Le Politiche attive del lavoro secondo il giuslavorista Severino Nappi: “Più investimenti e formazione di professionalità competenti.”

(ASI) In data 4 Aprile 2022, il giuslavorista Severino Nappi ha affrontato per Agenzia Stampa Italia il tema delle politiche attive del lavoro, definite da lui stesso come “uno strumento fondamentale per creare un incontro reale tra domanda e offerta di lavoro.”

Strumento fondamentale poiché in sintonia con l’art. 1 e l’art. 4 della Costituzione italiana, i quali riconoscono la rilevanza del diritto al lavoro e la promozione di condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Le politiche attive del lavoro rappresentano infatti le misure volte a favorire il reinserimento del prestatore disoccupato nel mercato del lavoro. Tali norme sono state valorizzate dalla legge n.183/2014 (cd. Jobs Act), la quale ha previsto numerose ed ampie deleghe al Governo per la riforma del mercato del lavoro e grazie al quale è stato organizzato il sistema di tutela previdenziale dei lavoratori in caso di interruzione del rapporto di lavoro o di riduzione e sospensione dell’orario lavorativo.

Queste azioni sono promosse dall’ANPAL (Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro), dalle Regioni e dai Comuni e si differenziano dalle politiche passive in quanto queste ultime puntano a fornire un sostegno al reddito.

Le funzioni e le misure con le quali dovrebbero essere concretizzate sono chiare e lineari e il professor Nappi le riassume per evidenziare appunto i vantaggi che un sistema ben organizzato può portare a chi ha bisogno di lavoro:

“La persona che non ha mai avuto occupazione o che ha perso il lavoro si iscrive ad un centro per l’impiego pubblico o privato che non si limita solo a registrare la sua presenza e la sua esistenza ma prende in carico la persona, cioè si assume l’impegno di accompagnarlo verso la ricerca di una nuova formazione e occupazione.”

Il professor Nappi vuole sottolineare l’importanza che il centro per l’impiego pubblico riveste nella cura e nell’adozione dell’individuo per il suo reinserimento in attività consone e idonee alle sue capacità, tenendo in considerazione le opportunità e la coerenza del mercato del lavoro:

“Viene analizzato il background della persona e quindi la sua formazione e le sue esperienze. Inoltre viene anche studiato il mercato del lavoro […] e l’andamento del sistema produttivo.”

Diventa essenziale in questa ottica l’instaurazione di un network duraturo da parte delle agenzie per guidare e orientare l’ingresso di futuri lavoratori:

“[È necessario]avere contatti stabili e strutturali con il mondo e con la formazione professionale, cioè devi poter chiamare enti della formazione per poter mettere in rete le esperienze e mandare quella persona in un determinato posto […] e al tempo stesso devi avere una relazione stabile anche con le istituzioni.”

Sfortunatamente questa struttura idealistica, in Italia,viene difficilmente raggiunta:

“I centri per l’impiego sono molto pochi, con pochissimi dipendenti e hanno una condizione complessiva nella quale fondamentalmente ci si limita a certificare che una persona non ha lavoro e lo si avvia dove capita in qualche attività”.

A sostegno di questa condizione, il professore chiarisce tramite dei dati le barriere italiane che ostruiscono i miglioramenti al sistema delle politiche attive del lavoro:

“In Italia si spende per le politiche attive del lavoro solamente lo 0,2% del PIL, mentre ci sono paesi che spendono cifre anche dieci volte superiore. Nel sistema del mercato del lavoro italiano sono impegnate poche migliaia di persone. In Germania, al contrario, lavorano per questo tipo di attività oltre 100.000 persone. Un volume di impegno e un volume di investimenti di risorse pubbliche che molto spesso fanno la differenza.”

La situazione peggiora nel Mezzogiorno. In Campania,come riporta il professore, a causa del mancato nesso fra strutture scolastiche e sistemi produttivi, l’incrocio tra domanda e offerta risulta essere debole, senza misure dirette per incentivare la ricerca di occupazioni.

Nel 2020 infatti, anche a causa dell’emergenza sanitaria legata alla pandemia da Covid-19, è stata introdotta l’Agevolazione Decontribuzione Sud, misura prevista dall’art.27 del DL. 104/2020, che prevede un’agevolazione contributiva per l’occupazione in aree svantaggiate del Paese, ovvero nelle regioni del Mezzogiorno.

“Tutto questo contribuisce a un drammatico corto circuito e quindi dovremmo immaginare che, invece di spendere soldi soltanto per fare misure assistenziali, si cominciasse a ragionare per investire e per formare professionalità competenti, cioè persone che sanno esattamente come si deve gestire il mercato del lavoro e come si devono trovare opportunità per chi il lavoro non lo ha mai avuto o per chi lo ha perso.”

Le politiche attive del lavoro vengono dunque rallentate a causa di numerosi limiti connessi ai mancati investimenti e a misure assistenziali. Basterebbe affrontare e risolvere queste tematiche per “trasformare l’ambizione di tanti di avere un lavoro stabile regolare con un salario dignitoso, contributi e una prospettiva di serenità di vita in una possibilità concreta e [per poter] finalmente smettere di vivere in modo precario, di vivere di espedienti e di vivere senza sapere come sarà il nostro futuro.”

Tommaso Maiorca -  Agenzia Stampa Italia

 

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