(ASI) Padova – In questa occasione, non scriverò in veste di redattore di Agenzia Stampa Italia, ma di narratore di fatti che mi sono accaduti in prima persona. Non Vi dirò cosa sia giusto o cosa sbagliato, ma Vi fornirò degli spunti di riflessione, dai quali potrete trarre voi le conclusioni più appropriate.
Ho aderito alla campagna vaccinale, un po’ per convinzione, un po’ per costrizione. Il Governo Italiano difatti, ha imposto una certificazione verde per poter accedere al posto di lavoro, denominata “green pass”. Per ottenerla, si hanno, come tutti sapranno, tre alternative: o essere guariti dal Covid (in forma grave), o tramite l’attestazione di un tampone con esito negativo, o attraverso l’inoculazione di due dosi di vaccino, tra quelli rimasti disponibili. Al momento, siamo ancora l’unico paese al mondo ad avere introdotto la certificazione verde per poter lavorare, e questa misura, secondo la narrazione governativa, è volta al contenimento dei contagi e alla messa in sicurezza dei posti di lavoro. Il lavoratore che non la possiede, (ottenibile nelle modalità sopraccitate), è tagliato fuori dal mondo del lavoro, sospeso, licenziato, o afflitto da punizioni dettate dalla normativa entrata in vigore. Cinque giorni orsono, l’Unione Europea ha notificato l’infrazione del Regolamento 953/2021, riguardante la “discriminazione tra persona vaccinata e non”, dopo l’interrogazione sottoposta in luglio dall’Onorevole Berlato di Fratelli d’Italia.
Occorre fare due precisazioni tuttavia: soprattutto nelle ultime settimane, diverse persone che hanno ottenuto doppia somministrazione di vaccino, hanno contratto il virus Covid19, e sono comunque divenute oggetto di ricovero in terapia intensiva; in secundis l’Italia avrebbe aderito, come molti altri stati comunitari, al piano di messa in sicurezza dei posti di lavoro “2021 – 2027”, inserendo come malattia ad alto rischio proprio il virus Covid19. Ebbene, se la persona vaccinata può contagiare, al pari del non vaccinato, possiamo interrogarci assieme se il green pass (ottenuto dopo doppia inoculazione) sia lo strumento idoneo per mettere in sicurezza davvero l’ambiente di lavoro, oppure non lo rappresenti affatto. Se la valenza scientifica del vaccino, considerata al momento ancora l’unica arma disponibile per combattere il contagio è questa, l’Italia sta contravvenendo doppiamente alla normativa europea. Veniamo ora a me, dopo le doverose premesse.
Ho deciso di aderire al piano vaccinale dopo le sollecitazioni governative. Ho deciso di fidarmi della scienza, di quella stessa che ad aprile mi diceva che già dopo una dose si otteneva l’immunità dalla malattia, e che ora, fine ottobre 2021, asserisce che in realtà, le dosi da inoculare dovrebbero essere cinque, con richiami periodici. Ho voluto e dovuto farlo, per me, per i miei colleghi di lavoro, per la mia famiglia, per non essere privato del posto di lavoro che ho conquistato con fatica e sudore.
Sono uno di quei casi denominati “reazione avversa al vaccino”. D’altronde, non occorreva effettuare esami prima dell’inoculazione, secondo la scienza, essendo il farmaco sicuro e testato. Il 4 ottobre ho dovuto recarmi al pronto soccorso, con sintomatologie e malessere gravi: forte tachicardia, parestesie ovunque, dolore sottoclavicolare, difficoltà di deglutizione, sdoppiamento della vista, difficoltà di concentrazione, contrazione dei muscoli facciali, della schiena, delle gambe. Dopo gli esami del sangue, risultati “perfetti”, i gentili medici del pronto soccorso mi congedano, invitandomi alla tranquillità, poiché a breve sarebbe passato tutto, e di non nutrire alcuna preoccupazione circa la seconda inoculazione.
I sintomi sopra descritti non passavano, e di fronte al mio racconto, il medico di base erige un muro. A suo avviso, la causa non poteva essere certo il vaccino, questo è sicuro, ero io quello agitato, e ovviamente, come nelle migliori famiglie, passerà tutto. Non voleva nemmeno prescrivermi degli esami di fronte alla mia insistenza. In poche parole, il visionario ero e sono io, e il vaccino fa solo bene. La morsa dei dolori, su tutto il corpo, si faceva sempre più dura, nel frattempo.
Il problema peggiore che tuttora mi affligge è alle gambe. Non deambulo più come prima, e vi risparmio tutta la sintomatologia e la descrizione dei dolori, che potrete solo immaginare.
Ieri, 29 ottobre, mi reco al centro vaccinale per il richiamo alla “seconda dose”, presso un padiglione allestito nella fiera della mia città, non essendo riuscito a parlare né ad interloquire in altra maniera con qualche incaricato che potesse rispondere al numero di emergenza dedicato all’emergenza Covid19. Mi è stato riferito che sono “pieni di lavoro fino al collo”.
Di fronte a me si erge uno spettacolo da girone dantesco: una infinita processione di persone, composta da adulti, ragazzini di 12 – 13 anni d’età, anziani, badanti dell’est Europa (a cui il Governo Italiano non riconosce la validità nel territorio nazionale del vaccino russo Sputnik, cosa invece fatta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità!) si reca presso l’allestimento per la puntura di rito. Spiego ad ognuno che incontro nel mio cammino, che ho avuto seri problemi, ma l’interesse principale dei “custodi” del padiglione è la compilazione dei documenti, senza i quali, non avrei potuto accedere.
Una volta giunto nella stanza vis – a vis con la dottoressa, espongo tutti i miei problemi. Non mi viene richiesta visione né dei documenti del pronto soccorso, né degli esami fatti. Vengo ascoltato in un mutismo generale, come se fossi un elemento estraneo al contesto. Unica concessione, è avere ottenuto lo spostamento della seconda dose dopo l’esito delle visite specialistiche. Altro, non era possibile.
Mi sono sentito un numero in un ingranaggio, nel quale l’attenzione alla persona, a ciò che le è accaduto è nulla. Nessuna volontà di approfondimento sulla documentazione che recavo con me (potrei avere mentito, per evitare il completamento del ciclo vaccinale), né alcun consiglio circa come procedere, né la formulazione di una ipotetica diagnosi e quindi relativi esami da espletare. Unico dato riferitomi è che “verrà valutata la mia situazione dopo l’esito delle visite specialistiche”, le medesime che il medico di base, non voleva nemmeno prescrivermi poiché non potevo stare male, non era matematicamente possibile né contemplabile, salvo dirmi che prima di me era passata una persona con sintomatologia analoga. Strane queste contraddizioni!
Questa è la mia storia. La mia vita è stata radicalmente stravolta da quando ho scelto di aderire alla campagna vaccinale, non obbligatoria, ma surrettiziamente imposta. Ho voluto raccontarVi i muri che si ergono di fronte ad una persona che ha a cuore la propria salute, e che voleva essere d’aiuto anche al prossimo, evitando di trasmettere ogni tipo di patogeno, come ho sempre osservato in ogni istante di vita.
Muri invisibili che condizionano l’esistenza. Non voglio condizionare le vostre scelte, né avere la pretesa di essere nel giusto. Vi chiedo solo la cortesia di leggermi, e di riflettere di conseguenza.
Valentino Quintana per Agenzia Stampa Italia