Trust  ed  Internazionalizzazione della Impresa 

 prof. Mauro Norton Rosati di Monteprandone de Filippis Delfico

Magistrato tributario Viterbo e Vicenza

Full Professor di  Diritto del Trust-Albany International School  LONDRA

 (ASI)  Solitamente ad un attento consulente, la prima idea che può venire in mente  nella progettazione di  far intraprendere un'attivita di internazionalizzazione di una  impresa, consiste nell'applicazione dell'art. 2447-bis c.c che si riporta di seguito:

“...La società può:

  1. a) costituire uno o più patrimoni ciascuno dei quali destinato in via esclusiva ad uno specifico affare;
  2. b) convenire che nel contratto relativo al finanziamento di uno specifico affare al rimborso totale o parziale del finanziamento medesimo siano destinati i proventi dell'affare stesso, o parte di essi.

Salvo quanto disposto in leggi speciali, i patrimoni destinati ai sensi della lettera a) del primo comma non possono essere costituiti per un valore complessivamente superiore al dieci per cento del patrimonio netto della società e non possono comunque essere costituiti per l'esercizio di affari attinenti ad attività riservate in base alle leggi speciali.

Istituito, per il tramite del D.lgs 17.1.2003, n.6, nell’ambito delle società per azioni con il precipuo intento di imprimere una direzione vincolata ad una parte del patrimonio sociale, i patrimoni destinati trovano la loro sedes materiae all’interno del codice civile nella Sezione XI, Libro V, negli artt. 2447 bis e seguenti del codice civile.

La finalità avuta di mira dal legislatore della riforma è stata quella di evitare che, per perseguire uno scopo ben determinato, fosse necessario costituire una apposita società controllata come era in voga in precedenza, in modo da rendere più celere il relativo conseguimento.

Una delle regole fondamentali del nostro sistema giuridico è quella, codificata nell'articolo 2740 del Codice civile, per effetto della quale ciascun soggetto risponde delle proprie obbligazioni con tutti i propri beni presenti e futuri; in altri termini, a garanzia dei creditori e della loro parità di trattamento, il patrimonio di ciascuna persona (sia quello attualmente posseduto, sia quello che verrà in futuro acquisito) è per intero "dedicato" a far fronte alle obbligazioni che gravino su quello stesso soggetto.




Non è quindi possibile, salvo esplicite disposizioni di legge, isolare, nell'ambito di un dato patrimonio, dei sottoinsiemi, dei "compartimenti stagni" destinati a certi scopi e che siano "impermeabili" rispetto al restante patrimonio di quello stesso soggetto: la "separazione" patrimoniale più frequente e conosciuta è quella che si crea ad esempio costituendo una società di capitali e cioè destinando determinati beni (il denaro innanzitutto) a comporre il patrimonio della società e quindi "sottraendo" quei beni dal patrimonio "generale" di quel soggetto, con la conseguenza che i creditori della società non possono avere soddisfazione sul suo patrimonio personale e che, viceversa, i creditori "personali" non possono aggredire i beni della società (anche se, per il vero, possono comunque pignorare le partecipazioni che il loro debitore abbia in questa società).

Proprio a fronte di tale problematica che il Trust si manifesta come essere il miglior strumento per adattare la scelta dell'impresa di internazionalizzarsi.

Infatti con un “trust di scopo” quanto descritto nell'art.2447 bis c,c puo' trovare la soluzione ottimale anche perchè  le forme reviste dall'art.predetto non sono cosi' ampie e flessibili come il Trust.

Non possono essere costituiti per un valore complessivamente superiore al dieci per cento del patrimonio netto della società “

La necessaria esistenza di uno “specifico affare” sottolinea l’analogia con il trust di scopo, e l’individuazione dell’affare si impone inoltre perché lo stesso viene ad assumere la funzione di criterio di valutazione della congruità del patrimonio ad esso destinato:  in difetto di uno di questi due elementi, individuazione dell’affare o congruità del patrimonio (e anche una volta che sia spirato il termine per l’opposizione da parte dei creditori sociali ex art. 2447-quater,2° comma) si ritiene in dottrina che sia da disapplicare il regime di responsabilità limitata connaturato al patrimonio destinato.

Avendo infatti questo istituto natura eccezionale rispetto ai principi codicistici di responsabilità patrimoniale, derogabili solo per legge, ne consegue che la mancanza anche di uno dei requisiti da questa stabiliti perchè la deroga abbia efficacia comporta il ritorno in essere della responsabilità sociale piena.

Per ciò che concerne poi la sua natura, appare pacifico in dottrina che l’affare non possa coincidere con l’oggetto sociale, ma che debba comunque rientrare all’interno di questo, sussistendo pur sempre i limiti previsti dalla disciplina generale.

La dottrina si è invece divisa su che cosa si voglia indicare con il termine “affare”. Se da un lato si sostiene che l’affare si identifichi con una parte dell’attività di impresa, e quindi anche con la gestione di un intero ramo d’azienda,  dall’altro c’è chi dice che l’affare debba essere circoscritto al compimento di una singola operazione o di un gruppo di operazioni: La prima posizione si è però fatta maggiormente strada, sia perché il dettato legislativo all’art. 2447-bis mantiene distinti i termini “affare” e “attività”, e sia perché all’articolo successivo impone all’affare dei limiti operativi che mal si conciliano con la gestione continuativa di un ramo d’azienda.

Il legislatore delegato ha quindi consentito alle società per azioni la possibilità di ricorrere a due differenti modelli di segregazione patrimoniale: il primo, sub a), rimane all’interno di quella già ricordata categoria di istituti caratterizzati da un particolare regime di responsabilità patrimoniale.

