden è stato un eroe silenzioso, a far rumore, oltre al motore che abilmente guidava, erano paradossalmente ma non troppo, il suo silenzio e la sua umiltà. In lui non c'era posto per l'esuberanza, per il trionfalismo. Non era dunque un superuomo, ma più semplicemente era un grande uomo. Contrario a qualsiasi forma di spavalderia, e proprio per questo ora il dolore si amplifica, avvolge quanti lo hanno stimato ed avvertono un vuoto difficilmente colmabile. Dolore che non appartiene solo agli appassionati delle due ruote ma anche chi ama lo sport in generale, perché Hayden è stato - e per questo sarà ricordato - un campione universale. Possiamo paragonarlo ad Aiace Telamonio. Anche il mito greco, come il compianto Nicky, incarnava le virtù della costanza negli impegni e della perseveranza, qualità che gli hanno consentito di diventare campione del mondo nel 2006, strappando il titolo ad una leggenda delle due ruote come Valentino Rossi. Mai un litigio, mai una parola fuori posto. Quando le lacrime finiranno, diremo a Nicky di tornare a correre per l'ultima volta. Il "Sic" lo aspetta.