Il secondo,sub ), invece rappresenta un vero e proprio strumento di finanziamento dell’impresa.

La scelta di introdurre due fattispecie separate è da ricercarsi nella diversità di posizioni emerse nel dibattito dottrinale sorto dopo l’approvazione della legge delega; da un lato la posizione di chi chiedeva che il nuovo istituto fosse costruito comunque come un fenomeno patrimoniale, ritenendo insufficiente una soluzione meramente finanziaria; dall’altro lato la posizione di chi sosteneva che il patrimonio destinato dovesse consentire ad una società di chiedere e ricevere un finanziamento al servizio del quale venisse posto non l’intero suo patrimonio, né beni determinati ma i proventi dello specifico affare.

Numerose ed evidenti somiglianze denunciano comunque la discendenza da un comune stipite dei due istituti.

Innanzitutto ci troviamo in entrambi i casi di fronte ad una separazione rispetto al patrimonio generale della società, che però riguarda una separazione di assets (intesi come beni e rapporti ex art. 2447-ter, 1° comma) nel caso sub a), e una separazione di proventi (ex art. 2447-decies, 3° comma) nel caso sub b).

In secondo luogo, in entrambi i casi si registra la presenza di uno o più vincoli di destinazione: nel caso sub a) questi vincoli vengono costituiti su alcuni beni facenti parte del patrimonio dell’impresa e che in un secondo momento vengono separati per essere destinati ad uno specifico affare mentre nel caso sub b) i vincoli cadono sul finanziamento, che non può essere distolto dall’affare per il quale è stato concesso, e sui proventi di quest’ultimo che dovranno essere necessariamente destinati al rimborso del finanziamento.

Infine, per entrambe le fattispecie è consentito, ex art. 2447-ter,1° comma, lettera e), fare ricorso al finanziamento di terzi.

Sono inoltre ravvisabili altri profili unitari, come la necessità di non sottrarre i beni del patrimonio alla loro destinazione (disciplinata per i patrimoni destinati dall’art. 2447-ter, 1° comma, lettera a) e per i proventi dell’affare finanziato dall’art. 2447-decies, 1° comma), l’identificazione dei beni e rapporti giuridici (art,.447-ter, lettera b) o dei proventi e beni strumentali (art. 2447-decies, 2° comma, lettere c) ed f)), le regole di gestione e rendicontazione (per i patrimoni destinati gli artt. 2447-ter, lettera g); 2447-sexies, 2447-septies; per i proventi dell’affare finanziato l’art. 2447-decies, 2° comma, lettera e)), l’identificazione di un gruppo di creditori distinto (per i patrimoni destinati l’art. 2447-quinquies, per i proventi dell’affare finanziato l’art. 2447-decies,4° comma), la necessità di un piano economico-finanziario (art. 2447-quater, 1° comma, lettera c), nel primo caso; art. 2447-decies, 2° comma, lettera b) nel secondo) e l’assolvimento di specifici oneri di pubblicità (art. 2447-quater per i patrimoni destinati e 2447-decies per i proventi dell’affare finanziato).

Il 2° comma dell’art. 2447-bis fissa due ordini di limiti ai patrimoni destinati disciplinati dalla lettera a) del 1° comma: uno riguardante il valore contabile complessivo dei beni e dei rapporti “destinati”, l’altro inerente l’oggetto dell’affare. Recita testualmente la norma:

“Salvo quanto disposto in leggi speciali, i patrimoni destinati ai sensi della lettera a) del primo comma non possono essere costituiti per un valore complessivamente superiore al dieci per cento del patrimonio netto della società e non possono comunque essere costituiti per l’esercizio di affari attinenti ad attività riservate in base alle leggi speciali.”

 

Il limite quantitativo contenuto nella prima parte della norma si riferisce inequivocabilmente a tutti i patrimoni destinati costituiti da una società, che sommati tra loro non dovranno superare una quota pari al 10% del patrimonio netto di questa, considerando come parte dello stesso anche tutti i beni conferiti ai patrimoni destinati.

Il limite invece non è stato esteso ai finanziamenti destinati di cui alla lettera b) perché è evidente che gli stessi non impegnano il capitale sociale ma utilizzano una somma mutuata per tale scopo.

Siccome nella norma si fa riferimento al momento della costituzione del patrimonio, se ne evince che il limite del 10% non dovrà essere rispettato sempre e per tutta la durata dell’affare ma che debba sussistere solamente nel momento in cui questo viene intrapreso.

Ne consegue che questo limite si applicherà al momento della costituzione di un primo patrimonio, e se questo dovesse veder ridurre la propria incidenza sullo stato patrimoniale, la società potrà costituirne un altro o anche più di uno. Nel momento poi in cui la costituzione di un ulteriore patrimonio destinato producesse uno sconfinamento, sarà su quest’ultimo che cadrà la conseguenza della non costituibilità.

Resta inoltre inteso che se per vicende di carattere finanziario o patrimoniale, la somma dei patrimoni destinati verrà in un momento successivo a superare la soglia in questione, la società non sarà tenuta a dimetterne una parte ma le sarà impedito di costituirne di nuovi.

Con un trust di scopo come il Ns.studio ha realizzato regolato dalla Jersey Act le problematiche giuridico.economiche vengono baypassate.

Infatti non sussiste il limite del 10 % indicato: dal punto di vista fiscale e contabile avra' una propria autonomia con apposito codice fiscale : particolare vantaggio ulteriore tipicamente aziendale consiste nel fatto che eventuale “default” della societa' disponente , non trascinera' se non sussistenti elementi di criticita' antecedenti alla istituzione, il default del trust stesso.



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